La
decisione più importante nel progettare una ricognizione riguarda
la determinazione dell'intensità della copertura (1).
L'intensità può essere definita come «la quantità di energia
impiegata e il dettaglio raggiunto nella raccolta dei dati» (2).
Il concetto di intensità è stato applicato la prima volta da
alcuni archeologi processuali (3) che hanno osservato come
l'intensità della ricognizione aveva un ruolo considerevole nel
determinare i risultati ottenuti. E' apparsa subito evidente
quindi la necessità di definire l'intensità della ricerca al
momento della progettazione e di controllarne l'applicazione
durante l'indagine. A seconda delle esigenze, l'intensità può
essere definita in vario modo, ma è fondamentale fin dall'inizio
della ricerca fare delle scelte ben precise, che magari possono
anche essere modificate successivamente.
In
molti progetti si applica un solo livello di intensità a tutto il
territorio preso in esame e l'intero contesto viene ricognito con
la stessa procedura (4). E' il caso, come già accennato in
precedenza, anche delle ricognizioni che mirano ad un censimento
omogeneo destinato alla tutela, dove appunto non è importante
applicare intensità differenti. Altri tipi di progetti prevedono
invece un'intensità di copertura differente; l'intero contesto da
indagare viene sottoposto ad una ricognizione molto blanda che si
limita al censimento dei siti già noti o all'identificazione
delle maggiori evidenze, mentre una porzione del territorio viene
ricognita sistematicamente e intensivamente. In questo tipo di
progetto viene pertanto introdotta una campionatura, che non è
altro che la copertura di alcune parti dell'area da indagare con
maggiore intensità.
Oltre
la ricognizione esistono altri interventi che si possono
considerare di maggiore intensità e che vengono svolte in aree
molto ristrette (le indagini di superficie all'interno di singoli
siti e, in un certo senso, lo scavo archeologico possono essere
definiti come ricognizioni svolte in grande dettaglio su superfici
molto limitate); tuttavia, nella ricognizione sistematica è
fondamentale stabilire la definizione e la misura dell'intensità.
Vi sono stati degli studiosi (5) che hanno dimostrato la forte
influenza dell'intensità sulla quantità di siti rinvenuti, ed
altri (6) che hanno sostenuto che «aumentando l'intensità il
numero dei siti rinvenuti aumenti indefinitivamente senza mai
raggiungere un limite in cui esso non cresce più fino al crescere
dell'intensità» (7).
Da
questo tipo di osservazioni risulta chiaro che per interpretare e
confrontare le distribuzioni di siti è necessario conoscere il
grado di intensità applicato durante la ricognizione. Altrimenti,
una conseguenza potrebbe essere quella di interpretare un'area
più intensamente ricognita come più densamente popolata. Per
misurare l'intensità della ricognizione sono stati proposti due
metodi. Il primo «assume
che l'intensità della ricerca sia proporzionale al tempo
impiegato a ricognire una unità di superficie»
(8). Per quanto riguarda la ricognizione sistematica si può
misurare il tempo che un ricognitore impiega a coprire un
chilometro quadrato (giorni/uomo/km); nel caso di squadre di
ricognitori il valore si ottiene sommando i giorni impiegati da
ciascuno nella copertura dell'unità. I dati ricavabili dai
diversi progetti di ricognizione rivelano una forte variabilità
dei valori di intensità. Anche se molte ricognizioni applicano
valori compresi fra i 5 e i 10 giorni/uomo/Km, in alcuni
progetti sono stati adottati dei valori molto distanti da questa
fascia, come gli 0,3 giorni/uomo/Km
di alcune ricognizioni americane (9) o i 130 giorni/uomo/Km
del "Boeotia Survey" (10). E' tuttavia necessario
tenere ben presenti le approssimazioni di questo genere di misure.
Esse sono influenzate, ad esempio, non soltanto dall'intensità
applicata sul campo ma anche dal tempo impiegato per raggiungere
le zone da ricognire, il tipo di documentazione che viene fatta
sul campo e la frequenza dei rinvenimenti. Complessivamente però
risulta chiaro come la densità dei siti rinvenuti aumenti insieme
al tempo dedicato alla ricognizione. Il secondo metodo per misurare
l'intensità si basa «sulla
distanza che i ricognitori tengono sul campo, vale a dire lo
spazio che in media separa le linee parallele percorse dai
ricognitori sui campi coltivati» (11). Questo è un metodo che,
rispetto al precedente, ha il grande vantaggio di essere meno
influenzato dai fattori esterni. Si applica però soltanto a
quelle coperture in cui le distanze fra i ricognitori siano
all'incirca uguali e misurate, mentre non può essere impiegato in
quelle ricognizioni che vengono svolte non per linee parallele o a
distanza variabile. I valori impiegati sono compresi fra i 15 e i
30 metri, con estremi di 5 m nel "Boeotia Survey" (12) e
di 100 nel "Neothermal
Dalmatia Project" (13), o addirittura 1 Km in
Mesopotamia (14).
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Analisi del rapporto fra intensità della ricerca e densità di siti rinvenuti. Ogni punto rappresenta una ricognizione diversa mentre la retta individua la tendenza media (ottenuta tramite regressione) (da F. Cambi - N. Terrenato,
Introduzione all’archeologia dei paesaggi, p. 141)
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L'intensità
della ricerca aumenta anche quando si svolgono nuove ricognizioni
nello stesso territorio. Le ricognizioni ripetute (replicated
collections per l'archeologia anglosassone) consistono
semplicemente nel ripetere due o più volte una ricognizione
sistematica nello stesso contesto già indagato in precedenza. In
questo modo è possibile ottenere una maggiore quantità di
informazioni sulla zona già ricognita: nuovi materiali possono
essere raccolti nei siti già individuati e nuovi siti possono
essere individuati. «L'apporto forse più interessante offerto dalla ricognizione
ripetuta riguarda però la comprensione dei fattori che determinano il
rinvenimento dei siti (15). Per far questo è necessario confrontare i risultati di ciascuna delle coperture
considerandole come repliche dello stesso esperimento. Si è spesso osservato che
in archeologia la non replicabilità della raccolta dei dati rende difficile
l'applicazione del metodo scientifico sperimentale: l'esempio classico è che lo stesso strato non può essere scavato
due volte poiché il primo scavo lo ha distrutto. Ma nel caso della
ricognizione di campi coltivati si è rilevato che, dopo una ricognizione
di superficie, le arature successive riespongono una nuova
distribuzione di manufatti. Questo significa che in qualche misura la ricognizione è un esperimento replicabile; questa ripetizione
può fornire informazioni preziose sulle potenzialità e i limiti della
ricognizione.
Il primo tentativo di svolgere questa esperienza con procedure
controllabili è stato effettuato in Calabria (16). Una zona di alcuni chilometri quadrati fu ricognita più volte a
distanza di anni per poter mettere a confronto i risultati. Poiché la zona era
sempre la stessa, era possibile escludere che le notevoli differenze
osservate nelle distribuzioni fossero dovute a variazioni locali.
Un'ulteriore garanzia di imparzialità era ottenuta impiegando per
ogni ripetizione ricognitori diversi che non erano a conoscenza di
ciò che era stato rinvenuto nelle ricognizioni precedenti» (17).
Altri
esperimenti di ricognizioni ripetute hanno mostrato interessanti
fenomeni. Nel "South Etruria Survey" le ricognizioni
ripetute dimostrarono un progressivo degrado dei siti che poteva
giungere fino alla loro completa scomparsa (18); in altri casi, i
medesimi siti, indagati in anni successivi, si presentavano in
maniera molto differente, anche a parità di condizioni di
visibilità e stagione (19); nel "Molise Survey" la
ricognizione ripetuta mostrava dei siti che erano visibili nella
prima ricognizione e che scomparivano l'anno successivo per
ricomparire magari ("come luci del semaforo") in
seguito (20).
«Tutte queste osservazioni invitano nel complesso alla cautela
nell'interpretazione dei risultati della ricognizione: l'idea che la
ricognizione sia una tecnica che consente di localizzare la gran parte (se non
tutti) i siti presenti in antico viene messa profondamente in
discussione da questi recenti studi. Sembra invece più logico pensare, a questo
punto, che la ricognizione rinviene solo una frazione dei siti
originariamente esistenti. La grandezza di questa frazione dipende da molti
fattori concomitanti; alcuni di essi sono misurabili, come l'intensità
della ricognizione, o la visibilità del territorio, e se ne può in qualche modo stimare l'impatto sui risultati
della ricognizione, mentre altri non sono per ora misurabili o sono
addirittura sconosciuti e introducono quindi un elemento di casualità nel
processo di scoperta dei siti. Questo ingrediente di imponderabilità nella ricognizione (che
viene scientificamente definito stocastico) rende la distribuzione di siti
rinvenuti un campione perdipiù estratto almeno in parte casualmente
dal complesso (in statistica si direbbe dalla popolazione) dei siti
presenti. Ciò significa che, anche se fosse possibile applicare un'intensità
massima di ricerca, vi sarebbero comunque siti che sfuggono alla
localizzazione. Se esistono infatti siti che appaiono e scompaiono per
dinamiche interne alla zona arata, è chiaro che in una sola ricognizione non è possibile rinvenire altro che i siti visibili in quel
momento (e a quella intensità), un insieme di siti cioè che è determinato
anche da meccanismi casuali» (21).
(1)
«La prima regola di una
ricognizione archeologica è che il metodo di copertura determina
il genere di archeologia che si troverà», G. Barker, L'archeologia del paesaggio italiano: nuovi
orientamenti e recenti esperienze, in "Archeologia
Medievale", XIII, 1986, p. 18
(2)
F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, p. 136
(3)
S. Plog - F. Plog - W. Wait, Decision Making in Modern Surveys,
in M. Schiffer, Advances in Archaeological Method and Theory,
I, 1978, pp. 383-421
(4)
E' il caso di alcuni progetti di ricognizione fra i quali, per l'Etruria:
T.W.Potter, The Changing Landscape of South Etruria, Londra
1979; per la Mesopotamia: R. Adams, Heartland of Cities.
Surveys of Ancient Settlement and Land Use on the Central
Floodplain of the Euphrates, Chicago 1981; per Keos: J. F.
Cherry - J. L. Davis - E. Mantzourani, Landscape Archaeology As
Long-Term History. Northern Keos in the Cycladic Islands, Los
Angeles 1991; per il Messico: K. Flannery, The Early
Mesoamerican Village, New York 1976
(5)
J. Cherry, Frogs around the Pond: Perspectives on Current
Archaeological Survey in the Mediterranean Region, in D. R.
Keller - D. W. Rupp, Archaeological Survey in the Mediterranean
Region, bar Int.
Serie 155, Oxford 1983, pp. 375-416
(6)
S. Plog - F. Plog - W. Wait, Decision Making in Modern Surveys,
cit.
(7)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit., p. 139
(8)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit., p. 139
(9)
S. Plog - F. Plog - W. Wait, Decision Making in Modern Surveys,
cit.
(10)
J. L. Bintliff, The Boeotia Survey Central Greece, in S.
Macready - H. Thompson, Archaeological Field Survey in Britain
and Abroad, Society of Antiquaries Occasional Papers 6, London
1985, pp. 196-213; J. L. Bintliff, The Roman Countryside in
Central Greece: Observations and Theories from the Boeotia Survey
(1978-1987), in G. Barker - J. Lloyd, Roman Lanscapes.
Archaeological Survey in the Mediterranean
Region, Archaeological Monographs of the British School
at Rome, 2, London 1991, pp. 122-132
(11)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit., p. 140
(12)
J. L. Bintliff, The Boeotia Survey Central Greece, cit.; J.
L. Bintliff, The Roman Countryside in Central Greece:
Observations and Theories from the Boeotia Survey (1978-1987),
cit.
(13)
S. Batovic - J.C. Chapman, The "Neothermal Dalmatia"
Project, in S. Macready - H. Thompson, Archaeological Field
Survey in Britain and Abroad, Society of Antiquaries
Occasional Papers 6, London 1985, pp. 158-195
(14)
R.
Adams, Heartland of Cities.
Surveys of Ancient Settlement and Land Use on the Central
Floodplain of the Euphrates, Chicago 1981
(15)
A. J. Ammerman, Surveys and Archaeological Research, in
"Annual Review of Anthropology", 10, 1981, p. 79
(16)
A. J. Ammerman - S. Bonardi, Recent Developments in the Study
of Neolithic Settlement in Calabria, in G. Barker - R. Hodges,
Archaeology and Italian Society, bar
Int. Series 102, Oxford 1981, pp. 335-342
(17)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit., p. 142
(18)
T. W. Potter, The Changing Landscape of South Etruria,
Londra 1979, pp. 22-26
(19)
A. J. Ammerman - M. Feldman, Replicated Collection of Site
Surfaces, in "American Antiquity", 43, 1978, pp.
734-740
(20)
J. A. Lloyd - G. Barker, Rural Settlement in Roman Molise:
Problems of Archaeological Survey, in G. Barker - R. Hodges, Archaeology
and Italian Society, cit., p. 291
(21)
F. Cambi - N.
Terrenato, Introduzione
all’archeologia dei paesaggi,
cit., p. 143
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