Il termine ricognizione archeologica (in inglese field survey) comprende una serie di tecniche e di applicazioni necessarie all'individuazione di testimonianze archeologiche che hanno lasciato sul terreno delle tracce più o meno consistenti. E' uno strumento fondamentale, anche se non esclusivo, per la ricostruzione dei paesaggi antichi. Nella storia degli studi italiani di archeologia la ricognizione rientra accademicamente nella disciplina della topografia antica; in una più ampia prospettiva, europea e mondiale, è concepita come aspetto applicativo di una disciplina più generale denominata Landscape Archaeology corrispondente, nell'archeologia italiana, alla denominazione di "archeologia dei paesaggi". 

La ricognizione archeologica è stata variamente considerata in passato. Da un lato vi erano studiosi che partendo dai presupposti della casualità e dell'estemporaneità dei materiali archeologici di superficie considerava del tutto inattendibile qualsiasi analisi di superficie. Dall'altro vi erano studiosi che riponevano estrema fiducia nei dati ricavati dalle ricognizioni finendo per promuovere fideistiche teorie storico-archeologiche. «Il diffondersi di alcune metodologie e tecniche e soprattutto il moltiplicarsi delle ricerche in ambito mediterraneo hanno portato a rivedere alcune posizioni totalizzanti del passato. Fino ad alcuni anni fa si insisteva sulla validità assoluta della ricognizione archeologica come strumento per l'acquisizione di dati archeologici validi indifferentemente per tutti i periodi storici, dalla preistoria ai giorni nostri. Nella realtà si è spesso constatato che il metodo, per quanto intensivo e sistematico, può non essere utile per l'identificazione di determinati periodi, quali la preistoria (Neolitico) o l'altomedioevo e, più in generale, per le fasi caratterizzate da forme di antropizzazione poco incisive nei settori delle tipologie abitative e delle morfologie economiche.

In contesti particolari è opportuno che una ricognizione archeologica, a prescindere dal grado di sistematicità e di intensità, sia affiancata da studi specialistici di altro genere. Saggi di ricerca paleoecologica possono apportare significativi contributi allo studio dell'ambiente preistorico e quindi orientare eventualmente la stessa ricognizione per i periodi più remoti...Analisi toponomastiche possono ravvivare un paesaggio altomedievale che, agli occhi di un ricognitore, risulta completamente deserto, e possono contribuire a orientare in maniera diversa la ricerca sul campo.

La ricognizione archeologica è un metodo particolarmente adatto allo studio delle forme e della distribuzione dell'insediamento antico, nell'arco cronologico compreso fra il VII secolo a.C. e il VI-VII secolo d.C. ed è un formidabile strumento per acquisire dati sui paesaggi antichi. Si è calcolato che, di norma, l'informazione archeologica su di un determinato comprensorio si accresca in maniera strabiliante (mediamente fra il 70 e il 90 per cento) al termine di un progetto di ricognizione» (1).

Fra gli archeologi italiani sono venute alla luce delle profonde divergenze sulle priorità che la la ricerca e gli investimenti devono seguire nel settore della ricognizione archeologica; queste opinioni diverse hanno portato a scelte metodologiche talvolta opposte e in apparente conflitto. Per una scuola di pensiero è infatti necessario stilare un catalogo completo delle presenze archeologiche sul territorio italiano sul quale gli organi preposti alla tutela possano basare la loro opera di tutela e salvaguardia del patrimonio (2). A questa posizione è stato obiettato che, date le risorse a disposizione per la ricerca, saranno necessari molti decenni prima che si possa coprire integralmente il territorio nazionale. L'altra scuola di pensiero invece considera più importante per la ricerca e utile per la tutela far si che le zone coperte siano il più possibile rappresentative dell'intero territorio nazionale (3).

Da queste posizioni contrapposte conseguono metodologie piuttosto diverse (es. copertura totale o campionatura) e nella scelta delle zone da coprire. Per la stesura di un "catasto archeologico" destinato alla tutela sono infatti ritenuti sufficienti pochi dati per ogni sito, mentre una grande attenzione viene riposta al suo esatto posizionamento. Le ricerche che mirano invece alla risoluzioni di problemi storici si concentrano sulle caratteristiche dei siti, come le loro dimensioni, la presenza di particolari materiali, la distribuzione dei manufatti all'interno e all'esterno del sito, ecc. Anche per quanto riguarda la scelta del contesto da indagare le differenti finalità determinano strategie diverse. Per un progetto che miri alla copertura totale del territorio nazionale un ambito di ricerca vale l'altro, mentre nel caso in cui l'indagine sia finalizzata a un obiettivo di ricerca la delimitazione dell'area da coprire è una decisione fondamentale.

Secondo altri autori «molte delle prese di posizione a proposito della campionatura, e più in generale delle strategie di ricognizione, non tengono adeguato conto del carattere profondamente dinamico dell'oggetto della ricerca. Si è spesso data per scontata la staticità e immutabilità del patrimonio archeologico disperso nelle campagne. Si tratta però di un'assunzione fondamentalmente falsa, come ha fatto ormai da tempo osservare A. Ammerman (4). L'aspirazione a un catalogo completo delle presenze archeologiche rurali viene molto spesso frustrata da una situazione in continua evoluzione e trasformazione di cui si tendono a sottovalutare gli effetti. Il quadro archeologico viene costantemente modificato dal susseguirsi di lavori agricoli, di cambiamenti nella coltura e nella vegetazione, di costruzioni e urbanizzazioni, che si sommano a fenomeni naturali come erosioni, accumuli e altri movimenti di massa. Questi fenomeni fanno sì che ciò che si osserva in un dato momento sul paesaggio non è che una parte, in continua evoluzione, di ciò che esisteva in antico; una frazione le cui dimensioni sono condizionate da fenomeni quasi sempre al di là del controllo dell'archeologo. Progetti di intervento di qualunque genere che non prendano in considerazione questa dura realtà rischiano seriamente di non ottenere i risultati sperati. Da un lato, infatti, un catalogo generale dei siti, pur molto lungo da ottenere, costituisce uno strumento di tutela limitato se manca la garanzia che le aree senza presenze archeologiche siano davvero tali; dall'altro, anche progetti con spiccata finalità scientifica come quelli, ad esempio, che praticano la campionatura, se non affrontano queste oggettive difficoltà conoscitive rischiano di restituire immagini del popolamento antico fortemente distorte. 

La nostra impressione è che in futuro bisognerà concepire progetti (siano essi mirati alla tutela o ad altro) che, accettando il carattere dinamico e mutevole del fenomeno da osservare, si occupino attentamente dei modi con cui pervengono fino a noi le tracce del passato, oltre che di raccogliere le tracce stesse. Si deve riconoscere che ciò che resta del paesaggio antico ci si presenta oggi come un mosaico con parti oscure e non informative più o meno ampie irregolarmente frammiste a un numero limitato di zone in cui le tracce del passato sono visibili e leggibili. 

Da questa visione consegue fra l'altro che il dilemma della campionatura viene risolto dallo stato oggettivo delle cose. Vi sono una serie di fenomeni che oggettivamente rendono visibile, e quindi conoscibile, solo una frazione limitata, quindi giocoforza un campione, del tessuto abitativo antico. Il problema principale diviene allora come ottenere da questa campionatura, imposta da fenomeni naturali e antropici esterni all'indagine, un'immagine affidabile della storia del paesaggio e della distribuzione delle presenze archeologiche. Le metodologie per risolvere questo complesso problema, che solo di recente si è iniziato a porre in termini chiari, sono in gran parte ancora da elaborare e sperimentare. Sembra comunque ragionevole che un'attenzione maggiore di quella finora prestata debba rivolgersi allo studio e alla comprensione dei fenomeni che, nelle varie situazioni geografiche, sono coinvolti nel determinare la conservazione e la visibilità delle tracce dei paesaggi antichi. 

Stabiliti in questo modo i limiti e le potenzialità dei dati raccolti, si devono poi creare procedure che, sulla base delle poche zone conoscibili, consentano di fare ipotesi verosimili sulle molte zone per cui non vi sono informazioni. Questo è un passaggio necessario, a nostro avviso, sia per la ricostruzione storica e archeologica della sequenza dei paesaggi in una regione, sia per mettere gli enti preposti alla tutela in grado di valutare caso per caso la probabilità che esistano resti archeologici in un singolo ambito minacciato dall'impatto ambientale di un intervento umano. Per fare ciò, abbandonata la chimera di un quadro completo delle presenze, l'unica via percorribile al momento sembra quella di comprendere le logiche insediative umane nei vari ambiti regionali e nelle varie epoche in modo da poter fare ipotesi e ricostruzioni affidabili nelle molte zone per cui manca un'informazione diretta» (5).


La ricognizione sistematica

Per ricognizione sistematica si intende un'ispezione diretta di porzioni ben definite di territori generalmente sottoposti a coltivazione, fatta in modo da garantire una copertura uniforme e controllata di tutte le zone che fanno parte del contesto indagato. L'obiettivo della copertura uniforme, che è uno dei tratti caratteristici della ricognizione sistematica, viene perseguito suddividendo il territorio in unità individuabili sulle carte, in genere i singoli campi coltivati (6), e percorrendole a piedi alla ricerca di manufatti e altre tracce di siti archeologici. I ricognitori, organizzati di solito in squadre, attraversano il campo per linee parallele e a intervalli regolari. La distanza fra i ricognitori è un fattore di grande importanza: è infatti possibile che siti di dimensioni inferiori alla misura adottata passino inosservati, e d'altronde ravvicinare troppo i ricognitori porta ad allungare i tempi necessari alla ricerca. Normalmente, in una ricognizione ad ampio raggio, la distanza ideale fra un ricognitore e l'altro varia fra i 10 e i 20 metri. Un intervallo inferiore ai 5 metri può essere adottato per contesti particolari (insediamenti preistorici) e ciò garantirà una maggiore aspettativa di ritrovamento di siti più piccoli e dei manufatti isolati.

La ricognizione sistematica non è tuttavia applicabile a tutte le situazioni geografiche, basti infatti pensare alle zone non sottoposte a coltivazioni. Percorre un'area boscosa per linee parallele non garantisce automaticamente, per motivi di visibilità, una copertura uniforme e controllabile. Vi sono pertanto delle situazioni in cui il metodo di ricerca più produttivo è rappresentato da una ricognizione non sistematica, ristretta cioè a zone che, per vari motivi, appaiono più promettenti. Con questo metodo vengono di solito esplorate le sommità e i costoni rocciosi, i letti dei fiumi, i boschi, le paludi, i ruderi ed i siti ancora abitati (poderi e fattorie disseminati per la campagna possono contenere a volte materiali antichi riutilizzati).

I due tipi di ricognizione portano necessariamente ad una diversa documentazione. Le ricognizioni sistematiche producono grandi quantità di siti costituiti generalmente da aree di manufatti, mentre quelle non sistematiche portano alla scoperta di siti a volte con caratteristiche eccezionali. Le analisi formali, statistiche e quantitative del paesaggio antico sulla base dei risultati di una ricognizione sistematica possono portare a ricostruzioni storiche e archeologiche globali assai più solide di quelle ricavabili dallo studio di singoli siti, per quanto eccezionali.

Durante la fase di progettazione di una ricognizione sistematica la prima operazione da compiere riguarda la localizzazione dei documenti archeologici già noti. Attraverso lo studio della bibliografia esistente vengono posizionati sulle tavolette IGM tutti i siti, i reperti isolati, i monumenti, le iscrizioni e quant'altro sia stato rinvenuto e/o documentato nell'area oggetto di studio e il posizionamento delle anomalie evidenziate dalla lettura aerofotografica tradizionale (7). Solitamente, nell'impostazione del progetto, è sufficiente l'impiego di una cartografia al 25.000. A questa fase può seguire anche una ricognizione preliminare ad ampio raggio per verificare la cartografia che si vuole utilizzare (e quindi, verificare le strade di accesso, l'assetto delle colture e delle proprietà, la disponibilità dei proprietari nei confronti dei ricercatori) e la localizzazione delle evidenze già note.

E' importante poi definire l'ambito geografico di interesse e l'intensità con cui deve essere indagato; due decisioni connesse fra di loro e condizionate dalla quantità di risorse a disposizione per la ricerca. Con le stesse risorse si può infatti decidere di indagare un contesto ampio ma con un'intensità più blanda oppure concentrarsi su una zona più limitata ma con maggiore intensità. 

In alcune situazioni geografiche può essere utile fare delle osservazioni sul paesaggio; una valutazione della visibilità delle tracce archeologiche può essere ottenuta combinando osservazioni sulla copertura vegetazionale, sui fenomeni di accumulo ed erosione, sulle caratteristiche geologiche del territorio, sulla storia dell'uso del suolo nella zona. In questo tipo di rilevamento bisogna tener presente che le cartografie disponibili possono condizionare la possibilità di svolgere osservazioni accurate. Quando non esistono carte di dettaglio sufficienti si può essere costretti a modificare la strategia di ricerca o ad elaborare una cartografia costruita su misura per la ricognizione.

E' infine necessario fissare tempi e modi della ricerca, cercando di scegliere il periodo che offra le migliori condizioni per la ricognizione e una struttura organizzativa che consenta di ottimizzare tempi e costi delle operazioni sul campo.

 


(1) F. Cambi, Ricognizione archeologica, in R. Francovich - D. Manacorda (a cura di), Dizionario di archeologia, Laterza, Bari 2000, p. 255

(2) P. Sommella, Conclusioni, in M. Pasquinucci - S. Menchelli (a cura di), La cartografia archeologica: problemi e prospettive, Atti del Convegno - Pisa 1988, Pisa 1989, pp. 291-305

(3) A. Carandini, Dibattito, in M. Pasquinucci - S. Menchelli (a cura di), La cartografia archeologica: problemi e prospettive, cit., pp. 285-290

(4) A. Ammerman, Surveys and Archaeological Research, in "Annual Review of Anthropology", 10, 1981, pp. 81-82

(5) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, pp. 119-121

(6) Le macchine agricole tendono infatti a portare in superficie numerosi manufatti sepolti. Si può affermare che l'agricoltura meccanizzata è allo stesso tempo il principale fattore di conoscenza e di distruzione degli insediamenti archeologici. 

(7) Allo scopo occorrono una coppia di fotografie aeree, meglio se ingrandite quanto più ma senza pregiudicare la qualità dell'immagine, e un normale stereoscopio.

 

 


Sommario L'intensità