Una
ricognizione archeologica di superficie, come è già stata
evidenziato in precedenza, permette di ottenere una visione
parziale, tra l'altro fortemente condizionata dalle condizioni
ambientali e da altri variabili, dell'antico popolamento di una
regione. Per questo motivo la scelta più logica parrebbe quella
di progettare una raccolta dei dati in modo da garantire una base
con la quale chiarire quelle particolari questioni storiche che
hanno mosso la ricerca. La documentazione archeologica può essere
raccolta in differenti modi anche a seconda del tipo di sito che
ci si trova di fronte.
Siti
particolari
Con
questo termine possono essere definiti tutti i siti e le tracce
che non sono rappresentate dai manufatti nei campi (1). Presentano
una grande varietà di forme e appartengono soprattutto a
insediamenti rurali: edifici residenziali e/o produttivi, reti
stradali, impianti idraulici e sepolture (2).
Tra
i siti particolari rientra anche il materiale archeologico
(elementi architettonici e epigrafi) e parti di edifici antichi
(in alzato o in fondazione) reimpiegato e inglobati in edifici
posteriori e moderni. I resti di antiche strutture possono essere
riportati sia nelle cartografia storica che in quella attuale. Di
solito nelle antiche carte sono riprodotti attraverso differenti
simbologie mentre nelle cartografia moderna i ruderi sono
rappresentati tramite gruppi di puntini. Anche se spesso figurano
ruderi di edifici moderni è sempre opportuno controllare
sistematicamente tutte le evidenze riportate sulla cartografia.
Per localizzare siti di questo tipo può essere importante anche
informarsi presso gli abitanti del luogo o gli eruditi locali (3).
Da loro è anche possibile ottenere indicazioni sulla provenienza
dei reperti reimpiegati nelle murature.
Un'altra
importante categoria di siti particolari è rappresentata dalle
tracce lineari sul paesaggio: strade, canalizzazioni, divisioni
confinarie, centuriazioni. Ciò che in generale permette di
identificare come prodotti antropici queste tracce è proprio il
loro aspetto rettilineo o comunque anomalo rispetto al paesaggio
naturale. Anche se a volte si possono rinvenire prove tangibili di
queste evidenze (ad esempio, per le strade dei tratti di basolati)
molto più spesso sono individuati tramite l'analisi della
fotografia aerea o da configurazioni particolari riscontrabili sul
territorio. La maglia regolare e ortogonale della viabilità o
della suddivisione in particelle agricole di epoca romana infatti
condizionano fortemente le strade e la divisione confinaria delle
epoche successive fino a quella attuale.
Un'analisi
del territorio che si contraddistingue da un rilevamento esclusivo
dei siti di maggiori dimensioni, sia aree di manufatti di estese
proporzioni che siti particolari, può condurre ad un'analisi
parziale e incompleta del popolamento antico. Si rischia infatti
di ricostruire un paesaggio quasi esclusivamente composto da siti
legati agli strati più alti della società antica; sia le ville
che le grandi necropoli, ad esempio, ci informano sulla vita e
l'economia dei ceti più abbienti lasciando completamente
nell'ombra la fascia, decisamente più estesa, di popolazione
legata ad un'economia di sussistenza e scambi locali. Ricognizioni
a bassa intensità quindi tendono a introdurre nei risultati un
pregiudizio (un bias) a favore dei siti monumentali e di
grandi dimensioni, falsando certamente la ricerca e l'analisi
storica del paesaggio antico.
Manufatti
portati in superficie dai lavori agricoli
L'adozione
dell'agricoltura meccanizzata, a partire all'incirca dalla metà
del XX secolo, ha comportato un generale e intenso stravolgimento
dei suoli intaccando anche stratificazioni archeologiche. Una
grande quantità di manufatti si è così trovata
decontestualizzata nello strato superficiale di aree sottoposte a
lavorazioni agricole. Le caratteristiche del materiale
superficiale può fornire indicazioni sulla cronologia, la
tipologia e le dimensioni del sito che è stato intaccato o
distrutto. A volte è anche possibile, analizzando la
distribuzione dei manufatti, individuare l'articolazione interna
del sito.
Sia
le arature che altri fattori degrado progressivamente i manufatti
portati in superficie; essi vengono sminuzzati e dispersi,
aggrediti in superficie da muffe e funghi, fluitati dall'acqua e
raccolti dai contadini o dagli "archeologi della
domenica". Anche se una nuova stratificazione viene intaccata
e altro materiale viene portato in superficie dai lavori agricoli,
proprio a causa della vita media molto breve di queste evidenze,
«l'indicatore archeologico diviene sempre meno leggibile e infine
scompare del tutto» (4). Ed è proprio sulla base di queste
considerazioni che sin dalla fine del 1950 gli archeologi,
principalmente di scuola britannica, hanno cominciato ad occuparsi
dei manufatti disseminati sui campi coltivati.
Sito,
extrasito, nonsito
Fin
dai primi progetti che prevedeva l'analisi della distribuzione dei
manufatti nei campi coltivati venne definito il concetto di
"sito" come una concentrazione di manufatti e che
corrispondeva ad un antico sito sepolto. La maggior parte delle
indagini topografiche del passato supponeva che «il paesaggio
archeologico fosse diviso da una parte in siti distinti e
riconoscibili e, dall'altra, in zone più o meno vuote. Tuttavia,
studi etnoarcheologici indicano che gran parte della caccia e
dell'attività pastorizia nella preistoria in genere lascia
piccole quantità di resti sparsi in un raggio di qualche
centinaio di metri, al contrario di quanto avviene per i siti che
normalmente gli archeologi si aspettavano di trovare. Allo stesso
modo, anche l'archeologia delle società agricole (sia
preistoriche che storiche), non è fatta di un'alternanza di siti
e di zone vuote: le varie densità di archeologia in superficie
sono come una carta topografica con curve di livello, con punte di
diverse misure rappresentanti diverse forme di insediamento e
cumuli isolati e resti sparsi rappresentanti una gamma di
attività agricole e industriali come la concimazione, la
pastorizia, il lavoro dei carbonai e la cura dei boschi» (5).
Rispetto alle prime formulazioni il concetto di sito è stato
messo in discussione e definito in altro modo (6) arrivando così
a definizioni qualitative più chiare; secondo Ammerman il sito
"è una concentrazione anomala di manufatti rispetto alla
dispersione di manufatti erratici che caratterizza molte aree
coltivate" (7).
Nell'ambito
dell'archeologia processuale sono stati poi adottati dei criteri
quantitativi per delimitare l'estensione di un sito; si sono
definite delle soglie di densità dei materiali per metro quadrato
al di sopra del quale si avrebbe un sito. La stessa varietà dei
valori impiegati nei differenti lavori (8) fanno dubitare
sull'oggettività e scientificità che questi progetti
rivendicano. Inoltre, sono molti i fattori di disturbo (si vedano
i problemi inerenti la visibilità di un territorio e l'intensità
della ricerca) che «possono inficiare il valore comparativo delle
densità di manufatti quantificate in termini assoluti» (9).
Sarebbe più logico e corretto intendere per sito un'area che
presenta una densità di manufatti nettamente superiore alla media
osservata nella regione indagata ("abnormal density above
background scatter") (10). A questo punto «è venuto
spontaneo concepire la distribuzione dei manufatti sul territorio
come un continuum di presenze più o meno dense che viene
suddiviso in "sito" e presenze "extrasito".
Queste ultime vengono a costituire una sorta di rumore di fondo
sul quale spiccano i siti» (11). Le ultime tendenze hanno
iniziato a prendere in considerazione, quindi, anche i materiali
di superficie che non rientrano nella definizione di sito e che in
passato venivano definiti come "erratici" o
"sporadici", le presenze extrasito appunto. Questi
materiali costituiscono le testimonianze di frequentazioni umane e
attività che si svolgevano al di fuori dei siti (ad esempio, la
concimazione dei campi avveniva spargendo il letame e rifiuti
domestici che contenevano anche ceramica e altri materiali
precedentemente buttati nel mucchio del letame).
Tuttavia
anche la distinzione fra "sito" e "extrasito"
comporta la necessità di stabilire una soglia quantitativa per
discernere le due categorie. Un approccio profondamente diverso al
problema consiste quindi nell'abbandonare il concetto di sito come
unità minima di raccolta dei dati per prendere in considerazione
la distribuzione sul territorio dei singoli manufatti (non sito).
In questo modo si fa a meno della definizione del concetto di sito
e di extrasito, e conseguentemente di ogni soggettività nella
ricognizione, e si rileva direttamente la presenza dei manufatti
sul campo (non site survey, metodo della ricognizione senza
siti) (12). Se per le culture non stanziali questo tipo di
ricognizione è probabilmente l'unica via praticabile (13) essa
pone dei complessi problemi metodologici dal momento che
l'incidenza dei fattori di disturbo rimangono difficili da
valutare e quantificare. L'intensificazione delle ricognizioni a
livello di manufatto ha portato a nuove ricerche che hanno come
campo di studio l'interazione fra la stratigrafia in situ,
i lavori agricoli e la distribuzione dei manufatti nelle zone
arate. Questo filone di studi delle zone arate (ploughzone
studies) mira a comprendere l'effetto dei lavori agricoli
sulla distribuzione dei manufatti attraverso l'impiego di
ricognizioni ripetute ed esperimenti e simulazioni al computer. In
alcuni esperimenti (14) sono state creati dei siti artificiali
disseminando nei campi sottoposti ad arature dei manufatti
artificiali (contrassegnati per essere poi singolarmente
identificati); tornando in anni successivi è stato possibile
seguire lo spostamento orizzontale e verticale dei singoli
manufatti sul campo, nonché il loro progressivo sminuzzamento. I
risultati hanno dimostrato che sono sufficienti pochi cicli di
arature affinché la distribuzione dei manufatti si trasformi
radicalmente e la configurazione spaziale si alteri; la densità
dei manufatti cala progressivamente, mentre le dimensioni del
sito, in conseguenza della dispersione dei manufatti, tendono ad
aumentare. Simulazioni al computer di questi processi, svolte
sulla base dei dati ottenuti negli esperimenti condotti sul campo,
mostrano risultati sostanzialmente simili (15). Oltre agli effetti
dei lavori agricoli ci sono altri fattori che condizionano la
distribuzione dei manufatti sul paesaggio; i fenomeni pedologici
di erosione e di accumulo possono far aumentare o diminuire le
densità dei manufatti (16). La visibilità delle superficie, le
condizioni di luce e tutti gli altri fattori che sono già stati
evidenziati precedentemente (vedi la sezione dedicata alla
visibilità) dimostrano come nella distribuzione dei manufatti
giochino delle variabili assolutamente casuali e non
quantificabili che rendono poco affidabili le elaborazioni a
livello di manufatto.
Per
queste ragioni sono stati sollevati dei dubbi sull'utilità di
queste procedure che comportano un grande dispendio di tempo e
risorse (molto maggiori rispetto alle ricognizioni tradizionali)
per raccogliere dati molto complessi o addirittura impossibili da
interpretare e analizzare. «La definizione di sito e le procedure
da impiegare per la sua documentazione restano insomma un punto
ancora particolarmente controverso nel dibattito metodologico
globale» (17).
Documentazione
e cartografie
Nelle
ricognizioni sistematiche i ricognitori si dispongono a distanza
regolare percorrendo l'area per linee parallele. La distanza, che
viene usata anche per misurare il grado di intensità applicato
alla ricerca, può variare anche molto. Chiaramente, minore è lo
spazio e maggiori possibilità si hanno di individuare siti.
Procedendo in questo modo vengono raccolti tutti i manufatti che
si incontrano. Nel caso venga individuato un sito i ricognitori si
raggruppano presso la concentrazione per raccogliere i materiali e
documentare l'evidenza. Il sito viene posizionato sulla carta e
descritto in apposite schede; dei materiali vengono raccolti
quelli che possono fornire indicazioni utili alla cronologia e
all'interpretazione del sito, oltre naturalmente ai manufatti di
particolare rilevanza. Il posizionamento delle aree di manufatti
può avvenire in vari modi; le
aree vengono cartografate misurando la densità e la distribuzione
dei manufatti in unità geometriche (campi o unità) piuttosto che
con rilievi topografici. In altri casi si riportano i contorni
dell'area su una carta topografica o si misurano le
dimensioni e la distanza da un preciso punto. A
volte il sito viene semplicemente posizionato a occhio (eyeballing)
o contando i passi (pacing). Questi ultimi metodi risultano
accurati se si impiegano cartografie a denominatore molto alto (da
2.000 a 10.000); con esse è infatti possibile agganciare il sito
con una certa precisione.
Il
materiale extrasito, che viene anch'esso documentato e raccolto,
è classificato generalmente come materiale sporadico o erratico.
Come si è visto poco sopra, la distinzione fra "sito" e "extrasito"
comporta la necessità di fissare una soglia di densità. L'area
da indagare viene quindi suddivisa in unità di superficie uguali,
generalmente di forma quadrata o rettangolare
("quadrettatura"). Ciascuna unità viene ricognita
separatamente contando, e poi confrontando, il numero di manufatti
rinvenuti in ognuna di esse. «Fissata una soglia di densità, si
stabilisce che i siti corrispondono agli insiemi di unità
contigue che oltrepassano questo limite» (18). Sono state anche
elaborate delle tecniche più rapide (19) che prevedono una
disposizione dei ricognitori per file parallele, aiutati da una
bussola, e a distanze esattamente uguali, verificate con fettucce
metriche. Si procede poi alla raccolta dei manufatti in ogni
singola strisciata (20). «Anche in questo modo si ottiene una
raccolta frazionata dei manufatti che, pur se meno precisa, dà
comunque un'idea della distribuzione con una precisione tale da
consentire l'uso di criteri quantitativi per la definizione del
sito» (21).
Nelle
ricognizioni senza siti ogni unità in cui è stato diviso il
territorio da indagare viene ricognita separatamente e con la
stessa procedura. Un'ulteriore intensificazione delle
documentazione si può avere adottando una "ricognizione a
livello di manufatto", registrando cioè la posizione precisa
di ogni singolo materiale (22).
Ricognizioni |
Adottano
il sito? |
Documentazione
della presenza extrasito |
Strategie
per i manufatti |
. |
. |
. |
. |
a
livello di sito |
si |
no |
raccolti
solo nei siti |
a
livello di sito |
si |
si |
raccolti
nei siti e nelle presenze extrasito |
a
livello di manufatto |
si |
si |
raccolti
per unità di superficie |
a
livello di manufatto |
no |
no |
raccolti
per unità di superficie |
a
livello di manufatto |
no |
no |
posizionati
singolarmente |
Schema
delle principali opzioni metodologiche |
Insieme
alla documentazione archeologica è utile anche raccogliere i dati
e realizzare cartografie non propriamente archeologiche. La
situazione ambientale e osservazioni di tipo etnologico o
sociologico possono contribuire infatti alla ricostruzione del
passato:«nel presente sopravvivono talvolta elementi che
contengono tracce della realtà antica; più spesso le condizioni
attuali influenzano la possibilità di rilevare le tracce
archeologiche» (23).
Le
carte di visibilità sono un tipo di cartografia che viene
realizzata durante la ricognizione e risulta estremamente utile
nel momento dell'elaborazione dei dati per valutare l'effetto
della visibilità sulla distribuzione dei siti rinvenuti. In esse
viene riportata la visibilità, campo per campo, incontrata
durante la ricognizione. Per redigere queste carte ci si affida o
all'attribuzione di un valore compreso in una scala di
visibilità predeterminata (ad esempio, da 1 a 5) o alla
descrizione delle condizioni incontrate (campo arato, fresato,
bosco, ecc.). «Il primo metodo, che è il più diffuso, ha il
vantaggio di consentire la rapida attribuzione del campo ad una
classe di visibilità. Il metodo descrittivo comporta un lavoro
maggiore per raggruppare a posteriori in classi di visibilità le
condizioni osservate; esso ha però il pregio di essere basato su
caratteristiche oggettivamente osservabili nei campi piuttosto che
su valori arbitrariamente assegnati dal ricognitore» (24).
Altri
tipi di cartografie che si possono redigere durante una
ricognizione sono le carte geopedologiche. La cartografia
esistente, utile per l'inquadramento generale della geopedologia di un contesto,
spesso non soddisfano pienamente le esigenze del ricercatore.
Nonostante infatti il dettaglio elevato di alcune carte
geopedologiche vi sono pur sempre dei piccoli bacini di
deposizione, frane o altri fenomeni di erosione e accumulo che le
carte non riportano e che il ricognitore dovrebbe indicare su
apposite cartografie che risulteranno utili in fase di elaborazione e studio dei
dati.
(1)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione all’archeologia
dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, p. 163
(2)
Spesso alcuni di questo
siti non sono più visibili o sono fortemente mascherati dalla
vegetazione. Basti pensare agli insediamenti medievali che,
occupando prevalentemente posizioni arroccate su sommità, spesso
sono stati obliterati dalle successive costruzioni
o da un fitto bosco.
(3)
Un esperimento per misurare l'efficacia di questo sistema in S.
Shennan, Experiments in the Collection and Analysys of
Archaeological Survey data: the East Hampshire Survey,
Sheffield 1985, p. 45
(4)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 168
(5)
G. Barker, L'archeologia del paesaggio italiano: nuovi
orientamenti e recenti esperienze, in "Archeologia
Medievale", XIII, 1986, p. 20
(6)
Per una visione generale sullo sviluppo della definizione di sito
nei progetti di ricognizione degli ultimi decenni si veda: T. W.
Gallant, Background Noise and Site Definition: a Contribution
to Site Methodology, in "Journal of Field Achaeology",
13, 4, 1986, pp. 403-418
(7)
A. J. Ammerman, Plow-Zone Experiments in Calabria, Italy,
in "Journal of Field Achaeology", 12, 1985
(8)
Nel Southwest Anthropological Research Group la soglia di densità
era fissata a 5 manufatti per mq (F. Plog - J. Hill, Explaining
Variability in the Distribution of Sites, in G. J. Gumerman, The
Distribution of Prehistoric Population Aggregates, in "Prescott
Anthr. Pap.", 8, 1971, p. 8); nel Neothermal Dalmatia Project
la soglia di densità era fissata a 4 manufatti ogni 25 mq (S. Batovic - J.C.
Chapman, The "Neothermal Dalmatia"
Project, in S. Macready - H. Thompson, Archaeological Field
Survey in Britain and Abroad, Society of Antiquaries
Occasional Papers 6, London 1985, pp. 184-185); nel Rieti Survey
la soglia di densità era fissata a 10 manufatti ogni 100 mq (S.
Coccia - D. J. Mattingly, Settlement History, Environment and
Human Exploitation of an Intermontane Basin in the Central
Apennines: The Rieti Survey, 1988-1991, Part I, in "Papers
of the British School at Rome", 60, 1992, p. 229)
(9)
F. Cambi, Sito/Non Sito, in R. Francovich - D.
Manacorda (a cura di), Dizionario di archeologia, Laterza,
Bari 2000, p. 280
(10)
M. Millet, The Ager Tarraconensis Survey, Ann Arbor 1996
(11)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 169
(12)
Questo tipo di ricognizione è stato suggerito per la prima volta
da D. H. Thomas (Non-site sampling in Archaeology: up the Creek
without a Site?, in J. W. Mueller, Sampling in Archaeology,
Tucson 1975, pp. 61-81)
(13)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 170
(14)
A. J. Ammerman, Plow-Zone Experiments in Calabria, Italy, cit.;
P. Odell - F. Cowan, Estimating Tillage Effects on Artefact
Distribution, in "American Antiquity", 52, 1987, pp.
456-484
(15)
R. Yorston - V. L. Gaffney - P. R. Reynolds, Simulation of
Artefact Movement Due to Cultivation, in "Journal of
Archaeological Science, 17, 1990, pp. 67-83
(16)
M. J. Allen, Analysing the Landscape: a Geographical Approach
to Archaeological Problems, in J. Schofield, Interpreting
Artefact Scatters. Contributions to Plough-zone Archaeology,Oxbow Monographs 4, Oxford 1991,
pp. 39-58
(17)
F. Cambi, Sito/Non Sito, cit., p. 280
(18)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 175
(19)
Ad esempio nel "Boeotia Survey", J. Bintliff - M. A.
Snodgrass, The Cambridge/Bradford Boeotia Expedition: The First
Four Years, in "Journal of Field Archaeology, 12, 2,
1985, pp. 123-161
(20)
In alcuni progetti, onde evitare un' eccessiva raccolta di
materiale, i manufatti vengono solamente conteggiati tramite un
contatore a scatti (clicker) dotato di un bottone che viene
pigiato ogni volta che si osserva un manufatto.
(21)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 176
(22)
Per i dettagli della procedura: C. Balista et alii, Alto-Medio
Polesine Project, in "Accordia Research Papers", I,
1990, pp. 153-187; J. Ebert, Distributional Archaeology,
New York 1992
(23)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 194
(24)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 196

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Sommario |
Elaborazione
dei dati |
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