I
diversi strumenti interpretativi che solitamente vengono impiegati
nell'elaborazione dei dati muovono spesso da presupposti
diametralmente opposti e richiedono pertanto tipi di
documentazione archeologica differenti. Per evitare di trovarsi in
possesso di informazioni inutili e/o ridondanti è opportuno avere
ben chiara, fin dall'inizio della ricerca, l'idea delle questioni
che si intendono indagare e studiare. Cherry
e Shennan (1) hanno proposto quattro obiettivi principali per la
ricognizione archeologica: conoscere la distribuzione dei siti, la
densità dei siti per ogni fase, il rapporto tra siti e ambiente,
il rapporto dei siti fra loro. Anche se i quesiti posti dai
ricercatori sono generalmente più complessi e specifici i punti
indicati dai due autori definiscono quattro ambiti di ricerca
utili per suddividere le metodologie analitiche. Di seguito
verranno presentati alcuni metodi utilizzati nell'ambito
dell'interpretazione dei dati a seguito di una campagna di
ricognizione archeologica. Alcuni tipi di analisi
derivano direttamente dalla ricerca geografica, altri fanno uso di
metodi quantitativi e altri dei metodi tradizionali e delle
analisi informali e intuitive.
Carte
archeologiche
Per
l'analisi della distribuzione dei siti si utilizza prevalentemente
la carta archeologica generale e le carte di fase. I
risultati di alcune ricerche sono addirittura costituiti da una
sola carta archeologica corredata di alcune note illustrative. Nel
caso ad esempio di uno studio sulla viabilità antica, o su altre
strutture lineari (centuriazioni o canalizzazioni), sono necessarie
una ricognizione archeologica e una carta che mostri i tratti
stradali rinvenuti, la loro posizione e le dimensioni reali. Le
carte archeologiche sono inoltre necessarie quando si deve
considerare la posizione e l'orientamento dei siti fra loro o
rispetto ad altri elementi del paesaggio. I siti allineati lungo
un asso viario o strutture murarie conservate con orientamenti
simili possono essere rilevati solo con l'ausilio di una
appropriata cartografia.
Per
le analisi di dettaglio della distribuzione dei siti non
particolari (ad esempio, aree di frammenti fittili) sono sufficienti
delle carte tematiche (2). Le carte di fase rappresentano
l'esempio più diffuso di questo tipo di prodotto. In esse vengono
riportate esclusivamente i siti attribuibili a determinati periodi
cronologici. Per realizzare questo tipo di carta tematica è necessario
che si fissi la durata dei siti, che corrisponde al periodo di
tempo in cui si depositano i manufatti sul sito. La datazione dei
siti costituiti da aree di manufatti si basa sul materiale in esse
rinvenuto. «La datazione di un sito va dalla data più antica del
manufatto più antico in esso rinvenuto fino alla data più tarda
del manufatto più tardo. In pratica è più prudente attribuire i
siti ai periodi rappresentati da una quantità consistente di
manufatti ben databili» (3). Nel caso in cui i materiali di un
sito siano databili a due o più fasi non contigue fra loro è
opportuno valutare attentamente questi casi considerando il tipo
di sito, la durata delle lacune e la quantità dei manufatti
databili. La datazione dei siti particolari presenta problemi
diversi: i monumenti conservati in elevato possono essere datati
in base alla tecnica edilizia, alle fonti storiche o allo stile
del materiale epigrafico. Ma in questo modo è possibile datare
solo la costruzione o qualche altro momento significativo del sito
e non la sua intera storia. Quando manca l'indicazione fornita da
materiali mobili è molto difficile infatti tracciare l'evoluzione
di un sito dalla sua prima occupazione sino al definitivo
abbandono.
La
datazione di tutti i manufatti rinvenuti ha una particolare
importanza nella ricognizione: nei siti rurali infatti anche la
sola presenza di un frammento attesta la frequentazione in una
determinata epoca. La possibilità di datare i siti sulla base dei
manufatti varia a seconda di molti fattori diversi; esistono
periodi di cui sopravvivono soltanto pochi manufatti diagnostici (4) o intere classi di materiali per le quali non si dispone di
accurati repertori cronologici. Siti con queste caratteristiche
compaiono nella carta archeologica generale ma sono più difficili
da attribuire alle singole carte di fase.
La
carta di fase può essere considerata come lo strumento principale
per confrontare il popolamento nelle varie epoche dando
un'impressione immediata dello sviluppo e della distribuzione dei
siti rinvenuti. E' necessario tuttavia definire le singole fasi
attraverso il processo di periodizzazione. Esso può essere
condotto «in modi diversi a seconda delle esigenze interpretative
della ricerca. La suddivisione può essere, ad esempio, legata ad
avvenimenti macrostorici o momenti archeologicamente rilevanti. La
scelta è certamente più impegnativa per l'archeologia di età
storica, poiché per la preistoria e la protostoria vi sono
periodizzazioni già esistenti che agevolano il compito. Se le
carte devono servire a confrontare la densità dei siti in epoche
e luoghi diversi, è opportuno allora che le fasi scelte abbiano
durate all'incirca equivalenti. E' chiaro infatti che sulle carte
di fase possono coesistere siti di breve durata che non sono mai
stati contemporaneamente presenti sul territorio. Più si estende
cronologicamente una fase e maggiore tenderà ad essere il numero
di siti di questo genere, cosicché una fase più lunga rischia di
essere interpretata come più densamente popolata di una corta ma
in realtà analoga. Anche con fasi di eguale durata è possibile
che la carta di un periodo in cui i siti si spostano molto
frequentemente sembri più fittamente insediata rispetto a una con
minore mobilità. Ciò avviene perché nella prima tendono a
essere presenti un numero maggiore di siti mai esistiti
contemporaneamente» (5).
Altri
fattori di distorsione sono rappresentati da alcune
caratteristiche della cultura materiale, dall'atteggiamento dei
ricognitori e da una differente visibilità (6). Per quanto riguarda
la cultura materiale è chiaro che periodi caratterizzati da una
monumentalità delle costruzioni o da classi di manufatti
particolarmente resistenti, riconoscibili e ben databili,
tenderanno ad essere maggiormente rappresentati rispetto a periodi
in cui predominano edifici o materiali più facilmente deperibili.
Anche l'esperienza dei singoli ricognitori può essere causa di
distorsione. E' stato dimostrato che alcune classi di materiali,
come gli strumenti litici, tendono ad essere trascurate dai
ricognitori che non hanno una specifica esperienza (7). E'
importante, quindi, prendere in considerazione tutti i fattori che
possono introdurre i fattori di distorsione nell'analisi dei
dati dedotti dalle carte di fase.
Statistiche
riassuntive e demografiche
Il
totale dei siti localizzati dopo una campagna di ricognizione
archeologica ha una certa importanza nel valutare l'affidabilità
delle conclusioni che si ottengono dai dati raccolti. Dal punto di
vista statistico infatti maggiore è il numero di siti rinvenuti e
minori sono gli effetti delle distorsioni introdotte da fattori
casuali. Al contrario, con un basso numero di siti a disposizione
aumenta il rischio di incappare in tendenze che hanno poco o nulla
a che vedere con la realtà archeologica del passato.
Il totale
dei siti rinvenuti viene impiegato per valutare il potenziale
archeologico di un'area piuttosto che la densità del popolamento
in antico. Il numero di siti rinvenuti e la loro densità per
chilometro quadrato sono, come si è fatto notare più volte,
strettamente influenzati dalle
condizioni di visibilità e dall'intensità della ricerca. E' solo
a parità di condizioni di visibilità e di intensità che si
possono fare dei confronti sicuri fra quantità di siti rinvenuti
in contesti diversi (8). Densità di 2-4 siti per kmq in una
ricognizione sistematica intensiva (circa 10 giorni/uomo/kmq) in
un territorio con superficie visibile per il 30-60% rientrano
nella media delle zone non montuose italiane. Zone suburbane
possono arrivare, specie in Italia centrale, a 6-8 siti per
chilometro quadrato e anche più (9). A parità di superficie
ricognita e di intensità è possibile quindi fare un confronto fra le
diverse epoche. L'aumento del numero di siti attestati in una fase
rispetto alla precedente viene solitamente spiegato come
un'espansione demografica o di aumento di prosperità economica.
Allo stesso tempo, una diminuzione delle presenze può
corrispondere a un declino o all'abbandono di un contesto. Questo
tipo di osservazioni sono valide nel caso in cui i tipi e le
dimensioni dei siti risultino simili fra le differenti fasi. La
scomparsa di molti piccoli centri e la comparsa di grandi
insediamenti, ad esempio, non comporta necessariamente ad un calo
demografico.
Ulteriori
informazioni possono essere ottenute confrontando la percentuale
di siti nuovi rispetto a quelli la cui vita prosegue dalle epoche
precedenti o paragonare la situazione di aree diverse nella
medesima fase (10).
Per
ricostruire la situazione demografica del territorio nelle varie
fasi si utilizzano dei procedimenti piuttosto complessi e spesso
non esenti da grossolani errori. «La popolazione presente
nell'area ricognita viene stimata sulla base del totale delle
superfici dei siti rinvenuti; esso viene moltiplicato per una
costante di densità di abitanti per metro quadrato occupato (11).
Ad esempio, per una regione in cui si sono rinvenuti 50 siti per
complessivi 8000 mq insediati, si può stimare una popolazione di
200 abitanti, assumendo una media di 250 abitanti per ettaro
costruito, che può essere adatta per una società agricola
complessa» (12). E' opportuno valutare con estrema attenzione
stime di questo genere dal momento che non bisogna dimenticare che
i siti rinvenuti sono solo una frazione di quelli presenti in
antico; inoltre, non tutti i siti di una medesima fase sono
presenti allo stesso momento e la superficie occupata dall'area
di manufatti (il sito) solo raramente corrisponde alle dimensioni
reali del sito. Infine, il numero di abitanti per ettaro è un
parametro che può essere postulato soltanto facendo dei confronti
etnografici e storici che hanno un valore indicativo.
Rapporto
tra siti e ambiente
Per
studiare le interazioni fra i siti e l'ambiente è necessario
innanzitutto conoscere le caratteristiche geografiche del
paesaggio. Ciò si ottiene utilizzando la cartografia
appropriata (carte geologiche, geopedologiche, idrologiche, ecc.)
e le osservazioni di dettaglio fatte dagli stessi
ricognitori.
Per
lo studio dell'influenza dell'ambiente sul popolamento viene
spesso confrontata la posizione dei siti rispetto alla
conformazione ambientale del paesaggio. Si cerca cioè di
comprendere se i siti hanno una preferenza significativa per
particolari zone. Le variabili ambientali che possono influenzare
la scelta dell'insediamento sono numerose e non è sempre facile
individuare quelle che hanno una maggiore influenza. Per questo
scopo viene solitamente utilizzato il metodo delle stratificazioni
ambientali: il territorio si suddivide in "strati",
con caratteristiche ambientali simili, e si analizza poi il
rapporto dei siti con questi strati. Gli strati possono essere
scelti su base geologica, pedologica, idrografica, altimetrica. In
alternativa, si può prendere in considerazione la distanza dei
siti da particolari punti del paesaggio, suddividendo così il
territorio in strati equidistanti dalla linea di costa, da un
fiume o da zone particolari (come una cava o una miniera). Tabelle
e istogrammi, infine, che confrontano il numero e la densità dei
siti rinvenuti in ciascun strato facilitano il riconoscimento
delle associazioni significative. Anche in questo caso è comunque
opportuno utilizzare una discreta quantità di siti; una quantità
troppo piccola può infatti mostrare differenze appariscenti ma
assolutamente non significative.
Il
metodo delle stratificazioni ambientali ha il limite di
considerare soltanto il punto preciso in cui si trova il sito. Non
è da escludere che la scelta della posizione dell'insediamento
venga condizionata anche dal potenziale produttivo delle zone
circostanti. I geografi moderni, studiando gli insediamenti
agricoli delle società preindustriali, hanno infatti osservato
che la maggior parte della sussistenza degli abitati viene
ricavata da terreni che si trovano in un raggio di 2-3 Km dal sito
(13). Pertanto, per analizzare i mezzi di sostentamento e le
scelte dell'insediamento viene utilizzato il metodo del site
catchment (analisi del bacino di approvvigionamento) (14).
La tecnica del site
catchment
è basata sul principio che un gruppo umano tende a ridurre al minimo le energie necessarie per la sussistenza, scegliendo per l’impianto di
un insediamento, stabile o stagionale, la posizione che rende più
agevole lo sfruttamento di un determinato ambiente. L'applicazione
di questo metodo ha visto l'utilizzo di differenti raggi
(1-2-2,5-10 Km); in altri casi si è fatto corrispondere il bacino
dell'area raggiungibile in due ore di cammino dal sito.
Per
ricostruire l'evoluzione produttiva di una regione questa analisi
può essere combinata alle tipologie e alle cronologie dei siti,
confrontando la composizione media dei bacini di
approvvigionamento di siti di epoche e tipi diversi. La
produttività dei bacini di approvvigionamento viene talvolta
messa in relazione con le dimensioni dei siti; si ritiene infatti
che siti di grandi dimensioni avessero popolazioni corrispondenti
e necessitassero quindi di bacini piuttosto produttivi (15). Il
rapporto tra siti ed ambiente può essere analizzato anche a scopo
predittivo. Sulla base della conformazione ambientale si cerca di
di comprendere e formalizzare le logiche insediative antiche al
punto di poter prevedere la posizione dei siti stessi. Una
predizione che avviene tramite il calcolo delle probabilità che
in un dato luogo si trovi un sito di una certa fase e di un certo
tipo (16).
Rapporti
tra siti
Il
modo più semplice per analizzare la distribuzione dei siti è
quello di considerarli come punti in uno spazio piano, senza
dimensioni, gerarchie o caratterizzazioni. Le distribuzioni dei
punti così ottenuti possono essere sottoposte a differenti
trattamenti; uno dei più diffusi è il metodo dei poligoni di Thiessen
(17) che serve a suddividere geometricamente lo
spazio in zone di pertinenza di ogni punto. «A ciascuno dei punti
viene attribuito lo spazio che si trova più vicino a esso che a
qualunque degli altri punti. In altre parole, il territorio viene
suddiviso da linee che hanno la caratteristica di essere
equidistanti dai due punti a esse più vicini. Ne risultano dei
poligoni all'interno dei quali si trova sempre un solo punto. I
poligoni di Thiessen
mettono in evidenza le porzioni di spazio che gravitano
attorno ad ogni punto. Questo può essere utile per avere un
modello teorico della configurazione delle zone di influenza,
delle aree di approvvigionamento e degli ambiti di diffusione
relativi ai centri analizzati in questo modo» (18). Il paesaggio
ottenuto per mezzo di questo metodo è un modello ideale e
astratto; le suddivisioni vengono tracciate infatti come se il
territorio fosse uguale e i centri uguali per tipo e dimensione.
Per avere un modello più vicino alla realtà è possibile
adottare delle correzioni, tenendo conto della geografia e del
paesaggio invece di calcolare le distanze in linea d'aria; oppure,
è possibile anche attribuire ai siti una differente importanza
facendo passare i confini più lontani dai centri maggiori e più
vicini a quelli minori. Affinché il metodo dia buoni risultati è
necessario poter lavorare su siti della stessa tipologia e che la
loro distribuzione sia ben conosciuta. Per questi motivi i
poligoni di Thiessen
sono particolarmente adatti per lo studio dei territori
delle città antiche.
Tra
i metodi utilizzati per trattare le distribuzioni dei punti, al
fine di cogliere la configurazione, i raggruppamenti, la
casualità della disposizione, quello più diffuso è il nearest
neighbour (vicino primo). Questo metodo viene impiegato
per studiare le caratteristiche di una distribuzione o per
confrontare distribuzioni diverse, o parti di esse. Confrontando
la tendenza all'aggregazione o alla disposizione a distanza
regolari si possono individuare le differenti logiche insediative.
«Per ogni punto della distribuzione viene calcolata la distanza
da esso al punto più vicino. Dopodichè la media di queste
distanze (valore osservato) viene confrontata con il valore che si
avrebbe se la distribuzione dei punti fosse casuale (valore
atteso). Se il valore osservato è analogo a quello atteso
significa che la distribuzione dei punti è simile a uno
spargimento casuale. Se invece il valore osservato è
considerevolmente inferiore a quello atteso, vuol dire che i punti
sono raggruppati, poiché le distanze fra loro tendono a essere
basse. Nel caso opposto, invece, la media alta osservata significa
che i punti sono regolarmente distribuiti nello spazio, poiché
tendono ad avere fra di loro la massima distanza possibile» (19).
Nel 1826
il geografo von Thünen (20) propose un modello di sviluppo dell’hinterland di una
città. Osservò che le attività produttive attorno ad una città sono
fortemente condizionate dalla distanza del luogo di produzione dal
centro, cui devono affluire i prodotti. Ciò determina una serie di
anelli concentrici attorno alla città che mostra una progressiva
diminuzione di intensità man mano che ci si allontana da essa. Si cerca
di sfruttare infatti le zone vicine al centro urbano per le produzioni
più intensive e redditizie e per quelle che comportano alti costi di
movimento. I siti quindi legati a queste attività si disporranno nella
fascia più vicina al centro. Quelli connessi con produzioni più
estensive e con prodotti facilmente trasportabili, come la pastorizia,
verranno relegati nelle zone più distanti. Gli anelli di von Thünen
possono essere applicati solo ad una condizione ideale: quella della
città isolata in un territorio indifferenziato. Questa tecnica è stata
utilizzata in ricerche archeologiche (21) risultando
particolarmente utile per osservare l’influenza di un centro sul
paesaggio circostante.
Per
lo studio dell'organizzazione politica di un territorio alcuni
studi archeologici si rifanno alla teoria del sito centrale, Central
Place Theory, sviluppata negli anni Trenta del XX secolo dal
geografo tedesco Walter Christaller. «La teoria dei luoghi
centrali definisce la disposizione ottimale dei siti rurali in un
paesaggio indifferenziato, sulla base di due parametri: il numero
di livelli gerarchici nel sistema e il numero di siti minori per
ogni sito maggiore (fattore k)» (22). La teoria dei luoghi
centrali è raramente applicabile all'archeologia (23); il metodo
infatti è stato concepito per l'analisi di siti di cui siano
perfettamente note le dimensioni, le funzioni e tutto ciò che le
analisi geografiche possono rilevare. E raramente una ricognizione
archeologica di superficie può raggiungere un simile
dettaglio.
A
differenza dei precedenti metodi che sono derivati dalla
geografia, ve ne sono degli altri appositamente concepiti per lo
studio delle gerarchie di insediamento e dei sistemi sociali e
politici. Per analizzare la distribuzione del popolamento sul
territorio viene impiegato il metodo del rank-size,
cioè l'analisi di rango e dimensione. Geografi come Auerbach
avevano osservato, agli inizi del XX secolo, che «ordinando i
siti urbani e rurali in ordine di popolazione, la dimensione di
ognuno di essi tende ad essere pari a quella del sito più grande
della regione divisa per il posto (o rango) che il sito occupa
nell'ordine. Se il sito più grande ha, ad esempio, un milione di
abitanti, il venticinquesimo in ordine di grandezza dovrebbe
averne, secondo questa regola, 40.000. Se i siti vengono riportati
su un grafico (su scala semilogaritmica) per ordine di dimensioni,
si ottiene una configurazione che tende a una retta» (24).
Applicazioni archeologiche di questo metodo possono riguardare lo
studio dei siti di una stessa fase, prendendo in considerazione le
dimensioni dell'area dei manufatti o del sito stesso. Lo studio
degli scostamenti della curva generata dai siti rispetto alla
retta ideale può dare utili informazioni. E' molto frequente
infatti che la curva si discosti dalla retta ideale. Prendiamo due
differenti casi: la curva delle dimensioni dei siti può avere un
profilo concavo e passare al di sotto della retta ideale; oppure,
la curva ha un profilo convesso e passare al di sopra della retta.
Nel primo caso siamo in presenza di pochi grandi centri che
primeggiano su siti di dimensioni minori; nel secondo caso siamo
in presenza di grandi siti di dimensioni simili. Al fine di
confrontare più agevolmente le distribuzioni è stato anche
proposto di sintetizzare l'andamento della curva in un
coefficiente compreso fra -1 e 1, procedendo da concavo a
convesso.
Analisi
infrasito e a livello di manufatto, circolazione dei materiali
Nelle
carte di distribuzione modificate vengono riportate le
densità rilevate in ogni unità di superficie, sia all'interno
dei siti, sia nei campi con presenze più sporadiche. Ciascuna
unità di superficie viene caratterizzata in modo diverso, a
seconda della classe di densità di materiali che occupa, offrendo
così una visione immediata della distribuzione dei materiali
antichi. Tenendo sempre ben presente le distorsioni e i limiti
introdotti da una differente visibilità del territorio è
possibile ad esempio individuare le zone in cui si è concentrata
l'attività umana. Sulle carte di densità dei manufatti si
possono infatti osservare concentrazioni particolari di manufatti,
lacune e altre particolarità permettendo ad esempio di
individuare zone di occupazione, di frequentazione, di
concimazione. Per siti, specialmente rurali, di una certa
consistenza è utile raggruppare i manufatti in classi funzionali
distinguendo quelli legati alla mensa da quelli legati alla
produzione e alle attività artigianali o agricole. Studiando
così la distribuzione di queste classi è possibile individuare
le aree produttive del sito, la parte domestica e gli altri
contigui e funzionali settori artigianali e/o produttivi.
Per
analizzare la distribuzione dei manufatti, soprattutto nelle
ricerche che prevedono il posizionamento di ogni singolo
manufatto, sono stati impiegati strumenti come il vicino primo e
altri metodi di studio dei gruppi di punti (25), regressioni e
analisi di correlazione (26) e altri metodi dell'archeologia
distribuzionale (27).
Una
variante delle carte di fase prevede la realizzazione di una carta
in cui vengano posizionati solo i siti che hanno restituito un
determinato tipo o classe di manufatti. Ciò permette di avere un
quadro immediato della distribuzione dell'oggetto o della classe
di manufatti in questione consentendo anche di analizzare il grado
di penetrazione di un certo genere di merci nel territorio o di
individuare l'esistenza di rapporti commerciali.
Può
accadere che la diffusione di un oggetto avvenga a partire da un
punto preciso del territorio come può essere il luogo di
produzione o di penetrazione nel territorio stesso (ad esempio un
porto). Nei casi in cui il luogo di origine sia noto è possibile
studiare l'irraggiamento di questi prodotti nel territorio
circostante. Alcuni modelli teorici predicono che man mano ci si
allontani dal centro di produzione e/o diffusione la presenza dei
materiali si riduce sempre più a causa dell'aumento di costo del
viaggio sempre più lungo che i prodotti devono compiere (28). Pur
con le dovute cautele è possibile quindi ipotizzare che «la
percentuale di materiali in ciascun sito sia inversamente
proporzionale alla distanza dall'origine» (29). Si possono quindi
realizzare dei grafici che mettono in relazione la percentuale dei
materiali e la distanza dal luogo di origine.
Per
altri metodi quantitativi e analisi spaziali si veda la sezione: archeologia
quantitativa.
(1)
J. F. Cherry - S. Shennan, Sampling cultural Systems: some
Perspectives on the Application of Probabilistic Regional Survey
in Britain, in J. F. Cherry - C. S. Gamble - S. Shennan, Sampling
in Contemporary British Archaeology, bar
Brit. Series 50, Oxford 1978, pp. 17-48
(2)
G. Azzena, La cartografia archeologica tra tematismo e
topografia: una scelta di metodo, in M. Pasquinucci - S.
Menchelli (a cura di), La cartografia archeologica: problemi e
prospettive, Atti del Convegno (Pisa 1988), Pisa 1989, pp.
25-37
(3)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, p. 207
(4)
M. Millet, Pottery: Population or Supply Patterns? The Ager
Tarraconensis Approach, in G. barker - J. LLoyd (a cura di), Roman
Landscapes. Archaeological Survey in the Mediterranean Region,
Archaeological Monographs of the British School at Rome, Londra
1991, pp. 18-26
(5)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 210
(6)
Sul concetto di visibilità
(7)
S. Shennan, Experiments in the Collection and Analysys of
Archaeological Survey data: the East Hampshire Survey,
Sheffield 1985
(8)
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del Paesaggio,
IV Ciclo di
Lezioni sulla ricerca applicata in Archeologia, Certosa di
Pontignano (Siena), 14-26 gennaio 1991,
Firenze, All’Insegna del Giglio 1992, p. 592
(9)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 223
(10)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., pp. 224-225
(11)
Per un esempio condotto in Italia si veda: F. Cambi - E. Fentress,
Il progetto topografico ager Cosanus-valle dell'Albegna, in
G. Noyé (a cura di), Structures de l'habitat et occupation du
sol dans les pays mediterranéens, Actes de la rencontre,
Parigi 1984, Roma-Madrid 1988, pp. 165-179
(12)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 226
(13)
M. D. I. Chisholm, Rural Settlement and Land Use: an Essay in
Location, Londra 1962
(14)
Il primo esperimento di questo genere venne condotto in Palestina
da Vita Finzi e Higgs nel 1970. I due ricercatori presero in
considerazione un cerchio di 5 Km intorno ad ogni sito, cercando
di valutarne le potenzialità produttive calcolando la percentuale
di terreno arabile e a pascolo di ciascun bacino. Dall'analisi è
emerso che i siti avevano accesso soprattutto a buoni pascoli
anche se i terreni arabili non sono mai assenti del tutto. La
preferenza per bacini misti, riscontrata in molte altre
situazioni, è connessa probabilmente a economie di sussistenza
che devono differenziare lo sfruttamento delle risorse. C. Vita
Finzi - E. S. Higgs, Prehistoric Economy in the Mount Carmel
area of Palestine: site Catchment Analysis, in "Proc.
Prehist. Soc.", 36, 1970, pp. 1-37
(15)
Per uno studio di questo genere: E. Brumfiel, Regional Growth
in the Eastern Valley of Mexico: a Test of the "Population
Pressure" Hypothesis, in K. Flannery, The Early
Mesoamerican Village, New York 1976, pp. 234-249
(16)
M. Angle et. alii, Un progetto di simulazione sulla
distribuzione degli insediamenti pre e protostorici nel Latium
Vetus, in "Quaderni di Dialoghi di Archeologia", 4,
1988, pp. 125-136 - A. Guidi,
La ricerca di
superficie in funzione della progettazione e realizzazione di opere
pubbliche (strade, gasdotti, linee ferroviarie), in M. Bernardi (a cura di) Archeologia del
paesaggio, cit., pp.
733-744
(17)
Per un'applicazione di questo metodo si veda: "Applicazioni
del GIS Idrisi alle ricerche topografiche nel comune di Cingoli"
(18)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 238
(19)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 239
(20)
J. H. Von Thünen, Der isolierte Stadt in Beziehung auf Landwirtschaft und
Nationaloekonomie, Amburgo, 1826
(21)
R. Paynter, Models of Spatial
Inequality. Settlement Patterns in Historical Archaeology, New York, 1982
(22)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 242
(23)
G. W. Conrad, Models of Compromise in Settlement Pattern
Studies: an Example from Coastal Peru, in "World
Achaeology", 9, 3, 1978, pp. 281-298 - E. Grant, Central
Places, Archaeology and History, Londra 1986
(24)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 243
(25)
K. W. Kintigh - A. J. Ammerman, Heuristic Approaches to Spatial
Analysis in Archaeology, in "American Antiquity",
47, I, 1982, pp. 31-63
(26)
H. Hietala, Intrasite Spatial Analysis, Cambridge 1984
(27)
J. Ebert, Distributional Archaeology, New York 1992 ; C.
Balista et alii, Alto-Medio Polesine Project, in
"Accordia Research Papers", I, 1990, pp. 153-187 ; A. De
Guio - R. Whitehouse - J. Wilkins (a cura di), Progetto
Alto-Medio Polesine: quarto rapporto, in "Quaderni di
Archeologia del Veneto", VI, 1990, pp. 217-238
(28)
La preferenza per una merce non segue però sempre questo modello
teorico. Hodder ha studiato un caso etnografico dell'Africa
centrale in cui gli individui tendono ad acquistare da artigiani
dello stesso gruppo tribale, anche se ciò comporta maggiori spese
o spostamenti. Simili comportamenti sono stati rilevati anche in
società primitive e complesse; I. Hodder, Symbols in Action,
Cambridge 1982
(29)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, cit., p. 249
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Sommario |
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