La memoria di un'antica diocesi cingolana che avrebbe annoverato fra i suoi presuli un Teodosio, cui sarebbe succeduto il Sant'Esuperanzio, principale patrono di Cingoli, e quindi un Julianus humilis episcopus ecclesiae Cingulanae, che fu al seguito di papa Vigilio a Bisanzio, si perde nella seconda metà del sec. VI. Le fonti relative al periodo in cui la regione fu investita dalla guerra gotica e poi divenne terra di conquista longobarda sono saltuarie e non favoriscono la puntuale ricostruzione di vicende locali. Dalla documentazione rimasta apprendiamo comunque, che, in coincidenza con questo periodo di lotte e rivolgimenti politici, la diocesi cingolana, come tante altre piccole diocesi del Piceno, scomparve. Nella zona l'organizzazione ecclesiastica sopravvisse in alcune pievi rurali quali San Vitale, San Giovanni di Strada, Santa Maria di Avenale e la canonica di Troviggiano che divennero il fulcro di centri abitativi.

Con il riequilibrarsi della situazione politica, fra sec. IX e X, nella Marca i centri del potere in alcuni casi s'identificarono con la struttura diocesana, in altri contesti determinarono il prevalere di grandi monasteri, quali Santa Croce di Fonte Avellana e San Vittore alle Chiuse sul Sentino. In particolare, il territorio circostante Cingoli fu inserito nei possessi di Santa Maria di Valfucina, San Vittore in Arcione, San Salvatore in Colle bianco.

Il castrum Cinguli si trovò dunque collocato al confine fra la zona d'influenza franco-longobarda, nella parte montuosa occidentale della regione - diocesi di Camerino, monastero di Santa Maria di Valfucina - e la zona di tradizione bizantino-ravennate della Pentapoli corrispondente alla pianura degradante verso il mare - diocesi di Osimo con i monasteri di San Vittore in Arcione e San Salvatore in Colle Bianco -.

L'incontro o scontro tra queste componenti determinò una duplice fisionomia in tutto il contesto che dette vita al comune di Cingoli: da una parte infatti era ancora vitale una struttura signorile, arroccata in castelli, gelosa custode dei suoi privilegi e delle sue immunità; dall'altra prevaleva l'insediamento più aperto, in villaggi rurali senza fortificazioni, probabilmente sopravvivenze di nuclei abitativi di origine romana, gravitanti attorno alla pieve. Villaggi sparsi, circondati da estesi possessi fondiari in concessione signorile o ecclesiastica, legati a un vescovo di Osimo che premeva per ristabilire la sua autorità sui rari castelli della zona i quali, a loro volta, tendevano ad affermare proprie autonomie.

Cingoli, presenta strutture di organizzazione comunale nella documentazione della fine del sec. XII con la menzione di consoli che intervengono, in campo giudiziario e in particolari transazioni patrimoniali, a nome della comunità. Tale fenomeno autonomistico determinò una situazione di conflittualità nei confronti sia dei castelli circostanti sia del prevalente comune di Osimo; ma, mentre i signori dei castelli della zona montana, quali i conti di Castreccioni, di Isola degli Orzali e di Civitella, più o meno volontariamente entrarono a far parte della popolazione cingolana dai primi decenni del XIII secolo - e quelli di Moscosi alla fine del detto secolo - l'espansione del nuovo comune verso la pianura fu più contrastata, raggiungendo punte di aperta ostilità quali l'assalto al castello di Arcione e la distruzione di quelli di San Vitale e Cervidone. Ciò dipese dal fatto che mentre i castelli della zona montana erano rigidamente retti in struttura signorile, quindi il comune aveva un singolo interlocutore, i castelli di pianura avevano già avviato un proprio processo autonomistico, pur restando sotto l'egida del comune di Osimo, per cui Cingoli con le sue tendenze espansionistiche si trovò a ledere interessi compositi. Da qui uno stato di rivalità politico-amministrativa tra i due comuni, che si protrasse nel tempo con alterne vicende, condizionando la supremazia dell'uno e dell'altro su questa parte del territorio. Sul piano spirituale, al contrario, Cingoli riconobbe nel 1204, l'autorità della diocesi osimana.

Con l'affermarsi del comune si assiste a un'estensione della struttura urbana di Cingoli con il conseguente ampliamento delle mura. Il circuito più antico – murum vetus o Saracenorum - si svolgeva dall'attuale Borgo San Lorenzo, nucleo del Cingulum romano, risalendo alla pieve di Santa Maria - oggi inglobata nei sotterranei della chiesa di San Filippo - fino alla cima del colle con la platea pubblica o piazza del mercato, ma tale castrum vetus divenne insufficiente: ad esso si affiancò un castrum novum che si sviluppò sul versante nord-ovest del colle (localizzabile sull'area pianeggiante che oggi fiancheggia via Ferri e via Roma). Il circuito delle mura si ampliò e si aprirono nuove porte. La struttura edilizia all'interno del nucleo abitativo era complessa e ben regolata: i materiali da costruzione, pietra, breccia, rena, di provenienza locale, erano estratti secondo una precisa normativa comunale. Con essi si costruirono case, alcune con portico, cortile, scalinate, in alcuni casi veri e propri palazzi. La profondità delle fondamenta e lo spessore delle mura erano stabilite da norme che regolavano anche l'apertura delle finestre, la posa in opera di carpenterie, di condutture idriche, la composizione e la forma dei mattoni.

Prima della costruzione del palazzo pubblico, alla fine del sec. XIII, la giustizia era amministrata presso un bancum iuris, ma già dalla metà del sec. XIV il collegio dei notai aveva una propria sede nelle adiacenze del Cassero e lì a fianco era istituita una scuola di grammatica e retorica. 

Già dall'inizio del Duecento si trovano operanti, presso Porta Montana e Porta dello Spineto, due ospedali per il ricovero dei poveri e dei malati. La presenza di strutture assistenziali - oltre ai due urbani c'erano anche tre ospedali nella campagna circostante: Buraco, Agugliano e Monte Acuto - è indice di un incremento e di una trasformazione del contesto sociale, che, teso tutto a uno sforzo produttivo, si trovava nella necessità di delegare a strutture idonee la tutela delle sue componenti più deboli. A fianco ed a sostegno di questi ospedali sorsero vari monasteri. Predominante in Cingoli quello benedettino-cistercense di Santa Maria e Santa Caterina che, istituito nel 1234, aveva la tutela degli ospedali di Sant'Andrea di Spineto e Sant'Antonio e Bartolomeo di Buraco. Sempre entro la prima metà del sec. XIII, s'instaurò a Cingoli un monastero di minori osservanti, San Francesco, da cui uscirà Angelo Clareno, uno di benedettine a San Giacomo di Colle Luce e, nei preesistenti monasteri di San Michele e di San Marco, si stabilirono le donne che seguivano la vita eremitica della beata Sperandia.

In questo contesto la società cingolana ci appare ben stratificata  ed impegnata in una dinamica trasformazione; la testimonianza più immediata e frequente è quella delle autorità comunali, sia civili sia religiose: consoli, podestà, massaro, sindaci, giudici, notai, militi, banditore, vessillifero, pievano, rettori di comunità religiose; accanto a questi si trovano cultori di arti liberali: grammatici, musici, cantori, pittori, nonché medici e donne che esercitavano la medicina pratica. Vi è inoltre tutto quel supporto artigianale che è in funzione della comunità e da questa riceve sussistenza: vasai, sarti, calzolai, muratori, fabbri, falegnami, maniscalchi. La proprietà terriera, che nel castrum Cinguli inserito in un mondo agricolo a struttura signorile rappresentava l'unica forma di potenza economica, divenne, con l'affermarsi del comune, strumento di transazioni finanziarie a sfondo imprenditoriale. Il reimpiego del capitale agricolo apparve condizione essenziale per intraprendere una scalata sociale attraverso il miglioramento economico. A tal fine i grandi possedimenti si frazionarono, i privilegi signorili furono rimessi o per lucro o per acquisire vantaggi politici, la terra fu venduta per ricavarne capitali da investimento, i contratti agrari tendevano ad assicurare un migliore sfruttamento del terreno e una specializzazione delle colture; s'impiantarono nuove strutture produttive quali mulini, chiuse, cave di materiale da costruzione. Si formò quindi una classe imprenditoriale impegnata nel commercio sia nell'ambito del nucleo urbano sia all'esterno.

Fin dalla metà del sec. XIII è testimoniato un mercato di stoffe fiorentine nonché una produzione di panni locali, che nel XV secolo si istituzionalizzerà nell'Arte della lana e col conseguente impianto di gualchiere, tiratoi, lavatoi, tintorie - nel nucleo urbano esiste tuttora il Vicolo della Tinta;  erano inoltre tutelati la coltivazione dei gelsi e l'allevamento dei filugelli; un apposito palazzo, al di fuori delle mura urbane verrà adibito a sede dei mercanti. L'incremento di tale sviluppo economico, comportò necessariamente un impegno finanziario: si assiste quindi all'affermarsi di un  fiorente commercio del denaro sia da parte di personaggi locali, sia da parte di prestatori ebrei.

Questi, presenti sporadicamente nel comune fin dalla metà del sec. XIII, furono chiamati, nel sec. XV, dalle autorità locali proprio in funzione di una svolta radicale che si intendeva dare all'economia cittadina. Gli ebrei furono presenti in Cingoli per circa due secoli, in concorrenza e anche a sostegno del locale Monte di Pietà - istituito dal comune nel 1510 in seguito alla predicazione di fra' Lorenzo da Rocca Contrada - e, nel sec. XVI, sono testimoniati una sinagoga e un ghetto.

Il sec. XIII, oltre ad essere per il comune di Cingoli un periodo di formazione e d'identificazione istituzionale, fu il periodo in cui si trova Cingoli maggiormente impegnato in lotte con i comuni limitrofi. Questo si spiega sia con lo sforzo di affermare una propria autonomia, sia con i riflessi delle più significative contese fra papato e impero in sede locale. Cogliendo infatti proprio l'occasione da questo stato di belligeranza si instauravano e scioglievano alleanze allo scopo di frenare l'espansionismo di vicini scomodi: per Cingoli soprattutto Osimo e San Severino.

Oltre all'espansionismo dei vicini, un altro elemento di tensione fu presente in questo periodo nella vita cingolana: le rivendicazioni e le rivalità dell'aristocrazia locale. Cingoli aveva imposto, con maggiore o minore cruenza, la propria autorità sui signori circostanti annettendosene patrimoni e privilegi: non sempre l'operazione era stata indolore; da qui sommosse interne, tentativi di rivincita, alleanze faziose, lotte tra famiglie. Questo stato di tensione trovò il suo terreno favorevole proprio nella più generale situazione di belligeranza; con il ristabilirsi di un equilibrio esterno, anche la vita all'interno della città raggiunse una sistemazione pacifica e le maggiori energie vennero rivolte alla riorganizzazione della struttura istituzionale locale.

Con l'inizio del sec. XIV si assiste dunque a una riorganizzazione interna del comune di Cingoli ed a una sua svolta politica in senso antimagnatizio. L'occasione contingente fu una delle tante sommosse interne che aveva visto la famiglia Mainetti - nobiltà feudale minore, inurbata in Osimo alla fine del sec. XII, da qui bandita nel 1216 e stabilitasi a Cingoli - protagonista di un tentativo di presa di potere, che coinvolse le autorità comunali. La rivolta fu repressa, i Mainetti ed i loro alleati esiliati, le loro case presso la porta Bombace confiscate e adibite ad uso della popolazione di Cingoli.

Seguì una pacificazione generale, con remissione di  condanna, che interessò tutte le persone fuoriuscite in seguito a rivolte nel corso dei decenni precedenti, ma che comportò anche una riorganizzazione dell'assetto  interno del   comune in modo da scongiurare l'eventualità di ulteriori  tentativi da parte di famiglie nobili di stabilire una signoria locale. Da qui le costituzioni del 1307 le quali, pur testimoniando una struttura istituzionale ben consolidata, apportarono una serie di modifiche alla precedente normativa in modo da scongiurare ogni  prevaricazione e stabilirono una ripartizione tra potere legislativo ed esecutivo tale da garantire da ogni tentativo di preponderanza dell'uno sull'altro organismo.

Questa struttura organizzativa ha reso controllabile la vita del comune dal suo interno al punto tale da conservarsi immutata nel suo impianto fondamentale fino ai grandi sommovimenti del sec. XIX. Non si vuol certo dire che non si verificarono cambiamenti: gli Statuti si perfezionarono nelle successive redazioni del 1325 e 1364, s'impiantò una più capillare struttura burocratica, gli incarichi furono più razionalmente differenziati, ma, nella sostanza, la struttura rimase la stessa e comunque i cambiamenti furono apportati in seguito a sollecitazioni esterne, di un'autorità superiore - la legislazione egidiana, norme di Legati, di Vicari -.

Anche da un punto di vista sociale e politico la vita cingolana appare esente da grandi scosse. Le famiglie preminenti oramai non hanno più origine dagli antichi nobili feudali: i conti dell'Isola, i signori di Civitella, di Castreccione, i conti di Montecampanaro non ritrovarono l'opportunità di primeggiare, scomparvero quindi in silenzio con la spartizione dei loro beni. Al loro posto s'instaurò una nuova aristocrazia di origine funzionariale - Cima, Orlandi, Mainetti, Silvestri – o immigrata - Simonetti, Raffaelli, Castiglioni - che unì ad un originario patrimonio, più o meno consistente, la capacità di gestire la vita pubblica. Il potere politico così conseguito rese queste famiglie vincenti sia in rapporto alla primitiva aristocrazia - in tal modo si spiega la supremazia dei Cima nei confronti dei Mainetti e degli Orlandi - sia in rapporto all'autorità centrale.

Infatti tanto i rappresentanti della curia di Roma, quanto eventuali signori quali i Malatesta - che alla metà del sec. XIV tentarono d'instaurare una signoria personale a Cingoli servendosi di alleanze interne -, per esercitare i propri poteri si trovarono nella necessità di delegare compiti e funzioni a personaggi di sperimentata capacità per gestire la vita pubblica locale, con conseguente aumento del loro prestigio e patrimonio.Tale fu il fondamento della fortuna della quasi totalità delle famiglie che entrarono a far  parte della nobiltà cingolana, in particolare dei Cima,  e  specialmente  di Pagnone, Bartolo, Benutino, Giovanni e Giovan Battista.

Questi  ultimi  nel  1393 ottennero da papa Bonifacio IX il vicariato di Cingoli e il dono della rosa d'oro. Alla loro morte - e giungiamo alla metà del sec. XV - la famiglia, per un ennesimo rivolgimento di alleanze interne da collegarsi alla presa di potere in Cingoli di Francesco Sforza, fu perpetuamente esiliata e i suoi beni confiscati. Con la riscossa delle truppe pontificie al comando di Alfonso di Aragona e Niccolò Piccinino, papa Eugenio IV, pur perdonando ai cingolani il tradimento, ordinò lo smantellamento del cassero e del Castel Sant’Angelo, luoghi strategici per tutta la difesa del territorio. Da quel tempo in poi Cingoli non si allontanò dalla fedeltà dello Stato Pontificio.

 


Tratto da:

Simonetta Bernardi, Dal primo medioevo alla tarda età moderna, in Cingoli. Natura Arte Storia Costume, Cingoli 1994, pp. 56-67

 

 


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