«Per
molto tempo la ricognizione archeologica si è fondata sul presupposto (spesso non dichiarato) che la distribuzione originale dei siti sia
riconoscibile sul campo, rispecchiata in ciò che è visibile in superficie.
Si tende cioè a ritenere che la ricognizione possa rinvenire tracce di
tutti i siti una volta presenti sul territorio, o comunque una frazione più
o meno rappresentativa di essi. La maggior parte dei ricognitori sa
tuttavia che si incontrano frequentemente aree in cui le probabilità di
rinvenire siti sono rese molto basse da vari fattori (per non dire di quelle
che addirittura non sono accessibili). E' improbabile infatti che la
copertura di una fitta macchia o di una zona di cave recenti, per citare
solo due casi evidenti, consenta di rinvenire tracce di tutti i siti ivi
presenti. Se ci si presta attenzione, si può facilmente rilevare che in tutte le
situazioni geografiche vi è una parte più o meno grande del territorio
visibile (e quindi ricognibile) nel momento in cui si svolge l'indagine.
Ne consegue che alla ricognizione sfuggono certamente molti siti che
si trovano in zone non visibili, frustrando così l'ambizione di ottenere
la distribuzione completa dei siti. E' come se sul paesaggio antico
venisse steso un mosaico irregolare di tratti più o meno opachi che
possono mascherare o lasciar vedere la superficie originaria; questa
copertura assume configurazioni diverse a seconda delle stagioni e
dell'anno» (1).
Solo
di recente il problema della visibilità e il suo influsso sulla
strategia e sui risultati di una ricognizione è stato preso in
considerazione (2) «anche se si è lontani dal definire una
procedura collaudata per trattare questa variabile» (3). Molti
studiosi hanno oramai dimostrato quanto la visibilità abbia un
fondamentale ruolo nel determinare/condizionare sia la
distribuzione/individuazione dei siti sia la
distribuzione/individuazione dei manufatti all'interno del singolo
sito.
In molti
progetti di ricerca la visibilità è stata misurata solo
empiricamente e spesso i suoi effetti sono stati sottovalutati
(4). E' stata cioè definita una scala di visibilità destinata a
"tarare" i risultati, a correggere quindi le distorsioni
dovute alla differente visibilità. Gli autori che hanno proceduto
in questo senso
«non
chiariscono però in che modo le classi di visibilità siano
definite e, soprattutto, in che modo influenzino la strategia di
ricognizione e la elaborazione dei dati»
(5).
«Nel Boeotia
Survey (6), ad esempio, il problema viene preso in considerazione, ma solo per essere risolto concludendo che al rilevamento
di superficie sfugga una frazione costante dei siti esistenti in antico
(Bintliff, Snodgrass, 1985). In base a un confronto con le fonti
letterarie, si giunge a stimare questa frazione intorno al 43%. Seguendo
questa linea di ragionamento, sarebbe sufficiente immaginare una
distribuzione più fitta di quella rinvenuta per ottenere quella
originariamente esistente. Questo procedimento è accettabile solo nel caso in cui
le zone non visibili siano omogeneamente distribuite sul territorio,
senza concentrazioni particolari. Accade però quasi sempre che le
zone visibili e non visibili sono molto disomogeneamente distribuite,
risultando dall'interazione di fattori locali diversi. Intere vallate,
pianure o gruppi montuosi possono costituire aree non visibili di decine di
chilometri quadrati di ampiezza, mentre altrove si possono avere
estese zone prevalentemente visibili» (7).
Le
condizioni della superficie determinata dalla vegetazione presente
e dai lavori agricoli e le dinamiche geopedologiche di erosione e
accumulo sono i fattori più frequentemente considerati per
valutare il grado di visibilità. L'intensità e il tipo di
coltura o vegetazione possono condizionare enormemente la
possibilità di vedere la superficie. Non bisogna inoltre
dimenticare che, a seconda del periodo dell'anno, la stessa
superficie si può presentare in modo del tutto diverso (arato,
fresato, stoppie). Anche per questo motivo è importante
documentare, in fase di ricognizione, lo stato di superficie
piuttosto che fare riferimento ad una carta dell'uso del
suolo.
L'influenza
di fenomeni geopedologici sulla visibilità è invece più
difficile da individuare. Sono molte le ricerche che hanno
sottolineato l'importanza e la diffusione dei fenomeni di accumulo
e erosione recente nel bacino del Mediterraneo (8). E' risultato
chiaro che la deposizione, negli ultimi duemila anni, di vari
metri di sedimenti alluvionali (younger fill) doveva aver
coperto le tracce di numerosi siti archeologici. La ricognizione
della piana di Acconia (9), in Calabria, ha dimostrato per la
prima volta l'impatto dei fenomeni geopedologici sulla
possibilità di rinvenire dei siti: i siti neolitici sono infatti
visibili solo in quelle zone che si sono mantenute inalterate da
quell'epoca (le cosiddette "finestre geopedologiche").
Vi sono certamente anche altri fenomeni che ostacolano la
visibilità (10), basti pensare alle condizioni di luce e di
umidità del terreno che si incontra durante una ricognizione.
Per
classificare empiricamente le condizioni osservate durante la
ricognizione viene utilizzata di solito una scala ordinale. «Nel caso del Megalopolis
Survey, ad esempio (11), è stata adottata una scala da 1 a 3, mentre nel Boeotia Survey essa va da
1 a 5 (12). Questi rilevamenti, oltre ad avere un carattere impressionistico, non
vengono però impiegati per studiare l'influenza della visibilità sui
risultati della ricognizione. Questo avviene invece nel Keos Survey
(13), che adotta una scala da 1 a 100; gli autori, dopo aver elaborato i dati
raccolti, concludono che gli effetti della visibilità sulla ricognizione non
sono preponderanti» (14).
Gli effetti della vegetazione e dei fenomeni geopedologici sono ancora più
evidenti sulla distribuzione dei singoli manufatti. Nel progetto
"Hvar Survey" (15) si è fatto uso
di classi di visibilità della superficie basate sulla vegetazione
(da 1 a 10) e che vengono poi utilizzati per correggere
i valori di densità dei manufatti rilevati all'interno del
singolo sito. In altri studi (16) sono invece stati analizzati i
fenomeni di erosione e di accumulo in rapporto alla
distribuzione dei manufatti.
Nella
ricognizione della Valle del
Cecina (17) la visibilità
incontrata al momento della ricognizione è stata sistematicamente registrata campo per
campo su carte catastali 1:5.000 documentando la copertura
vegetazionale e lo stato della superficie. In entrambi i
casi è stato adottato un codice costituito da una lettera
che individuava la singola coltura (ad esempio, cereali, mais,
ecc.) e le condizioni del terreno (ad esempio, arato, fresato,
ecc.). Le situazioni
rilevate sono poi state raggruppate in quattro principali classi di
visibilità: arato, fresato o simili, vegetazione leggera,
vegetazione coprente. Si è poi proceduto a calcolare, per ogni
quadrato, la percentuale attribuibile a ciascuna classe; ciò ha
permesso di conoscere sia la distribuzione delle coperture sul
territorio sia la percentuale di superficie ricognita per ogni
classe (18). Calcolando poi il totale della superficie ricognita
per ogni classe e il numero di siti rinvenuti in ciascuna della
classi si può ottenere il tasso di siti per kmq presenti in ogni
classe. Ciò dimostra che vi sono coperture vegetazionali sulle
quali tendono ad esserci meno siti che in altre classi (es.,
mentre il fresato è solo poco meno visibile dell'arato, con la
vegetazione leggera si riduce quasi della metà). «Le misure di
visibilità così ottenute restano naturalmente relative e non
assolute. Possiamo infatti fare l'ipotesi che le zone a
vegetazione leggera siano visibili circa metà di quelle arate ma
questo non ci dice quanto siano visibili in assoluto. Tuttavia
stime di quanto ciascuna classe sia visibile rispetto alle altre
possono consentire di correggere quantitativamente su di una carta
di distribuzione le deformazioni introdotte dalle differenze di
visibilità; come pure di confrontare la densità di siti fra zone
diverse correggendo numericamente i dati di densità in base a
quelli di visibilità, consentendo comunque una ricostruzione del
paesaggio più affidabile» (19).
Sulla
base di carte geologiche 1:25.000 si è proceduto anche a
suddividere il contesto geografico in zone che presentano
caratteristiche geopedologiche simili, distinguendo soltanto i
depositi alluvionali recenti dagli altri depositi del Quaternario
della pianura costiera che sono rimasti relativamente stabili
nelle ultime migliaia di anni (20). In questo caso sono state
quindi adottate solo due classi di visibilità: alluvioni recenti,
altre coperture quaternarie. Come per la copertura vegetazionale
anche in questo caso si è osservata una consistente differenza di
variazione nelle percentuali di superficie relative a ciascuna
delle due classi da quadrato a quadrato. La presenza di pochissimi
siti nelle fasce degli accumuli recenti indica chiaramente che
questo tipo di copertura ostacola fortemente la visibilità dei
siti.
Combinando
spazialmente le due carte, e quindi le relative classi di
visibilità, si è ottenuta una carta complessiva della
visibilità che tiene conto sia della vegetazione che della geopedologia.
«Si era pensato, in un
primo momento che fosse sufficiente calcolare, per ogni quadrato,
le percentuali relative ai due fattori solo a livello numerico. È
risultato chiaro, invece, che è necessario combinare i due
mosaici spazialmente, calcolandone le intersezioni; cancellando
così il rischio che correlazioni nella distribuzione di questi
due fenomeni falsassero il procedimento.
Questo
punto, apparentemente astruso, può essere esemplificato vedendo
in dettaglio il caso di un singolo quadrato, caratterizzato da una
forte presenza di accumuli alluvionali. Essendo l'arato il 19,3 %
della superficie del quadrato e le coperture non alluvionali il
44,9 %, si sarebbe portati a ritenere che le zone arate e con
copertura non alluvionale fossero stimabili a 0.193 x 0.449 =
0.0866, cioè circa 1'8.6 %. In realtà le cose stanno
diversamente se si vede il tutto in termini spaziali. Andando a
sovrapporre il mosaico determinato dalla vegetazione con quello
relativo alla geopedologia si nota che, in questo specifico caso,
la sovrapposizione genera risultati sorprendenti: la maggior parte
dei campi con una situazione vegetazionale favorevole si trovano
nella zone delle coperture alluvionali e, viceversa, la zona non
alluvionale presenta prevalentemente campi con vegetazione leggera
o coprente. In particolare i campi arati si trovano tutti nelle
zone di alluvione, e vi è quindi lo 0% di campi arati su buona
pedologia invece che l'8,6 % che si poteva immaginare.
E'
più corretto insomma distinguere otto classi 'combinate', che a
questo punto possiamo definire di visibilità, determinate da
tutte le sovrapposizioni possibili fra le quattro classi
vegetazionali e le due geopedologiche. Per riassumere e rendere
leggibili in grafico questi risultati si possono poi semplificare
le otto classi a quattro (21). È possibile così apprezzare
complessivamente che la visibilità di questo quadrato, analizzata
spazialmente, è molto minore di quanto si potesse, intuitivamente
o anche numericamente, immaginare.
Quale
è il succo di questa complessa esemplificazione? Semplicemente
quello di sottolineare che prima di interpretare e costruire su un
dato come la scarsezza di siti in un kmq (nell'esempio in
questione ne è stato trovato solo uno) può essere salutare
cercare di capire quali fenomeni siano al lavoro nella produzione
di questa informazione. Sia che si faccia tutela o che si faccia
ricerca (e ammesso che questa distinzione abbia un senso) quello
discusso sembra comunque essere un punto di notevole rilevanza.
Per
valutare compiutamente il peso relativo di queste otto classi di
visibilità ai fini della possibilità di rinvenire siti
occorrerebbe quantificarne numericamente l'influenza. La strada
che si sta perseguendo a questo scopo è quella di calcolare la
densità di siti per kmq rinvenuti su ciascuna delle otto classi,
analogamente a quanto si è fatto per la sola vegetazione; in
questo modo si può ottenere una misura delle distorsioni
introdotte dai fenomeni vegetazionali e pedologici sulla
distribuzione dei siti, sulla quale basarsi per correggere i dati
raccolti» (22).
(1)
F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
NIS, Urbino 1994, p. 151
(2)
J. A. Lloyd - E. J. Owens - J. Roy, The Megalopolis Survey in
Arcadia, in S. Macready - H. Thompson, Archaeological Field
Survey in Britain and Abroad, Society of Antiquaries
Occasional Papers 6, London 1985, pp. 217-224; J. Bintliff - M. A.
Snodgrass, The Cambridge/Bradford Boeotia Expedition: The First
Four Years, in "Journal of Field Archaeology, 12, 2,
1985, pp. 123-161; J. Bintliff, The Roman Countryside in Central
Greece: Observations and Theories from the Boeotia Surveys
(1978-1987), in in G. Barker - J.
Lloyd, Roman Lanscapes.
Archaeological Survey in the Mediterranean
Region, Archaeological Monographs of the British School
at Rome, 2, London 1991, pp.
122-132
(3)
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio, IV
ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in Archeologia.
Certosa
di Pontignano (Siena), 14 - 26 gennaio 1991,
Edizioni All’Insegna del Giglio, Firenze 1992,
p. 565
(4)
J. F.
Cherry - J. L. Davis - E. Mantzourani, Landscape Archaeology As
Long-Term History. Northern Keos in the Cycladic Islands, Los
Angeles 1991, pp. 38-54
(5)
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit. p. 565
(6)
J. Bintliff - M. A.
Snodgrass, The Cambridge/Bradford Boeotia Expedition: The First
Four Years, cit.
(7)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit. p. 153
(8)
C. Vita Finzi, The Mediterranean Valleys, Cambridge 1969
(9)
A.J. Ammerman, The Acconia Survey: Neolithic Settlement and the
Obsidian Trade, "Inst. of Arch. Occ. Publ.", 10,
London 1985
(10)
Per una dettagliata esposizione di tutti i possibili fenomeni che
influenzano la visibilità di un sito si veda M. B. Schiffer, Formation
Processes of the archaeological Record, University of New
Mexico Press, Albuquerque 1987, pp. 235-262
(11)
J. A. Lloyd - E. J. Owens - J. Roy, The Megalopolis Survey in
Arcadia, in S. Macready - H. Thompson, cit.
(12)
J. Bintliff - M. A.
Snodgrass, The Cambridge/Bradford Boeotia Expedition: The First
Four Years, cit.
(13)
J. F.
Cherry - J. L. Davis - E. Mantzourani, Landscape Archaeology As
Long-Term History. Northern Keos in the Cycladic Islands, cit.
(14)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit. p. 156
(15)
V. L. Gaffney - J. Bintliff - B. Slapsak, Site Formation
Processes and the Hvar Survey Project, Yugoslavia, in J.
Schofield, Interpreting Artefact Scatters. Contributions to
Plough-zone Archaeology, Oxbow Monographs 4, Oxford 1991, pp.
59-77
(16)
M. J. Allen, Analysing the Landscape: a Geographical Approach
to Archaeological Problems, in J. Schofield, Interpreting
Artefact Scatters. Contributions to Plough-zone Archaeology, cit.,
pp. 39-58
(17)
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit., pp.
561-596; E. Regoli, Il progetto di ricognizione topografica
della Valle del Cecina, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit., pp.
545-560
(18)
Si è notato che «in generale non si possono identificare zone ad
alta o bassa visibilità, ma esistono differenze molto forti anche
in quadrati adiacenti. Da qui si viene a concludere che i fenomeni
in questione si distribuiscono sul territorio in modo molto
irregolare e disomogeneo. Questo ci ha confermato, almeno per la
zona esaminata la necessità di un lavoro di questo genere:
variazioni nella visibilità di questa portata, se ignorate,
rischiano di deformare cospicuamente la distribuzione dei siti»,
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit. pp.
579-580
(19)
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit. p. 583
(20)
Una scelta che risulta adeguata per il periodo classico e non per
quello preistorico; per quest'ultimo periodo sarebbe infatti stato
necessario un lavoro completamente diverso, N.
Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit. p. 583
(21)
VG: arato e fresato su geopedologia non alluvionale - vG:
vegetazione leggera su geopedologia non alluvionale - Vg: arato e
fresato su geopedologia alluvionale - vg: vegetazione leggera su
geopedologia alluvionale e vgetazione coprente
(22)
N. Terrenato, La ricognizione della Val di Cecina: l'evoluzione
di una metodologia di ricerca, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio,
cit. pp.
584-591
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