I diversi strumenti interpretativi che solitamente vengono impiegati nell'elaborazione dei dati muovono spesso da presupposti diametralmente opposti e richiedono pertanto tipi di documentazione archeologica differenti. Per evitare di trovarsi in possesso di informazioni inutili e/o ridondanti è opportuno avere ben chiara, fin dall'inizio della ricerca, l'idea delle questioni che si intendono indagare e studiare. 

Cherry e Shennan (1) hanno proposto quattro obiettivi principali per la ricognizione archeologica: conoscere la distribuzione dei siti, la densità dei siti per ogni fase, il rapporto tra siti e ambiente, il rapporto dei siti fra loro. Anche se i quesiti posti dai ricercatori sono generalmente più complessi e specifici i punti indicati dai due autori definiscono quattro ambiti di ricerca utili per suddividere le metodologie analitiche. Di seguito verranno presentati alcuni metodi utilizzati nell'ambito dell'interpretazione dei dati a seguito di una campagna di ricognizione archeologica.

Alcuni tipi di analisi derivano direttamente dalla ricerca geografica, altri fanno uso di metodi quantitativi e altri dei metodi tradizionali e delle analisi informali e intuitive. 

 

Carte archeologiche

Per l'analisi della distribuzione dei siti si utilizza prevalentemente la carta archeologica generale e le carte di fase. I risultati di alcune ricerche sono addirittura costituiti da una sola carta archeologica corredata di alcune note illustrative. Nel caso ad esempio di uno studio sulla viabilità antica, o su altre strutture lineari (centuriazioni o canalizzazioni), sono necessarie una ricognizione archeologica e una carta che mostri i tratti stradali rinvenuti, la loro posizione e le dimensioni reali. Le carte archeologiche sono inoltre necessarie quando si deve considerare la posizione e l'orientamento dei siti fra loro o rispetto ad altri elementi del paesaggio. I siti allineati lungo un asso viario o strutture murarie conservate con orientamenti simili possono essere rilevati solo con l'ausilio di una appropriata cartografia. 

Per le analisi di dettaglio della distribuzione dei siti non particolari (ad esempio, aree di frammenti fittili) sono sufficienti delle carte tematiche (2). Le carte di fase rappresentano l'esempio più diffuso di questo tipo di prodotto. In esse vengono riportate esclusivamente i siti attribuibili a determinati periodi cronologici. Per realizzare questo tipo di carta tematica è necessario che si fissi la durata dei siti, che corrisponde al periodo di tempo in cui si depositano i manufatti sul sito. La datazione dei siti costituiti da aree di manufatti si basa sul materiale in esse rinvenuto. «La datazione di un sito va dalla data più antica del manufatto più antico in esso rinvenuto fino alla data più tarda del manufatto più tardo. In pratica è più prudente attribuire i siti ai periodi rappresentati da una quantità consistente di manufatti ben databili» (3). Nel caso in cui i materiali di un sito siano databili a due o più fasi non contigue fra loro è opportuno valutare attentamente questi casi considerando il tipo di sito, la durata delle lacune e la quantità dei manufatti databili. La datazione dei siti particolari presenta problemi diversi: i monumenti conservati in elevato possono essere datati in base alla tecnica edilizia, alle fonti storiche o allo stile del materiale epigrafico. Ma in questo modo è possibile datare solo la costruzione o qualche altro momento significativo del sito e non la sua intera storia. Quando manca l'indicazione fornita da materiali mobili è molto difficile infatti tracciare l'evoluzione di un sito dalla sua prima occupazione sino al definitivo abbandono. 

La datazione di tutti i manufatti rinvenuti ha una particolare importanza nella ricognizione: nei siti rurali infatti anche la sola presenza di un frammento attesta la frequentazione in una determinata epoca. La possibilità di datare i siti sulla base dei manufatti varia a seconda di molti fattori diversi; esistono periodi di cui sopravvivono soltanto pochi manufatti diagnostici (4) o intere classi di materiali per le quali non si dispone di accurati repertori cronologici. Siti con queste caratteristiche compaiono nella carta archeologica generale ma sono più difficili da attribuire alle singole carte di fase.

La carta di fase può essere considerata come lo strumento principale per confrontare il popolamento nelle varie epoche dando un'impressione immediata dello sviluppo e della distribuzione dei siti rinvenuti. E' necessario tuttavia definire le singole fasi attraverso il processo di periodizzazione. Esso può essere condotto «in modi diversi a seconda delle esigenze interpretative della ricerca. La suddivisione può essere, ad esempio, legata ad avvenimenti macrostorici o momenti archeologicamente rilevanti. La scelta è certamente più impegnativa per l'archeologia di età storica, poiché per la preistoria e la protostoria vi sono periodizzazioni già esistenti che agevolano il compito. Se le carte devono servire a confrontare la densità dei siti in epoche e luoghi diversi, è opportuno allora che le fasi scelte abbiano durate all'incirca equivalenti. E' chiaro infatti che sulle carte di fase possono coesistere siti di breve durata che non sono mai stati contemporaneamente presenti sul territorio. Più si estende cronologicamente una fase e maggiore tenderà ad essere il numero di siti di questo genere, cosicché una fase più lunga rischia di essere interpretata come più densamente popolata di una corta ma in realtà analoga. Anche con fasi di eguale durata è possibile che la carta di un periodo in cui i siti si spostano molto frequentemente sembri più fittamente insediata rispetto a una con minore mobilità. Ciò avviene perché nella prima tendono a essere presenti un numero maggiore di siti mai esistiti contemporaneamente» (5).

Altri fattori di distorsione sono rappresentati da alcune caratteristiche della cultura materiale, dall'atteggiamento dei ricognitori e da una differente visibilità (6). Per quanto riguarda la cultura materiale è chiaro che periodi caratterizzati da una monumentalità delle costruzioni o da classi di manufatti particolarmente resistenti, riconoscibili e ben databili, tenderanno ad essere maggiormente rappresentati rispetto a periodi in cui predominano edifici o materiali più facilmente deperibili. Anche l'esperienza dei singoli ricognitori può essere causa di distorsione. E' stato dimostrato che alcune classi di materiali, come gli strumenti litici, tendono ad essere trascurate dai ricognitori che non hanno una specifica esperienza (7). E' importante, quindi, prendere in considerazione tutti i fattori che possono introdurre i fattori di distorsione nell'analisi dei dati dedotti dalle carte di fase.

 

Statistiche riassuntive e demografiche

Il totale dei siti localizzati dopo una campagna di ricognizione archeologica ha una certa importanza nel valutare l'affidabilità delle conclusioni che si ottengono dai dati raccolti. Dal punto di vista statistico infatti maggiore è il numero di siti rinvenuti e minori sono gli effetti delle distorsioni introdotte da fattori casuali. Al contrario, con un basso numero di siti a disposizione aumenta il rischio di incappare in tendenze che hanno poco o nulla a che vedere con la realtà archeologica del passato. 

Il totale dei siti rinvenuti viene impiegato per valutare il potenziale archeologico di un'area piuttosto che la densità del popolamento in antico. Il numero di siti rinvenuti e la loro densità per chilometro quadrato sono, come si è fatto notare più volte, strettamente influenzati dalle condizioni di visibilità e dall'intensità della ricerca. E' solo a parità di condizioni di visibilità e di intensità che si possono fare dei confronti sicuri fra quantità di siti rinvenuti in contesti diversi (8). Densità di 2-4 siti per kmq in una ricognizione sistematica intensiva (circa 10 giorni/uomo/kmq) in un territorio con superficie visibile per il 30-60% rientrano nella media delle zone non montuose italiane. Zone suburbane possono arrivare, specie in Italia centrale, a 6-8 siti per chilometro quadrato e anche più (9). A parità di superficie ricognita e di intensità è possibile quindi fare un confronto fra le diverse epoche. L'aumento del numero di siti attestati in una fase rispetto alla precedente viene solitamente spiegato come un'espansione demografica o di aumento di prosperità economica. Allo stesso tempo, una diminuzione delle presenze può corrispondere a un declino o all'abbandono di un contesto. Questo tipo di osservazioni sono valide nel caso in cui i tipi e le dimensioni dei siti risultino simili fra le differenti fasi. La scomparsa di molti piccoli centri e la comparsa di grandi insediamenti, ad esempio, non comporta necessariamente ad un calo demografico.

Ulteriori informazioni possono essere ottenute confrontando la percentuale di siti nuovi rispetto a quelli la cui vita prosegue dalle epoche precedenti o paragonare la situazione di aree diverse nella medesima fase (10).

Per ricostruire la situazione demografica del territorio nelle varie fasi si utilizzano dei procedimenti piuttosto complessi e spesso non esenti da grossolani errori. «La popolazione presente nell'area ricognita viene stimata sulla base del totale delle superfici dei siti rinvenuti; esso viene moltiplicato per una costante di densità di abitanti per metro quadrato occupato (11). Ad esempio, per una regione in cui si sono rinvenuti 50 siti per complessivi 8000 mq insediati, si può stimare una popolazione di 200 abitanti, assumendo una media di 250 abitanti per ettaro costruito, che può essere adatta per una società agricola complessa» (12). E' opportuno valutare con estrema attenzione stime di questo genere dal momento che non bisogna dimenticare che i siti rinvenuti sono solo una frazione di quelli presenti in antico; inoltre, non tutti i siti di una medesima fase sono presenti allo stesso momento e la superficie occupata dall'area di manufatti (il sito) solo raramente corrisponde alle dimensioni reali del sito. Infine, il numero di abitanti per ettaro è un parametro che può essere postulato soltanto facendo dei confronti etnografici e storici che hanno un valore indicativo.

 

Rapporto tra siti e ambiente

Per studiare le interazioni fra i siti e l'ambiente è necessario innanzitutto conoscere le caratteristiche geografiche del paesaggio. Ciò si ottiene utilizzando la cartografia appropriata (carte geologiche, geopedologiche, idrologiche, ecc.) e le osservazioni di dettaglio fatte dagli stessi ricognitori. 

Per lo studio dell'influenza dell'ambiente sul popolamento viene spesso confrontata la posizione dei siti rispetto alla conformazione ambientale del paesaggio. Si cerca cioè di comprendere se i siti hanno una preferenza significativa per particolari zone. Le variabili ambientali che possono influenzare la scelta dell'insediamento sono numerose e non è sempre facile individuare quelle che hanno una maggiore influenza. Per questo scopo viene solitamente utilizzato il metodo delle stratificazioni ambientali: il territorio si suddivide in "strati", con caratteristiche ambientali simili, e si analizza poi il rapporto dei siti con questi strati. Gli strati possono essere scelti su base geologica, pedologica, idrografica, altimetrica. In alternativa, si può prendere in considerazione la distanza dei siti da particolari punti del paesaggio, suddividendo così il territorio in strati equidistanti dalla linea di costa, da un fiume o da zone particolari (come una cava o una miniera). Tabelle e istogrammi, infine, che confrontano il numero e la densità dei siti rinvenuti in ciascun strato facilitano il riconoscimento delle associazioni significative. Anche in questo caso è comunque opportuno utilizzare una discreta quantità di siti; una quantità troppo piccola può infatti mostrare differenze appariscenti ma assolutamente non significative. 

Il metodo delle stratificazioni ambientali ha il limite di considerare soltanto il punto preciso in cui si trova il sito. Non è da escludere che la scelta della posizione dell'insediamento venga condizionata anche dal potenziale produttivo delle zone circostanti. I geografi moderni, studiando gli insediamenti agricoli delle società preindustriali, hanno infatti osservato che la maggior parte della sussistenza degli abitati viene ricavata da terreni che si trovano in un raggio di 2-3 Km dal sito (13). Pertanto, per analizzare i mezzi di sostentamento e le scelte dell'insediamento viene utilizzato il metodo del site catchment (analisi del bacino di approvvigionamento) (14). La tecnica del site catchment è basata sul principio che un gruppo umano tende a ridurre al minimo le energie necessarie per la sussistenza, scegliendo per l’impianto di un insediamento, stabile o stagionale, la posizione che rende più agevole lo sfruttamento di un determinato ambiente. L'applicazione di questo metodo ha visto l'utilizzo di differenti raggi (1-2-2,5-10 Km); in altri casi si è fatto corrispondere il bacino dell'area raggiungibile in due ore di cammino dal sito. 

Per ricostruire l'evoluzione produttiva di una regione questa analisi può essere combinata alle tipologie e alle cronologie dei siti, confrontando la composizione media dei bacini di approvvigionamento di siti di epoche e tipi diversi. La produttività dei bacini di approvvigionamento viene talvolta messa in relazione con le dimensioni dei siti; si ritiene infatti che siti di grandi dimensioni avessero popolazioni corrispondenti e necessitassero quindi di bacini piuttosto produttivi (15). Il rapporto tra siti ed ambiente può essere analizzato anche a scopo predittivo. Sulla base della conformazione ambientale si cerca di di comprendere e formalizzare le logiche insediative antiche al punto di poter prevedere la posizione dei siti stessi. Una predizione che avviene tramite il calcolo delle probabilità che in un dato luogo si trovi un sito di una certa fase e di un certo tipo (16).

 

Rapporti tra siti

Il modo più semplice per analizzare la distribuzione dei siti è quello di considerarli come punti in uno spazio piano, senza dimensioni, gerarchie o caratterizzazioni. Le distribuzioni dei punti così ottenuti possono essere sottoposte a differenti trattamenti; uno dei più diffusi è il metodo dei poligoni di Thiessen (17) che serve a suddividere geometricamente lo spazio in zone di pertinenza di ogni punto. «A ciascuno dei punti viene attribuito lo spazio che si trova più vicino a esso che a qualunque degli altri punti. In altre parole, il territorio viene suddiviso da linee che hanno la caratteristica di essere equidistanti dai due punti a esse più vicini. Ne risultano dei poligoni all'interno dei quali si trova sempre un solo punto. I poligoni di Thiessen mettono in evidenza le porzioni di spazio che gravitano attorno ad ogni punto. Questo può essere utile per avere un modello teorico della configurazione delle zone di influenza, delle aree di approvvigionamento e degli ambiti di diffusione relativi ai centri analizzati in questo modo» (18). Il paesaggio ottenuto per mezzo di questo metodo è un modello ideale e astratto; le suddivisioni vengono tracciate infatti come se il territorio fosse uguale e i centri uguali per tipo e dimensione. Per avere un modello più vicino alla realtà è possibile adottare delle correzioni, tenendo conto della geografia e del paesaggio invece di calcolare le distanze in linea d'aria; oppure, è possibile anche attribuire ai siti una differente importanza facendo passare i confini più lontani dai centri maggiori e più vicini a quelli minori. Affinché il metodo dia buoni risultati è necessario poter lavorare su siti della stessa tipologia e che la loro distribuzione sia ben conosciuta. Per questi motivi i poligoni di Thiessen sono particolarmente adatti per lo studio dei territori delle città antiche.

Tra i metodi utilizzati per trattare le distribuzioni dei punti, al fine di cogliere la configurazione, i raggruppamenti, la casualità della disposizione, quello più diffuso è il nearest neighbour (vicino primo). Questo metodo viene impiegato per studiare le caratteristiche di una distribuzione o per confrontare distribuzioni diverse, o parti di esse. Confrontando la tendenza all'aggregazione o alla disposizione a distanza regolari si possono individuare le differenti logiche insediative. «Per ogni punto della distribuzione viene calcolata la distanza da esso al punto più vicino. Dopodichè la media di queste distanze (valore osservato) viene confrontata con il valore che si avrebbe se la distribuzione dei punti fosse casuale (valore atteso). Se il valore osservato è analogo a quello atteso significa che la distribuzione dei punti è simile a uno spargimento casuale. Se invece il valore osservato è considerevolmente inferiore a quello atteso, vuol dire che i punti sono raggruppati, poiché le distanze fra loro tendono a essere basse. Nel caso opposto, invece, la media alta osservata significa che i punti sono regolarmente distribuiti nello spazio, poiché tendono ad avere fra di loro la massima distanza possibile» (19).

Nel 1826 il geografo von Thünen (20) propose un modello di sviluppo dell’hinterland di una città. Osservò che le attività produttive attorno ad una città sono fortemente condizionate dalla distanza del luogo di produzione dal centro, cui devono affluire i prodotti. Ciò determina una serie di anelli concentrici attorno alla città che mostra una progressiva diminuzione di intensità man mano che ci si allontana da essa. Si cerca di sfruttare infatti le zone vicine al centro urbano per le produzioni più intensive e redditizie e per quelle che comportano alti costi di movimento. I siti quindi legati a queste attività si disporranno nella fascia più vicina al centro. Quelli connessi con produzioni più estensive e con prodotti facilmente trasportabili, come la pastorizia, verranno relegati nelle zone più distanti. Gli anelli di von Thünen possono essere applicati solo ad una condizione ideale: quella della città isolata in un territorio indifferenziato. Questa tecnica è stata utilizzata in ricerche archeologiche (21) risultando particolarmente utile per osservare l’influenza di un centro sul paesaggio circostante.  

Per lo studio dell'organizzazione politica di un territorio alcuni studi archeologici si rifanno alla teoria del sito centrale, Central Place Theory, sviluppata negli anni Trenta del XX secolo dal geografo tedesco Walter Christaller. «La teoria dei luoghi centrali definisce la disposizione ottimale dei siti rurali in un paesaggio indifferenziato, sulla base di due parametri: il numero di livelli gerarchici nel sistema e il numero di siti minori per ogni sito maggiore (fattore k)» (22). La teoria dei luoghi centrali è raramente applicabile all'archeologia (23); il metodo infatti è stato concepito per l'analisi di siti di cui siano perfettamente note le dimensioni, le funzioni e tutto ciò che le analisi geografiche possono rilevare. E raramente una ricognizione archeologica di superficie può raggiungere un simile dettaglio. 

A differenza dei precedenti metodi che sono derivati dalla geografia, ve ne sono degli altri appositamente concepiti per lo studio delle gerarchie di insediamento e dei sistemi sociali e politici. Per analizzare la distribuzione del popolamento sul territorio viene impiegato il metodo del rank-size, cioè l'analisi di rango e dimensione. Geografi come Auerbach avevano osservato, agli inizi del XX secolo, che «ordinando i siti urbani e rurali in ordine di popolazione, la dimensione di ognuno di essi tende ad essere pari a quella del sito più grande della regione divisa per il posto (o rango) che il sito occupa nell'ordine. Se il sito più grande ha, ad esempio, un milione di abitanti, il venticinquesimo in ordine di grandezza dovrebbe averne, secondo questa regola, 40.000. Se i siti vengono riportati su un grafico (su scala semilogaritmica) per ordine di dimensioni, si ottiene una configurazione che tende a una retta» (24). Applicazioni archeologiche di questo metodo possono riguardare lo studio dei siti di una stessa fase, prendendo in considerazione le dimensioni dell'area dei manufatti o del sito stesso. Lo studio degli scostamenti della curva generata dai siti rispetto alla retta ideale può dare utili informazioni. E' molto frequente infatti che la curva si discosti dalla retta ideale. Prendiamo due differenti casi: la curva delle dimensioni dei siti può avere un profilo concavo e passare al di sotto della retta ideale; oppure, la curva ha un profilo convesso e passare al di sopra della retta. Nel primo caso siamo in presenza di pochi grandi centri che primeggiano su siti di dimensioni minori; nel secondo caso siamo in presenza di grandi siti di dimensioni simili. Al fine di confrontare più agevolmente le distribuzioni è stato anche proposto di sintetizzare l'andamento della curva in un coefficiente compreso fra -1 e 1, procedendo da concavo a convesso.

 

Analisi infrasito e a livello di manufatto, circolazione dei materiali

Nelle carte di distribuzione modificate vengono riportate le densità rilevate in ogni unità di superficie, sia all'interno dei siti, sia nei campi con presenze più sporadiche. Ciascuna unità di superficie viene caratterizzata in modo diverso, a seconda della classe di densità di materiali che occupa, offrendo così una visione immediata della distribuzione dei materiali antichi. Tenendo sempre ben presente le distorsioni e i limiti introdotti da una differente visibilità del territorio è possibile ad esempio individuare le zone in cui si è concentrata l'attività umana. Sulle carte di densità dei manufatti si possono infatti osservare concentrazioni particolari di manufatti, lacune e altre particolarità permettendo ad esempio di individuare zone di occupazione, di frequentazione, di concimazione. Per siti, specialmente rurali, di una certa consistenza è utile raggruppare i manufatti in classi funzionali distinguendo quelli legati alla mensa da quelli legati alla produzione e alle attività artigianali o agricole. Studiando così la distribuzione di queste classi è possibile individuare le aree produttive del sito, la parte domestica e gli altri contigui e funzionali settori artigianali e/o produttivi. 

Per analizzare la distribuzione dei manufatti, soprattutto nelle ricerche che prevedono il posizionamento di ogni singolo manufatto, sono stati impiegati strumenti come il vicino primo e altri metodi di studio dei gruppi di punti (25), regressioni e analisi di correlazione (26) e altri metodi dell'archeologia distribuzionale (27).

Una variante delle carte di fase prevede la realizzazione di una carta in cui vengano posizionati solo i siti che hanno restituito un determinato tipo o classe di manufatti. Ciò permette di avere un quadro immediato della distribuzione dell'oggetto o della classe di manufatti in questione consentendo anche di analizzare il grado di penetrazione di un certo genere di merci nel territorio o di individuare l'esistenza di rapporti commerciali. 

Può accadere che la diffusione di un oggetto avvenga a partire da un punto preciso del territorio come può essere il luogo di produzione o di penetrazione nel territorio stesso (ad esempio un porto). Nei casi in cui il luogo di origine sia noto è possibile studiare l'irraggiamento di questi prodotti nel territorio circostante. Alcuni modelli teorici predicono che man mano ci si allontani dal centro di produzione e/o diffusione la presenza dei materiali si riduce sempre più a causa dell'aumento di costo del viaggio sempre più lungo che i prodotti devono compiere (28). Pur con le dovute cautele è possibile quindi ipotizzare che «la percentuale di materiali in ciascun sito sia inversamente proporzionale alla distanza dall'origine» (29). Si possono quindi realizzare dei grafici che mettono in relazione la percentuale dei materiali e la distanza dal luogo di origine.

Per altri metodi quantitativi e analisi spaziali si veda la sezione: archeologia quantitativa.

 


(1) J. F. Cherry - S. Shennan, Sampling cultural Systems: some Perspectives on the Application of Probabilistic Regional Survey in Britain, in J. F. Cherry - C. S. Gamble - S. Shennan, Sampling in Contemporary British Archaeology, bar Brit. Series 50, Oxford 1978, pp. 17-48

(2) G. Azzena, La cartografia archeologica tra tematismo e topografia: una scelta di metodo, in M. Pasquinucci - S. Menchelli (a cura di), La cartografia archeologica: problemi e prospettive, Atti del Convegno (Pisa 1988), Pisa 1989, pp. 25-37

(3) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, p. 207

(4) M. Millet, Pottery: Population or Supply Patterns? The Ager Tarraconensis Approach, in G. barker - J. LLoyd (a cura di), Roman Landscapes. Archaeological Survey in the Mediterranean Region, Archaeological Monographs of the British School at Rome, Londra 1991, pp. 18-26

(5) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 210

(6) Sul concetto di visibilità 

(7) S. Shennan, Experiments in the Collection and Analysys of Archaeological Survey data: the East Hampshire Survey, Sheffield 1985

(8) N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia del Paesaggio, IV Ciclo di Lezioni sulla ricerca applicata in Archeologia, Certosa di Pontignano (Siena), 14-26 gennaio 1991, Firenze, All’Insegna del Giglio 1992, p. 592 

(9) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 223

(10) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., pp. 224-225

(11) Per un esempio condotto in Italia si veda: F. Cambi - E. Fentress, Il progetto topografico ager Cosanus-valle dell'Albegna, in G. Noyé (a cura di), Structures de l'habitat et occupation du sol dans les pays mediterranéens, Actes de la rencontre, Parigi 1984, Roma-Madrid 1988, pp. 165-179

(12) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 226 

(13) M. D. I. Chisholm, Rural Settlement and Land Use: an Essay in Location, Londra 1962

(14) Il primo esperimento di questo genere venne condotto in Palestina da Vita Finzi e Higgs nel 1970. I due ricercatori presero in considerazione un cerchio di 5 Km intorno ad ogni sito, cercando di valutarne le potenzialità produttive calcolando la percentuale di terreno arabile e a pascolo di ciascun bacino. Dall'analisi è emerso che i siti avevano accesso soprattutto a buoni pascoli anche se i terreni arabili non sono mai assenti del tutto. La preferenza per bacini misti, riscontrata in molte altre situazioni, è connessa probabilmente a economie di sussistenza che devono differenziare lo sfruttamento delle risorse. C. Vita Finzi - E. S. Higgs, Prehistoric Economy in the Mount Carmel area of Palestine: site Catchment Analysis, in "Proc. Prehist. Soc.", 36, 1970, pp. 1-37

(15) Per uno studio di questo genere: E. Brumfiel, Regional Growth in the Eastern Valley of Mexico: a Test of the "Population Pressure" Hypothesis, in K. Flannery, The Early Mesoamerican Village, New York 1976, pp. 234-249

(16) M. Angle et. alii, Un progetto di simulazione sulla distribuzione degli insediamenti pre e protostorici nel Latium Vetus, in "Quaderni di Dialoghi di Archeologia", 4, 1988, pp. 125-136 - A. Guidi, La ricerca di superficie in funzione della progettazione e realizzazione di opere pubbliche (strade, gasdotti, linee ferroviarie), in M. Bernardi (a cura di) Archeologia del paesaggio, cit., pp. 733-744

(17) Per un'applicazione di questo metodo si veda: "Applicazioni del GIS Idrisi alle ricerche topografiche nel comune di Cingoli"

(18) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 238

(19) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 239

(20) J. H. Von Thünen, Der isolierte Stadt in Beziehung auf Landwirtschaft und Nationaloekonomie, Amburgo, 1826  

(21) R. Paynter, Models of Spatial Inequality. Settlement Patterns in Historical Archaeology, New York, 1982

(22) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 242

(23) G. W. Conrad, Models of Compromise in Settlement Pattern Studies: an Example from Coastal Peru, in "World Achaeology", 9, 3, 1978, pp. 281-298 - E. Grant, Central Places, Archaeology and History, Londra 1986

(24) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 243

(25) K. W. Kintigh - A. J. Ammerman, Heuristic Approaches to Spatial Analysis in Archaeology, in "American Antiquity", 47, I, 1982, pp. 31-63

(26) H. Hietala, Intrasite Spatial Analysis, Cambridge 1984

(27) J. Ebert, Distributional Archaeology, New York 1992 ; C. Balista et alii, Alto-Medio Polesine Project, in "Accordia Research Papers", I, 1990, pp. 153-187 ; A. De Guio - R. Whitehouse - J. Wilkins (a cura di), Progetto Alto-Medio Polesine: quarto rapporto, in "Quaderni di Archeologia del Veneto", VI, 1990, pp. 217-238

(28) La preferenza per una merce non segue però sempre questo modello teorico. Hodder ha studiato un caso etnografico dell'Africa centrale in cui gli individui tendono ad acquistare da artigiani dello stesso gruppo tribale, anche se ciò comporta maggiori spese o spostamenti. Simili comportamenti sono stati rilevati anche in società primitive e complesse; I. Hodder, Symbols in Action, Cambridge 1982

(29) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 249

 

 


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