Al 1307 risale il più antico testo statutario di Cingoli (1), composto da un gruppo di 52 capitoli relativi al diritto pubblico. Il Colini Baldeschi (2) ipotizza che non rappresenti, in assoluto, il più antico statuto cingolano. In un documento pubblicato dallo Zonghi (3) si apprende, infatti, che nel 1246 il Sindaco del comune di Fabriano ed alcuni nobili della città convengono che nello statuto da compilarsi siano inserite delle norme inserite in merito all’affrancazione dei servi servando modum terrae Cinguli.

Sempre secondo il Colini Baldeschi, questo statuto non sarebbe una vera e propria redazione statutaria completa ma una serie di capitoli emanati per regolamentare un settore della vita pubblica cittadina. Nello stesso testo del 1307 si fa più volte riferimento ad altri preesistenti ordinamenti e costituzioni: poena in capitulis, statutis et ordinamentis Communis Cinguli sive nostris constitutionibus contenta (capitolo 12 dello statuto).

Il testo costituisce un’importante fonte sull’organizzazione costituzionale del Comune agli inizi del XIV secolo. L’organizzazione comunale era incentrata su 500 Iurati de populo, rappresentanti di tutta la classe popolare e riuniti nel Parlamento. A capo dell’amministrazione del Comune si mise un Podestà, funzionario preferibilmente forestiero in carica per sei mesi, che aveva come collaboratori un vicario, un giudice, due notai e dieci famigli armati.

Il potere legislativo era prerogativa dei Viginti de populo, una sorta di esperti (sapientes) che eleggeva l’organo deliberativo, il Consciliariorum populi. Il Consiglio del popolo era composto da 120 membri rappresentanti i cinque quartieri cittadini (4); questo organo veniva convocato mensilmente nella chiesa maggiore (Pieve di Santa Maria) per deliberare sui provvedimenti da prendere su proposta del Podestà.

Il Consiglio del popolo eleggeva i Decem de populo che restavano in carica per un mese. I “dieci di popolo”, oltre ad affiancare il Podestà nella conduzione dell’esecutivo, nominavano gli ambasciatori e gli altri ufficiali del Comune.

La nuova organizzazione comunale apportava una serie di modifiche alle precedenti normative in modo da scongiurare l’eventualità di ulteriori tentativi da parte di famiglie locali di impossessarsi del potere cittadino (5). Si predisposero così una serie di norme che isolavano socialmente i nobili ed attribuivano ai “giurati di popolo”, appositamente armati, anche le funzioni di milizia (6).

 

Pagina dello statuto del 1325

 

Lo statuto comunale del 1325 viene considerato come uno dei più antichi testi statutari completi del maceratese e forse della Marca. E’ composto da cinque libri che al di fuori del secondo e del terzo, rispettivamente de civilibus quaestionibus e de maleficiis, non hanno una specifica titolazione. Nello statuto, anche se non mancano disposizioni a sfavore della nobiltà, non si nota tuttavia quello spirito antimagnatizio che caratterizzano le disposizioni emanate nel 1307.  

Il primo libro, composto da 43 rubriche, tratta dell’organizzazione costituzionale e amministrativa del Comune e dei suoi rapporti con il culto e la venerazione dei due patroni principali (S. Esuperanzio e S. Sperandia). 

Il secondo libro (37 rubriche) tratta del diritto e della procedura civile mentre il terzo (83 rubriche) del diritto e della procedura criminale. Il quarto libro (42 rubriche) tratta in genere delle foreste, dei pascoli, del danno dato. Infine, il quinto libro (71 rubriche) affronta argomenti relativi a viabilità, acque, commercio, tasse, agricoltura, sanità, igiene, ecc.

L’organizzazione comunale si basava, oltre che sul Podestà, su tre organi collegiali: il Consiglio generale, i Priori, il Consiglio di Credenza. Il Consiglio generale era costituito da 125 boni homines eletti e nominati dai Priori in carica; tra i 125 consiglieri venivano scelti 60 Priori che, a gruppi di cinque, reggevano il Comune per la durata di cinque mesi. Il Consiglio di Credenza, sempre eletto dai Priori, era formato da venti membri: quattro per ognuno dei cinque quartieri di Cingoli (4). Le elezioni avvenivano mediante sorteggio.  

Lo statuto del 1364 è diviso in quattro libri privi di intitolazione e dell’indice delle rubriche. I primi tre libri contengono, rispettivamente, norme relative al diritto pubblico, al diritto e alla procedura civile, al diritto e alla procedura penale. Il quarto libro contiene disposizioni relative all’agricoltura, al commercio, all’economia, all’igiene, ecc. Un quinto libro venne aggiunto nella copia del 1531.

Lo statuto manifesta un profondo ossequio e una grande devozione non solo alla Chiesa e al Papa ma anche al Legato e a tutti i funzionari della Curia rettorale rispecchiando in pieno il momento storico della sua formazione. L’altra caratteristica di questo statuto è la sua lunga vitalità: ancora nel 1797, compilando l’inventario dell’archivio comunale di Cingoli, il Vogel, a proposito di questo codice dice: “Statuto del 1364 approvato dal cardinal Egidio Albornoz, il quale si osserva ancora”.

L’organizzazione comunale si basava sugli stessi organi collegiali definiti nello statuto del 1325. Il Consiglio generale era composto da 60 membri sufficientes, discretos et legales; di essi, 45 dovevano essere scelti fra gli abitanti di Cingoli mentre gli altri 15 dal restante territorio. Per la regolarità delle sedute era necessaria la presenza dei due terzi dei consiglieri, che avevano l’obbligo di intervenire (e pene severe colpivano coloro che entro i tre giorni successivi non avessero giustificato l’assenza); le delibere, per essere approvate, dovevano ricevere i due terzi dei voti validi.

Sempre lo stesso collegio doveva poi, fra i 60 consiglieri, scegliere 30 idoneiores et sufficientiores per ricoprire l’incarico di Priori. I trenta eletti venivano ripartiti in sei gruppi di cinque membri ognuno che, a turno, di bimestre in bimestre, ed in base a sorteggio, esercitavano le funzioni priorati. I Priori operano in stretta unione con il Podestà: fissavano l’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio; davano esecuzione agli ordini impartiti dal Rettore della Marca; nominavano, insieme al Consiglio, i vari funzionari comunali. Dovevano abitare nel palazzo comunale e ricevevano uno stipendio di quattro lire al mese

Dallo stesso gruppo dei 30 Priori il Consiglio generale doveva sorteggiare 15 membri (quindecim de Credentia), abitanti di Cingoli, che entravano a far parte del Consiglio di Credenza. Nessun nobile poteva essere eletto Priore o far parte del Consiglio di Credenza; poiché nessuna norma dice qualcosa in proposito è lecito pensare che, al contrario, potessero far parte del Consiglio generale.

Al Camerlengo (o Camerario) faceva capo tutta l’amministrazione finanziaria e nel suo lavoro era affiancato da due notai nominati dal Podestà e dai Priori. Altri uffici del Comune erano ricoperti da notai: il Notaio delle riformanze; il Notaio della custodia che doveva presiedere giorno e notte alla custodia delle porte del territorio comunale; un notaio addetto al catasto; un notaio era titolare dell’ufficio del danno dato.

Il Sindaco del Comune, eletto dal Consiglio generale, dai Priori e dal Podestà, spettava la tutela degli interessi della collettività sia all’interno che all’esterno. Accanto ad esso c’erano anche i Sindaci delle contrade: uno o più per contrada, duravano un anno, e loro compito era quello di riferire agli organi comunali quanto avveniva nelle rispettive zone.  

Altri funzionari del Comune erano i Baiuli (o Balivi), che in numero di 6, uno del capoluogo e cinque delle varie ville, dovevano fare citationes ed altri atti esecutivi come pignoramenti, sequestri, ecc. sia per conto del Comune che di terzi; i Banditori, in numero di 2, ai quali spettava annunciare pubblicamente le disposizioni del Comune o della Curia della Marca. In caso di necessità il Consiglio generale poteva inviare Ambasciatori al Pontefice o ad altre autorità per conto del Comune.

La norma 26 del I libro dispone, ai fini di una migliore riscossione delle tasse, la suddivisione del territorio cingolano nei tre terzieri di S. Maria, S. Nicola e S. Giovanni dei quali delimita i confini e che divide in contrade.

 

Breve esposizione di alcune norme dello statuto comunale del 1364

 

Diritto e procedura penale (III libro)

Tutte le pene sancite dallo statuto per i vari reati avevano in genere carattere pecuniario: anche i reati più gravi come la congiura contro il Comune non comportavano pene detentive. Per i reati più gravi la competenza del giudizio spettava alla Curia generale della Marca che giudicava secondo le norme delle Costituzioni Egiziane.

Per l’omicidio lo statuto dispone la cattura dell’omicida da parte degli uomini della contrada dove è stato commesso.

La bestemmia contro Dio era punita con 25 lire; i bestemmiatori che non avessero pagato la multa venivano pubblicamente fustigati per le strade di Cingoli.

La congiura contro il Comune o la Chiesa veniva condannata con una multa di 100 fiorini d’oro e la totale distruzione della casa dove vi era stato organizzato il complotto.

Per il danneggiamento dello statuto, oltre alla multa di 50 fiorini, la figura dell’autore veniva dipinta, a perpetua infamia, sulle mura del palazzo comunale (pingatur in palatio).

Altri reati puniti erano l’aggressione e la percossa con armi o senza, le minacce a mano armata, le ingiurie (come il dire “falsus, proditor, patarinus, hereticus, cornutus”), l’incendio e l’usura.

Viene punito il furto, la violazione di domicilio, il chiedere il pagamento di un debito già estinto, impedire il corso delle acque, andare a caccia di notte, catturare i colombi, lavorare oltre i confini del comune. Nulla ars, infatti, poteva essere esercitata al di fuori del territorio comunale, fatta eccezione per l’agricoltura e per i vasai (figulatorum) e nessuno poteva esportare vino, olio formaggio e animali di ogni genere.

Era proibito portare armi, anche di difesa, sia di giorno che di notte, soprattutto dentro il palazzo del Comune, sulla piazza grande e durante le fiere, ad eccezione degli addetti all’ordine pubblico o per chi si reca fuori dal Comune o ne fa ritorno.

Era proibito ospitare o aiutare i banditi; vendere terreni o altri immobili ai forestieri, in particolare a feudatari o a città e comuni; andare di notte per le strade. Vi era, inoltre, il divieto di giocare d’azzardo e quello di mostrare incomposte manifestazioni di dolore durante il corteo funebre.  

 

Disposizioni generali (IV libro)

Venivano considerati cittadini di Cingoli i possessori di immobili che abitino nel comune da almeno un anno.

Il Comune dava in appalto il taglio dei prati, dei canneti, dei salici e degli altri alberi posti lungo le “rote” del fiume Musone, il taglio della legna in alcune zone del territorio, la raccolta dello scotano (per la concia delle pelli), la raccolta della feccia del vino e la raccolta degli stracci (per fabbricare la carta).

Per i pesi e le misure si dovevano rispettare quelle imposte dal Comune (il fiorino doveva avere il peso di quello anconetano, il passo per le stoffe doveva essere come quello infisso in cippo palatii; la stessa cosa per le altre misure il cui prototipo si trovava presso il Comune. Due “coppe” costituivano una “rasenga”, quattro una “salma”; il “rubbo” si divideva in sei “parti” o “pese”.).

Il mercato settimanale delle merci si teneva il sabato nella piazza grande; quello del bestiame la domenica. In occasione del mercato settimanale era proibito acquistare merci o bestiame in luogo diverso dove si svolgeva il mercato.

Gli osti dovevano munirsi di apposita licenza e usare regolari misure (“pititto”, “mezzo pititto” e la “foglietta” pari ad un quarto di “pititto”) mentre le venditrici di formaggio, uova, pollame, frutta e verdura (malvendulae) non potevano acquistare la loro merce per poi venderla prima dell’ora di terza. I fornai dovevano vendere il pane bene coctum et bene fermentatum. I macellai dovevano avere carni buone e abbondanti (naturalmente bollate dal Comune con cera di diverso colore a seconda della qualità). Era proibito vendere in città carni di animali ammalati, cosa invece lecita extra terram, presso una delle porte di Cingoli.

Era proibito tenere vuoti gli spazi destinati alla costruzione delle case, pena la vendita forzata del terreno; per ragioni di sicurezza, la casa non poteva essere ad una distanza inferiore a 5 canne dalle mura del comune.

Le strade dovevano essere mantenute nella loro larghezze minime di 15, 8 e 5 piedi a seconda che fossero strade, vie urbane e vie vicinali. Era proibito gettarvi immondizie o farvi lavori particolari. I pozzi e le fonti cittadine dovevano essere tenuti puliti con divieto di facere turpitudinem nei loro paraggi. Gli animali, specialmente i maiali, dovevano essere custoditi perché non andassero vagando per il comune sine anulo in grugno.  

 


Tratto da:

Pio Cartechini, Aspetti della legislazione statutaria cingolana nei secoli XIV-XVI, in AA.VV., Cingoli dalle origini al sec. XVI. Contributi e ricercheAtti del XIX Convegno di Studi Maceratesi, Cingoli 15-16 ottobre 1983, "Studi Maceratesi", 19, Macerata 1986, pp. 361-405

 

(1) Del Comune di Cingoli ci sono pervenute due redazioni statutarie complete, una del 1325 e l’altra del 1364. Accanto ad esse ci sono altri gruppi relativi al diritto pubblico e a particolari settori come le foreste, il Monte di Pietà, il danno dato, ecc. dal sec. XIV in poi. Parte di questa produzione fu individuata alla fine del XVIII secolo dal Vogel, nel corso del riordinamento dell’archivio di Cingoli, in diverse pergamene e codici che erano stati raccolti senza alcun ordine cronologico.

Macerata, Archivio Storico, Archivio di Cingoli

L. Colini Baldeschi, Statuti del Comune di Cingoli, Cingoli 1904, vol. II

P. Colliva, Il Cardinale Albornoz, lo Stato della Chiesa e le Costituzioni egiziane, Bologna 1977

C. Manfroni, Gli statuti del Comune di Cingoli, in “Atti e Memorie dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova”. N.S., vol. XXIII (1906-1907), pp. 255-261

(2) L. Colini Baldeschi, Statuti del Comune di Cingoli, Cingoli 1904, vol. II, p. 10 e segg.

(3) A. Zonghi, Carte diplomatiche fabrianesi raccolte e ordinate, in C. Ciavarini, Collezione di documenti antichi inediti o editi rari delle città e terre marchigiane, vol. II, Ancona 1872, p. 161

(4) Avenani (Avenale), Stratae (Strada), Trevidiani (Troviggiano), Castri (Cingoli), Forensium (territorio montano)

(5) Alla fine del XII secolo Cingoli fu teatro di una delle tante sommosse che aveva visto la famiglia Mainetti protagonista di un tentativo di presa del potere che coinvolse le autorità comunali.

(6) Al suono della campana o in caso di “rumore” devono correre al palazzo comunale armati di tutto punto: capitolo 2  

 

 


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