Premessa
Gli ultimi decenni di ricerche
hanno profondamente mutato la metodologia della ricerca nei contesti
rurali, introducendo nuove prospettive sulle quali si è aperta una
discussione, talora molto accesa, tra scuole di diverse tendenze (es.:
tra i sostenitori dei metodi della ricognizione per campionatura e
totale o tra le scuole di pensiero che si richiamano alla topografia
antica e all’ archeologia del paesaggio). Un apporto rilevante è
stato dato dai Sistemi di informazione geografica (GIS), una classe di
software ideata per la gestione di dati georeferenziati (1).
Considerata la natura di molti dati archeologici, la tecnologia GIS
rappresenta probabilmente la più flessibile e completa struttura per le
analisi del contesto spaziale dei dati storici e preistorici. Oggi
infatti la scala ed il livello di complessità, dei quali sempre più si
ha bisogno per lavorare, superano le capacità dei tradizionali
strumenti analitici. Al di là dell’enorme potenzialità di
archiviazione dei dati sia in formato alfanumerico che cartografico il
GIS permette ad esempio una restituzione in tempo reale di carte
tematiche, di carte di progettazione per nuove ricerche e basi per
analisi spaziali. La capacità di visualizzare nello stesso momento i
diversi elementi del paesaggio, come le curve di livello, i diversi tipi
di suoli geologici, i siti archeologici, ecc. e fare le necessarie
interrogazioni per individuare elementi nuovi ai fini della ricerca è
una caratteristica esclusiva dei GIS.
In questo lavoro presento un
esempio di applicazione delle risorse offerte da un GIS nella gestione
dei dati territoriali. L’area presa in considerazione è quella di
Cingoli, un territorio caratterizzato da una forte presenza di siti
preistorici. Ciò rappresenta una premessa ideale per l’applicazione
di alcuni tipi di analisi sui rapporti tra aree archeologiche ed
ambiente fisico.
Per arrivare a tali analisi la
tesi ha prodotto materiale di base per l’informatizzazione dei dati
archeologici del territorio di Cingoli. Le carte digitali, tematiche e
di fase, e la banca dati potranno eventualmente essere utilizzati,
grazie alla possibilità di esportare i dati in formati compatibili con
i programmi più in uso, come un punto di partenza per ulteriori studi
territoriali e come base per la realizzazione di un archivio
informatizzato degli
strumenti di conoscenza territoriale (ad esempio il
catasto o il piano regolatore del Comune).
Il GIS utilizzato per
l’elaborazione dei dati, delle analisi e la realizzazione delle carte
digitali è Idrisi for Windows (v.
2.0), un software realizzato dal Laboratorio di Tecnologia Cartografica
e Analisi Geografica della Clark University di Worcester (Massachusetts,
USA). Gli altri software utilizzati sono, per i grafici, Freelance
Graphics (v. 2.1, Lotus) e per la creazione della banca dati, dBase for
Windows (v. 5, Borland International, Inc.). Il
computer utilizzato è un Pc con processore AMD K5 - 100 Mhz con 16 MB
di RAM. Per la restituzione delle
mappe e dei grafici in formato cartaceo ho impiegato una stampante a
getto d’inchiostro Epson Stylus Color 200 con una risoluzione di 360
dpi.
I
GIS: finalità e questioni terminologiche
Nelle scienze territoriali e
nelle applicazioni allo studio del territorio (pianificazione
urbanistica, valutazione delle risorse territoriali ed ambientali) va
sempre più affermandosi l’uso del Geographical
Information System (GIS), particolare categoria di software che
consente l’acquisizione, l’analisi, la visualizzazione e la
restituzione di dati georeferenziati
in forma tabellare e/o
di carte tematiche. In un
recente lavoro di Giovanni Azzena
(2)
viene affrontata la questione relativa
alla terminologia dei GIS in archeologia. Il SIT
viene definito come un “produttore
di informazioni, concernenti prevalentemente l’assetto territoriale,
basate sui dati qualitativi che siano contestualizzati rispetto allo
stesso”. La cartografia è quindi di per se stessa un SIT. Tutte le
informazioni che vengono memorizzate in un computer, nella cartografia
tradizionale vengono invece disegnate su un supporto cartaceo secondo
una serie di particolari simboli che nel loro insieme formano appunto un
“sistema”. Nell’espressione SIT si possono, pertanto, far
rientrare altri “sistemi”: un lavoro di ricognizione archeologica,
quando è fornito di schede descrittive dei siti, identificati con
numeri o simboli, di disegni, fotografie, mappe storiche della zona,
ecc. è un esempio di un Sistema Informativo Territoriale.
L’autore fa notare però che curiosamente si è iniziato a
parlare di Sistemi Informativi con risvolto territoriale solo dopo
l’introduzione dell’informatica. L’anello di congiunzione e il
gradino di superamento tra la rappresentazione convenzionale e il SIT è
rappresentato dalla cartografia numerica. Un’espressione, questa, che
indica il referente principale di un insieme (un “sistema” appunto)
di banche-dati con un certo numero di componenti (topografici, archivi
amministrativi, dati geofisici, simulazione di impatto ambientale, ecc.)
selezionabili in base alle esigenze dell’utenza finale
(4).
Il salto di qualità, che ha
permesso ad un Sistema Territoriale di divenire un SIT, è la capacità
di trasformare una mappa topografica in una serie di mappe tematiche,
la cui quantità e qualità
dipendono solo dal numero e dal tipo di informazioni associate
agli oggetti grafici che sono stati archiviati nella memoria di massa
del computer. Ciò è possibile solamente a condizione che la mappa sia
numerica.
E’ necessario distinguere
quella che viene definita la “struttura logica” del sistema,
conosciuta e progettata da chi utilizza il SIT, dalla “struttura
fisica” del SIT stesso, l’organizzazione dei dati nel calcolatore,
quasi sempre sconosciuta all’utente e da lui gestibile solo grazie al
software di interfaccia, che rappresenta l’interprete tra le due
strutture. Pertanto il GIS, inteso come software in grado di gestire,
analizzare e restituire informazioni geografiche, non è altro che
questo interprete.
A prescindere dalla enorme
quantità di informazioni archiviabili in un GIS è il modo
dell’archiviazione che può portare ad una rivoluzione nei modi e nei
tempi della ricerca. Tutti i dati geometrici, alfanumerici e digitali
vengono inseriti in un “modello continuo del territorio”, che offre
contemporaneamente i dati sulla collocazione delle strutture, sui loro
attributi e, soprattutto, sulle loro interrelazioni spaziali. Una simile
base di dati relazionale mantiene l’omogeneità delle informazioni,
senza che l’utente debba costruire di volta in volta un legame tra il
rappresentato ed i suoi attributi descrittivi
(5).
La possibilità di un aggiornamento e di una acquisizione continua, la
rapidità di consultazione, la possibilità di immediati confronti, lo
snellimento delle procedure di controllo, l’opportunità di mantenere
una separazione fra l’antico e il moderno e l’assenza delle
costrizioni legate ad un fattore di scala, sono solamente alcune
caratteristiche che rendono il GIS un valido supporto per la gestione,
ad esempio, di un catasto archeologico.
Il GIS ha avuto un enorme impatto
praticamente su ciascun campo che gestisce ed analizza la distribuzione
spaziale dei dati. In archeologia infatti l’utilizzo che più
frequentemente si fa del GIS riguarda proprio lo studio dei rapporti fra
gli insediamenti antichi ed il paesaggio, un campo di indagine questo
molto proficuo e ancora poco sfruttato.
L'ambiente
e le analisi spaziali
Le caratteristiche intrinseche
dei GIS vanno, per così dire, incontro alle più comuni esigenze dei
ricercatori. Fin dai lavori dei primi ricognitori
(6)
era già presente l’idea di studiare la posizione dei siti nel
paesaggio naturale: una descrizione dell’aspetto geografico e
ambientale è compresa in molte pubblicazioni di ricognizione e di
scavo. Durante gli anni ‘60 e ‘70 l’archeologia processuale
(7)
diede un notevole impulso allo studio delle relazioni fra le
caratteristiche dell’ambiente con quelle dei siti. L’ambiente assume
infatti, per gli archeologi processuali, un’importanza centrale nel
condizionare lo sviluppo delle comunità antiche. Si arrivò a
teorizzare che, data una certa tecnologia, l’ambiente determina le
forme sociali e culturali di una popolazione
(8).
In quest’ottica
quindi il popolamento di una regione non è altro che il risultato
dell’interazione fra la cultura tecnologica e l’ambiente.
L’insediamento umano, inoltre, sfrutterebbe al massimo le capacità di
sostentamento di un territorio e di conseguenza la configurazione dei
siti rifletterebbe la necessità di ottimizzare la produttività delle
risorse.
Il rapporto fra siti e ambiente
può essere analizzato anche a scopo predittivo, un obiettivo
esplicitamente dichiarato questo, dall’archeologia processuale. Sulla
base della conformazione ambientale di una regione, si tenta di
comprendere e formalizzare le logiche insediative antiche al punto di
poter prevedere la posizione dei siti in essa presenti. La predizione
avviene in genere tramite il calcolo della probabilità che in un dato
luogo si trovi un sito di una certa fase. Elaborazioni simili sono state
condotte e possono rivestire un’importanza notevole per la tutela del
patrimonio archeologico. Possono essere approntate, infatti delle mappe
del rischio archeologico redatte in base al metodo della simulazione,
ispirate alla teoria secondo la quale, almeno per gli insediamenti pre e
protostorici, le scelte del luogo sono condizionate da variabili
ambientali. Conoscendo pertanto le caratteristiche geomorfologiche
della
zona e potendo disporre di un numero di contesti insediativi già noti,
è possibile anticipare la localizzazione dei siti ancora sconosciuti.
Una simile procedura venne adottata agli inizi degli anni ‘90, quando
la necessità di realizzare imponenti opere pubbliche (autostrade e
linee ferroviarie) in una zona ad est di Roma, spinse alla stesura di
una carta del rischio archeologico utilizzando proprio il metodo della
simulazione
(9).
Paolo
Sommella
(10)
in un suo recente intervento scrive che anche “per la ricerca
topografica si afferma l’esigenza di utilizzare tecnologie che
accelerino i tempi tradizionalmente lunghi della documentazione,
associando una possibilità previsionale attraverso una serie di modelli
di indagine, che permettano di leggere il palinsesto delle testimonianze
stratificate anche con l’ausilio di un limitato numero di elementi
direttamente controllabili” .
L’archeologia
post-processuale
(11)
concede ora una minore importanza ai fattori tecnologici ed ambientali.
L’occupazione del territorio sarebbe determinata da complessi aspetti
culturali, che comprendono le tradizioni, la mentalità e le strutture
sociali, e non soltanto quindi dalle caratteristiche dell’ambiente e
della tecnologia.
Per studiare l’influenza
dell’ambiente sul popolamento di un’area viene spesso confrontata la
posizione dei siti con la conformazione ambientale
(12).
Con il metodo delle “stratificazioni ambientali” il territorio viene
diviso in unità che presentano caratteristiche fisiche simili. Viene
poi analizzato il sito in rapporto a questi “strati”, che possono
essere scelti su base geologica, pedologica, idrografica o altimetrica,
calcolando, ad esempio, la percentuale di un certo tipo di siti presenti
in una data unità. Nel Neothermal Dalmatia Survey
(13)
è stato dimostrato che gli insediamenti fortificati preromani erano
situati quasi sempre sugli affioramenti di rocce gessose così come
nella media Valle del Cecina la maggior parte degli insediamenti
agricoli di età classica si trovano su terreni di arenaria pliocenica,
che offrono ottime condizioni di coltivabilità e stabilità della
superficie. Tabelle ed istogrammi, che indicano il numero e la densità
dei siti rinvenuti in ciascun strato, facilitano il riconoscimento delle
associazioni più significative (14).
In alternativa si può prendere
in considerazione la distanza dei siti da determinati punti del
paesaggio. Il territorio può essere quindi stratificato in zone
equidistanti dalla costa, da un fiume, da una cava o da un tempio. In
questo caso gli strati sono visualizzati come fasce parallele o
concentriche che si allontanano progressivamente dai punti considerati.
Il metodo delle stratificazioni
ambientali ha però il limite di considerare soltanto il punto preciso
in cui si trova il sito. In molti casi è verosimile pensare che alla
scelta di una particolare zona contribuisca anche il potenziale
produttivo delle aree circostanti raggiungibili, in un determinato
tempo, dal sito stesso. Gli studi condotti negli insediamenti agricoli
moderni in società preindustriali sono giunti alla conclusione che la
maggior parte della sussistenza degli abitati viene ricavata da terreni
che si trovano entro un raggio di 2-3 Km. dal sito
(15).
E’ così nata
l’idea di studiare i bacini di approvvigionamento (site catchment) dei siti per analizzare i mezzi di sostentamento e
le scelte locazionali.
La tecnica del site-catchment
è basata sul principio che un gruppo umano tende a ridurre al massimo
le energie necessarie per la sussistenza, scegliendo per l’impianto di
un insediamento, stabile o stagionale, la posizione che rende più
agevole lo sfruttamento di un determinato ambiente. I principi dei
bacini di approvvigionamento hanno la loro origine dai lavori condotti
nel secolo scorso dal geografo von Thünen
(16).
Nel 1826 egli propose un modello di sviluppo dell’hinterland di una
città. Osservò che le attività produttive attorno ad una città sono
fortemente condizionate dalla distanza del luogo di produzione dal
centro, cui devono affluire i prodotti. Ciò determina una serie di
anelli concentrici attorno alla città che mostra una progressiva
diminuzione di intensità man mano che ci si allontana da essa. Si cerca
di sfruttare infatti le zone vicine al centro urbano per le produzioni
più intensive e redditizie e per quelle che comportano alti costi di
movimento. I siti quindi legati a queste attività si disporranno nella
fascia più vicina al centro. Quelli connessi con produzioni più
estensive e con prodotti facilmente trasportabili, come la pastorizia,
verranno relegati nelle zone più distanti. Gli anelli di von Thünen
possono essere applicati solo ad una condizione ideale: quella della
città isolata in un territorio indifferenziato. Questa tecnica è stata
utilizzata in ricerche archeologiche (17), risultando
particolarmente utile per osservare l’influenza di un centro sul
paesaggio circostante.
Il primo esperimento che ha
adottato i principi del bacino di approvvigionamento è stato condotto
da Vita Finzi e Higgs in una zona della Palestina
(18).
I due ricercatori hanno preso in considerazione un cerchio di 5 Km. di
raggio intorno ad ogni sito, cercando di valutarne le potenzialità
produttive, calcolando la percentuale di terreno arabile e a pascolo di
ciascun bacino. La maggioranza dei siti ha accesso soprattutto a buoni
pascoli anche se i terreni arabili non sono del tutto mai assenti. I
siti inoltre sono più spesso situati nelle zone arabili anche se per la
produzione prediligono chiaramente i pascoli.
In altre ricerche sono stati
impiegati raggi diversi (1 - 2 - 2,5 - 10 Km) o si è fatto corrispondere il
bacino dell’area raggiungibile in due ore di cammino. Oltre le due ore
infatti diviene antieconomico andare nei campi, lavorare e ritornare
nello stesso giorno
(19).
Per quanto riguarda,
ad esempio, un insediamento paleolitico, l’area di sfruttamento
consisterebbe in un circolo di circa 10 Km. di raggio, mentre per le
comunità agricole sedentarie l’areale risulterebbe ristretto a 5 Km.
di raggio. L’esame del territorio viene effettuato camminando per due
ore nel primo caso e per un’ora nel secondo in almeno quattro
direzioni, partendo dall’abitato e registrando tutte le
caratteristiche del terreno, la presenza di sorgenti, ecc.
(20).
La produttività dei bacini di approvvigionamento è stata
in certi lavori messa in relazione con la dimensione dei siti: siti di
grande dimensione hanno infatti popolazioni corrispondenti e necessitano
quindi di bacini particolarmente produttivi. Uno studio (21) realizzato su una zona del Messico precolombiano ha dimostrato una
stretta relazione tra la popolazione attribuita ai siti e la produttività
del loro bacino di approvvigionamento. Pertanto la logica conclusione è
che bacini poco produttivi pongono un limite alla crescita della
popolazione dei siti corrispondenti.
Lo studio dei bacini di
approvvigionamento, impiegando la tecnologia dei GIS, è stato applicato
in numerosi progetti di ricerca topografica.
(1)
Con la procedura di
georeferenziazione, una fotografia aerea, un
disegno o una mappa vengono
inseriti in uno spazio definito da coordinate geografiche con sistemi di
riferimento conosciuti (coordinate Gauss-Boaga, latitudine e
longitudine o altri sistemi di riferimento).
(2)
G.
Azzena, Questioni
terminologiche - e di merito - sui GIS in archeologia, in
A.
Gottarelli (a cura di), Sistemi
informativi e reti geografiche in archeologia: GIS-Internet, Firenze,
All’Insegna del Giglio, 1997, pp. 33-34
(3)
Il
termine SIT (Sistema Informativo Territoriale) viene talvolta usato come
sinonimo di GIS. Lo stesso autore ne parla in Tecnologie
cartografiche avanzate applicate alla topografia antica, in M.
Bernardi (a cura di), Archeologia
del paesaggio, Firenze, All’Insegna del Giglio 1992, p. 754.
Nello
stesso articolo di Azzena (citato alla nota precedente) viene fatto notare
che il termine SIT non è la traduzione italiana
di GIS; esiste il corrispondente inglese di SIT (LIS, Land
Information System), così come esiste il corrispondente italiano di GIS (SIG,
Sistema Informativo Geografico).
(4)
G.
Azzena (1997), p. 754
(5)
G.
Azzena (1997) , p. 757
(6)
In Italia l’esigenza di correlare i dati
archeologici ed ambientali era già presente a Thomas Ashby e John
Ward-Perkins agli inizi del ‘900. Si vedano in proposito le osservazioni
di F. Cambi
- N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, NIS, 1994, pp. 27-36 e di G.
Barker, L’archeologia
del paesaggio italiano: nuovi orientamenti e recenti esperienze, in
“Archeologia Medievale”, 1986, p. 7
(7)
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F.
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(8)
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(9)
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Bernardi
(a cura di) Archeologia del
paesaggio, IV Ciclo di Lezioni
sulla ricerca applicata in Archeologia, Certosa di Pontignano (Siena)
14-26 gennaio 1991, Firenze, All’Insegna del Giglio 1992, pp.
733-744
(10)
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SOMMELLA, Cartografia
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(a cura di) Informatica e
archeologia classica, Atti del Convegno Internazionale, Lecce 12-13 maggio
1996, Galatina, Congedo 1987, p. 21
(11)
J.
MALINA - Z. VASICEK
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C.
Renfrew
- P. Bahn (1995)
(12)
Per alcuni tipi di analisi spaziali si veda
anche P.
MOSCATI (1987) , pp. 119-130
(13)
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(14)
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M. Bernardi
(1992),
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(15)
F.
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a proposito di M. Chisholm,
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(16)
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Thünen, Der isolierte Stadt in Beziehung auf Landwirtschaft und
Nationaloekonomie, Amburgo, 1826
(17)
F.
Cambi - N. Terrenato (1994), p. 241 a proposito di R.
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(18)
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Economy in the Mount Carmel area of Palestine: site Catchment Analysis,in
Proc. Prehist. Soc., 36, 1970,
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Vita
Finzi, Archaeological Sites
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D. Cocchi
Genick, Manuale di
Preistoria. Paleolitico e Mesolitico, vol. I, Firenze, Octavo, 1994,
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(21)
F.
Cambi - N. Terrenato (1994), p. 235 a proposito di E.
Brumfiel, Regional Growth in
the Eastern Valley of Mexico: a Test of the “Population Pressure”
Hypothesis, in K. Flannery, The
Early Mesoamerican Village, New York, 1976, pp. 234-239
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