A partire dal 1968 alcuni appassionati locali, coordinati da Paolo
Appignanesi, raccolsero numerosi reperti che furono conservati
in un locale al piano terra del Palazzo comunale, messo a
disposizione dall'amministrazione comunale con il permesso della
Soprintendenza Archeologica, locale che da lì a poco divenne la
sede del Museo archeologico. Nel 1973, infatti, fu allestito il
Museo civico con reperti prevalentemente preistorici ed una serie di epigrafi romane che erano conservate nel corridoio d’ingresso del
Palazzo stesso.
Nei primi anni ’80 alcuni saggi stratigrafici condotti dalla Soprintendenza Archeologica delle Marche
a Piano di Fonte
Marcosa, presso
la frazione di Moscosi, accertarono la notevole importanza del sito che restituiva
materiali dell’età del Bronzo, del Ferro e dell’epoca romana. La
prevista realizzazione dell’invaso di Castreccioni, che avrebbe completamente sommerso l’intera
area, spinse le autorità competenti a nuovi interventi di tutela, oltre al vincolo imposto secondo la legge 1089/39.
Grazie alla legge 67/88 fu possibile accedere a nuovi finanziamenti che portarono all’elaborazione di un progetto che prevedeva una serie di campagne di scavo e l’allestimento di un museo con i reperti recuperati.
Si stipulò quindi un accordo fra il Comune di Cingoli che metteva a disposizione, oltre
alle sale del Museo Civico, un seminterrato ed altri locali del piano terra del Palazzo Comunale, e il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali che istituiva con decreto il Museo Archeologico Statale.
Nel 1994
si aprì al pubblico l’esposizione relativa ai materiali provenienti dagli scavi di Piano di Fonte Marcosa mentre nel 1997
fu inaugurato il Museo Archeologico Statale.
Le raccolte di superficie dei
materiali archeologici furono condotte da Paolo Appignanesi
(1943-2021), direttore della Biblioteca comunale e delle altre
istituzione culturali di Cingoli nonché Ispettore onorario della
Soprintendenza Archeologica, ed altri appassionati locali che
fecero confluire nei depositi del museo, nel corso di
quarant'anni di attività, moltissimi reperti archeologici.
"E' doveroso ricordare i nomi di
questi disinteressati e generosi collaboratori, i risultati
delle ricerche dei quali consentirono l'istituzione del museo
archeologico: Bacci Tommaso, Becerica Carlo, Borgoforte Gradassi
Antonio, Calvelli Alberto, Cardella Leonardo, Cavalletti Andrea,
Colocci Filippo, Gagliardini Ubaldo, Galanti Filippo, Mazzuferi
Emidio e Paolo, Mosca Alessandro, Mosca Andrea, Paparelli
Vittorio, Pennacchioni Giampaolo e Massimo, Pergoli Pericle,
Puccitelli Mauro, Rossetti Roberto, Tosti Liberto e Luigi"
(F. Pagnanelli, Una
regina e una città senza nome: la civitas di San Vittore di
Cingoli, Cingoli 2018, p. 26).
Gli spazi espositivi del museo interessano due piani per un totale di circa 300 mq; nel piano seminterrato, un unico locale suddiviso da archi con copertura a volta in mattoni e muratura in blocchi di pietra, sono esposti i materiali provenienti dal sito di Fonte Marcosa, mentre nel piano superiore, il piano terra del Palazzo Comunale, sono collocati i materiali di epoca preistorica, protostorica e romana.
Nelle sale è stato allestito un apparato didascalico che fornisce sia delle indicazioni basilari a corredo degli oggetti esposti e sia delle notizie più approfondite inerenti il periodo cronologico, il rapporto territorio-sito-oggetto rinvenuto, la distribuzione dei siti.
Dal punto di vista cronologico il percorso espositivo inizia dai materiali del
Paleolitico inferiore provenienti da Piane Mastro Luca e Madonna del Pian de’ Conti; strumenti su ciottolo
(choppers) associati a schegge ritoccate attestano una frequentazione di queste aree già a partire dalla fine del Paleolitico inferiore arcaico.
Interessante, dal punto di vista didattico, è la presenza, accanto a questi manufatti, di
arnioni, cioè di grandi blocchi di selce impiegati per la realizzazione degli strumenti.
Più consistenti sono a Cingoli le testimonianze del Paleolitico medio, generalmente riferibili al
Musteriano; nelle vetrine del museo sono esposti solo alcuni dei tipi più rappresentativi: punte
levallois, raschiatoi, nuclei, denticolati e grattatoi. Per il Paleolitico superiore figurano reperti provenienti dallo scavo di Rio-Madonna dell’Ospedale, un sito all’aperto di notevoli dimensioni che ha restituito numerosi strumenti litici riferibili all’Epigravettiano antico a
cran.
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Piano
terra - sezione preistorica (foto tratta dalla
Guida del Museo) |
ll
materiale riferibile al Neolitico, ben rappresentato nel territorio
cingolano, proviene quasi esclusivamente dalle aree poste nei pressi dei fiumi Musone e
Rudielle. Trattandosi anche in questo caso di materiale recuperato in superficie non è stato sempre possibile determinare con esattezza la fase cronologica e culturale di appartenenza anche per la totale assenza di reperti ceramici associati ai manufatti litici.
Oltre ai manufatti in selce, come ad esempio punte di freccia, peduncolati e foliati bifacciali, sono presenti gli strumenti tipici della tessitura (navette, fuseruole e pesi da telaio). Lame di ossidiana proveniente dall’isola di Lipari e manufatti di pietra verde, tipica delle aree alpine, testimoniano rapporti commerciali anche con aree piuttosto lontane.
Scarsamente rappresentato è invece l’Eneolitico; ad eccezione di asce-martello forate, anche in pietra verde, e foliati a ritocco piatto il territorio cingolano non ha restituito materiale inerente questa fase.
Per l’
età del
Bronzo, attestato in numerosi siti e fin dalla sua fase più antica, la documentazione più importante ed imponente è fornita dal sito di Piano di Fonte Marcosa. Gli scavi condotti nell’area dal 1986 al 2001 hanno permesso di individuare numerosi livelli di frequentazione databili dal Bronzo medio a quello finale, livelli del VI-V sec. a.C., un sito produttivo di età repubblicana ed una villa romana di età imperiale.
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Teca
a parete del piano seminterrato (foto tratta dalla
Guida del Museo) |
Al Bronzo medio finale sono riferibili due fasi attribuibili alla cultura appenninica con ricche tipologie ceramiche, spesso decorate; la fase iniziale dell’Appenninico è rappresentata da frammenti di ciotole con carena bassa, anse ad apici revoluti tipo S. Paolina di Filottrano, ed anse ad ascia.
Il passaggio ad una fase finale dell’Appenninico è testimoniato dalla comparsa dei decori lineari a meandro retto, dai motivi angolari
ad excisione sull’orlo del vaso, dalle tipologie delle anse a nastro ed infine dalla presenza di anse con sopraelevazione cilindro retta e a corna di lumaca.
La fase iniziale del Bronzo recente ha restituito abbondante materiale ceramico, manufatti di osso, di corno di cervo e di bronzo che attestano l’inizio dell’attività artigianale in loco. A questa fase appartiene anche una struttura lignea (al Museo è stata esposta una piccola porzione) costituita da un tavolato modulare di assi disposte ad incastro su un’intelaiatura di tronchi di quercia e di frassino realizzata a pochi metri dall’antica sponda del fiume.
La ceramica d’impasto
più depurata è attestata da ciotole carenate, prevalentemente a carena bassa, con anse a sopraelevazione cilindro-rette e cornute. Fra le nuove tipologie sono presenti le scodelle con orlo piatto su cui sono impostate prese triangolari
(già attestate a Conelle di Arcevia, Pianello di Genga, Cortine
di Fabriano) e le scodelle ad orlo rientrante a superficie liscia. La ceramica d’impasto
più grossolana è invece attestata da dolii con orlo a tesa e pareti decorati con cordoni lisci intersecanti a croce, olle con cordoni lisci o decorati da impressioni a ditate o a tacche, scodelloni con cordone liscio ondulato, piatti a basse pareti. Tra gli oggetti di bronzo figurano: ascia ad aletta, spilloni con testa a riccio, con testa quadrangolare e con perforazione ad asola tipo Boccatura del Mincio.
Abbondantissima è l’industria su corno di cervo (vanghette, zappette e vomeri di aratro) e quella di osso (manici di lesina con le caratteristiche decorazioni a cerchielli incisi e gambo con espansione a losanga e testa a clessidra, spilloni a rotella con sei raggi e pendagli). Sicuramente, il dato più importante è rappresentato dalla lavorazione in loco del bronzo, testimoniata, fra l’altro da una forma di fusione in arenaria, oltre che da abbondanti reperti come pugnali a codolo (tipo Torre Castelluccia e tipo S. Agata) e a lingua di presa (tipo Pertosa e tipo Bertarina), fibule (tipo Peschiera), spilloni e attrezzi da lavoro (sgorbie per la lavorazione del corno). Sono anche presenti oggetti realizzati in osso, frammenti di fornelli del tipo circolare con fori e le caratteristiche figurine fittili di animali.
All’età del Ferro è dedicata una parte del piano terra del Museo dove all’interno delle vetrine sono esposti reperti attribuibili al VI sec. a.C.; tra essi figurano una fibula tipo San Ginesio, una fibula con arco globulare fiancheggiato da risega e decorato alla sommità da castone, un frammento di vaso ingubbiato di nero con una rara decorazione di tipo geometrico ad excisione ed incisione, una fibula a collo d’oca, uno scodellone di impasto, un’olla globulare ad impasto rossastro.
Alla fine del VI sec. a.C. appartengono materiali che in alcuni casi dimostrano come anche il territorio cingolano fu interessato dallo sviluppo di insediamenti lungo le principali direttrici commerciali che mettevano in collegamento gli scali adriatici con l’entroterra. E’ il caso di una lekythos miniaturistica a figure nere con Dioniso seduto di fronte a satiri danzanti rinvenuta a S.Vittore. Allo stesso periodo risalgono i tegoloni che dimostrano la presenza di strutture abitative con copertura in cotto e l’unico complesso tombale rinvenuto a Cingoli. Il corredo della tomba, databile fra il 520 e il 480 a.C. comprende una fibula con arco a gomito, una brocchetta in lamina bronzea con corpo troncoconico allungato, una bacinella di bronzo e uno scodellone fittile.
Al V-IV sec. a.C. si riferiscono i materiali che provengono quasi esclusivamente da siti posti lungo la vallata del fiume Musone: frammenti di ceramica a vernice nera, ceramica grigia, coppette, mortai, ceramica alto-adriatica. A questa fase appartengono anche le importanti testimonianze del
centro santuariale di
S. Vittore, un complesso termale collegato ad una sorgente di acqua con proprietà medicamentose. Tra i materiali esposti si segnalano: protomi fittili di una divinità femminile con polos, la porzione di un cratere a campana di ceramica attica a figure rosse, un cratere miniaturistico a calice, pesi da telaio in argilla, ceramica di produzione locale, ceramica a vernice nera, alto-adriatica e ceramica tornita grigio cenere, una statuetta femminile panneggiata, un cratere a calice riferibile ad ambiente etrusco-laziale, ex-voto in forma di busto femminile in terracotta.
L’epoca romana è rappresentata dai materiali provenienti dall’area di Borgo San Lorenzo, dove sorgeva
Cingulum, da
S.
Vittore, che gli studiosi identificano con il
municipium di Planina, da Pian della Pieve, un centro vicano di notevole importanza, e dalle numerose ville rustiche sparse per il territorio
cingolano.
Da segnalare la presenza dei corredi di due delle sei tombe ad incinerazione rinvenute a
S. Vittore e databili al I sec. a.C. Della tomba n. 1 sono esposti degli oggetti in bronzo pertinenti ad un cofanetto, pedine ed oggetti di osso, vasi di vetro (balsamari,
simpulum, bottiglie). Della tomba n. 5 sono esposti vasi di vetro (coppette, olletta, brocche), elementi di bronzo di un cofanetto, un pendaglio in bronzo e pasta vitrea, oggetti in osso, pedine in pasta vitrea, elementi figurati in osso, uno specchio in bronzo rivestito d’argento.
Tra gli altri reperti esposti, tipici dell’età repubblicana ed imperiale e provenienti soprattutto dalla zona di
S. Vittore, figurano 12 iscrizioni lapidee di età imperiale (pertinenti al municipio di
Cingulum ed una proveniente da S. Vittore), 27 monete, coniate in bronzo e argento che coprono un arco cronologico compreso fra il III sec. a.C. e il IV sec. d.C., ed alcune sculture, fra le quali un’ eccellente statua di Attis ed un ritratto di Agrippina Minore.
Con il nuovo allestimento
museale, eseguito nel 2022, si è deciso
di togliere dall'esposizione i numerosi strumenti su ciottolo del sito di Piane Mastro Luca, una decisione che non è
stata motivata dal punto di vista scientifico e che non è stata
capita e accettata da tutti coloro, cingolani e non, studiosi e
appassionati, che hanno sempre considerato quei reperti come
un'importante testimonianza dal
grande valore scientifico. Purtroppo, i personalismi, l'incompetenza e
le invidie hanno spesso un peso maggiore della ricerca e della
riconoscenza.
Lettera aperta di solidarietà a due sentimenti in
via di estinzione: la riconoscenza e il rispetto
Sono certo che le industrie preistoriche scoperte da
Paolo Appignanesi nel sito di Piane Mastro Luca sono
quelle che più di tutte suscitarono in lui orgoglio
e felicità. In questo suggestivo angolo della
montagna cingolana, Paolo individuò e recuperò
moltissimo materiale appartenente ad una fase
arcaica del Paleolitico inferiore. Egli era
perfettamente cosciente che quegli strumenti
preistorici rappresentassero una grande scoperta, un
grande vanto per l’archeologia di Cingoli; ben poche
realtà marchigiane e italiane, infatti, potevano e
possono vantare strumenti così antichi.
Lui lo sapeva e sapeva quanto fosse importante
affidare lo studio di quei materiali ad un esperto.
Ed infatti, dopo anni di raccolta e instancabili
camminate in quei campi arati, riuscì finalmente a
coronare il suo sogno. Un giorno mi disse che un
archeologo preistorico sarebbe venuto a Cingoli per
studiare quei reperti, e con grande felicità, e con
il suo tipico sagace sorriso, tirò fuori da una
cartella il suo curriculum e me lo fece leggere.
Nel 2001 giunse così a Cingoli l’archeologo Fabio
Parenti. Laureato alla Sapienza di Roma (1980),
dottorato in archeologia preistorica all’École des
Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi (1993),
Parenti è stato presidente dell'Istituto Italiano di
Paleontologia Umana (2013-2017). Dal 2015 è
professore associato di archeologia presso il
Dipartimento di Antropologia dell’Universidade
Federal do Paraná di Curitiba (Brasile). E’ autore
di più di 100 pubblicazioni scientifiche ed ha
condotto scavi e ricerche in Italia, Francia,
Giordania, Brasile, Vietnam, Laos, Marocco, Sudan,
Libia.
Lo studio dei reperti cingolani, condotto con un
nutrito gruppo di collaboratori, fra cui lo stesso
Paolo, ha interessato 1260 pezzi sui circa 7000
recuperati in anni di ricerche; degni di nota sono i
numerosi chopper e chopping-tool, cioè gli strumenti
su ciottolo scheggiati, rispettivamente, su uno e su
entrambi i lati. Sono proprio questi manufatti che
accertano l’arcaicità del sito di Piane Mastro Luca.
La ricerca di Parenti e collaboratori, pubblicato
nel 2005 dall’Istituto Italiano di Preistoria e
Protostoria, conclude che il “giacimento di facies
arcaica più prossimo si trova in Umbria, nel bacino
di Gualdo Tadino-Nocera Umbra; è attribuito al
Pleistocene medio iniziale [pleistocene medio:
circa 700.000-126.000 anni dal presente] e ha un
industria con chopper paragonabile in buona sostanza
alle industrie della dorsale cingolana”.
Fino a circa un anno fa, nel Museo archeologico di
Cingoli erano esposti vari manufatti provenienti da
Piane Mastro Luca, compresi gli strumenti su
ciottolo. Un’industria litica così significativa,
infatti, non poteva che meritare una vetrina di
tutto rispetto.
Con il nuovo allestimento museale si è invece deciso
di togliere gran parte di questi strumenti,
adducendo, secondo l’opinione di chi ha curato la
nuova esposizione, dubbi sull’importanza e sulla
natura antropica di alcuni di questi manufatti.
Non c’è alcuna ragione scientifica che giustifichi
questa assurda decisione. Reperti così importanti
devono avere la giusta visibilità, un’esposizione
ampia e articolata.
Se qualcuno pensa che quegli strumenti non siano
idonei a un’esposizione museale poiché avanza dubbi
sulla loro autenticità, dovrebbe riprendere in mano
tutto il materiale di Piane Mastro Luca, studiarlo
ex novo e pubblicarne i risultati su una rivista
scientifica, confutando lo studio precedente. La
ricerca si fa solo in questo modo.
Forse perché il sito di Piane di Mastro Luca non ha
fornito, per ora, stratificazioni evidenti che
permettano datazioni radiometriche è stato
considerato invalido? Basterebbe approfondire le
ricerche, invece di accantonarlo. La scienza è in
continua evoluzione.
Lo studio di Parenti e collaboratori così come la
memoria di Paolo Appignanesi, dei turisti, degli
amanti della divulgazione e della storia cingolana
meritano un maggiore rispetto.
In seguito alla morte di Paolo, molti fecero sentire
la propria voce per proporre e sostenere l’idea di
intitolare il Museo archeologico ad Appignanesi. A
distanza di due anni, i molti si sono già
dimenticati di tutte le belle parole che dissero
pubblicamente.
L’oblio è iniziato il 22 gennaio dello scorso anno,
nella “Sala Verdi” del Palazzo comunale durante
l’inaugurazione del nuovo allestimento museale,
quando fu espresso, alla fine della cerimonia, solo
un breve cenno alla figura di Paolo.
L’ultimo affronto alla sua memoria e al suo lavoro è
stato fatto al Museo archeologico nel momento in cui
si è preferito sminuire quegli importanti reperti
anziché valorizzarli con un ricco e variegato
allestimento.
Alberto Calvelli, 31 maggio 2023
Gli studi pubblicati da Parenti e
collaboratori:
1) F. Parenti, Marche: Cingoli e
San Severino Marche (Prov. di Macerata),
“Rivista di Scienze Preistoriche”, LII, 2002, pp.
368-369.
2) F. Parenti – P. Appignanesi – P.
Conti – L. Natali – C. Rosa, Il Paleolitico
inferiore della dorsale cingolana (Cingoli e San
Severino Marche, Macerata): prime osservazioni,
in AA.VV., Preistoria e Protostoria delle Marche,
Atti della XXXVIII Riunione Scientifica, Istituto
Italiano di Preistoria e Protostoria,
Portonovo-Abbadia di Fiastra 1-5 ottobre 2003,
volume I, Firenze 2005, pp. 53-67. |
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