Quando la Luna alla terza stazione... 

di Alessandro Bausani  

l'Astronomia n. 46 (luglio-agosto 1985) pp. 23-29  

 

L’osservazione della posizione variabile della Luna tra le stelle ha avuto e ha notevole importanza per vari popoli. Le ragioni sono evidenti. Innanzitutto dal puro punto di vista, per così dire, estetico, la visione dell'astro notturno presso determinate stelle, specie se brillanti, in giorni diversi, ha una sua "curiosità" e bellezza che non vanno sottovalutati. In secondo luogo, la Luna, dopo il Sole, è il più evidente mezzo per la misurazione del tempo. Dopo la più immediata di queste misure che è il giorno solare, segue per importanza la lunazione, cioè l'intervallo di circa 29,54 giorni che passa fra una Luna piena e la successiva o fra una Luna nuova e la successiva. 

Fin da tempi antichissimi gli abitanti delle zone temperate, nelle quali si susseguono stagioni con caratteristiche climatiche e meteorologiche ben definite, devono aver cercato - prima ancora di riuscire a determinare, il che non è facile, i momenti esatti di equinozi e solstizi - di combinare i mesi lunari (sinodici) con fatti stagionali. In realtà il susseguirsi dei pleniluni (per menzionare solo questa, che è la più appariscente delle fasi lunari) non sembra essere di nessuna utilità allo scopo di determinare stagioni o periodi meteorologico-climatici. Il modo più semplice per trovare un ordine in questo apparente disordine è però quello di osservare i momenti in cui il plenilunio (o, volendo, una qualsiasi fase lunare) avviene in vicinanza di una determinata stella fissa. Infatti, poiché la Luna, quando è piena, dista 180° dal Sole, è cioè in opposizione col Sole, se il plenilunio avviene, poniamo, presso le Pleiadi, la cui attuale longitudine è circa 58°, ciò significa che in quel momento il Sole si troverà a 180° + 58° = 238° di longitudine, alla fine cioè del segno dello Scorpione (sarà cioè circa il 21 novembre). Si intensificheranno, in altre parole, i freddi autunnali, saremo vicino all'inverno. Ecco allora che l'osservazione della posizione della Luna piena rispetto alle stelle ci dà un modo semplice, e molto più facile del metodo del "levare eliaco" di una stella, per dedurre con sufficiente precisione la posizione del Sole fra le stelle, cosa ovviamente impossibile da fare per osservazione diretta, data l'enorme luminosità di quell'astro. È il metodo questo seguito dai Cinesi, a preferenza del "levare eliaco" di qualche astro, metodo invece usato in antico dagli Egizi.

Gli antichi osservatori del cielo (un cielo molto più terso di quello delle nostre città di oggi...) non mancarono certo di notare che la Luna, prescindendo dalle sue fasi, ritorna vicino a una stessa stella dopo un periodo di 27 giorni (è la rivoluzione siderale della Luna, il mese sidereo, lungo più precisamente 27,32 giorni) con uno scarto di poco più di 2 giorni (più precisamente 2,2 giorni) rispetto al completamento del ciclo delle fasi (mese sinodico). L'idea di dividere approssimativamente in 27 parti il cammino della Luna fra le stelle, e di utilizzare la posizione di fasi significative della Luna in queste 27 parti per dedurne la rispettiva posizione del Sole (e quindi per fissare fenomeni stagionali) non può non essere occorsa a vari popoli antichi, sia pure, da principio, in modo puramente empirico, sperimentale, prescindendo cioè da concezioni più generalizzate e geometriche di orbite rispettive. È ora per noi chiaro che se si ha, per esempio, un primo quarto di Luna presso le Pleiadi, questo significa che il Sole si troverà a 90° prima di esse, cioè, ora, a circa 328° di longitudine, verso la fine dell'Acquario: saremo cioè nella seconda metà di febbraio; ma il "primitivo", anche senza fare calcoli di gradi di longitudine eclittica, deduceva da quel fatto che, quando il primo quarto di Luna avviene presso le Pleiadi, si hanno quei determinati fenomeni climatici che corrispondono, grosso modo, a quella data. 

Che le cose siano effettivamente così è mostrato da una gran massa di dati preistorici, etnologici, folkloristici, che mostrano la grande importanza, presso popoli anche molto lontani, delle stazioni lunari, cioè delle suddivisioni del percorso della Luna fra le stelle in 27 parti non sempre uguali. Infatti non sempre sono a disposizione, nelle regioni esatte del cielo dove si trova la Luna nel corso della sua rivoluzione siderea, stelle o asterismi particolarmente brillanti o significativi, e per di più, essendo l'orbita lunare inclinata di circa 5° sull'eclittica, e spostandosi le sue intersezioni con la medesima (o nodi) con una certa rapidità (circa un giro completo in 18 anni), le posizioni della Luna rispetto alle stelle non si riproducono con esattezza ad ogni rivoluzione siderea. 

Ma quello che a un astronomo moderno sembrerebbe una rozzissima approssimazione, aveva il suo valore pratico per il primitivo, e, ripetiamolo, permetteva di dedurre l'approssimato moto del Sole sull'eclittica in modo più facile che non con altri sistemi. 

E' forse questa sfiducia dei moderni scienziati verso un modo così elementare (e approssimato) di calcolo astronomico, che ha fatto sì che anche alcuni fra i maggiori storici dell'astronomia, come G. Schiaparelli, abbiano dato una scarsa importanza alle stazioni lunari. Lo Schiaparelli nei tre volumi dei suoi Scritti sulla storia della Astronomia Antica fa notare che nei "parapegmi" o calendari astro-meteorologici degli antichi non compare quasi mai la Luna, nè si usano le stazioni lunari che, a parere suo, sarebbero una invenzione indiana. Invece, una maggiore attenzione alle osservazioni lunari del periodo siderale concessa agli antichi, potrebbe forse (azzardo una semplice ipotesi) spiegare qualche fatto. Ad esempio, sia l'origine delle nundinae (periodo classico di nove giorni, dopo il quale si faceva un mercato) sia l'origine della settimana incaica di 9 giorni, sia anche la curiosa "nutazione dell'orbe solare" in vari scrittori antichi (Marziano Capella, Teone, Plinio, le pseudo-Beda, ecc.): l'origine di questa strana idea potrebbe forse esser dovuta a una imprecisa conoscenza dell'obliquità dell'orbita lunare sull'eclittica e al non combinarsi con esattezza delle latitudini del Sole e della Luna dopo gli otto anni dell’ottaeteride (il periodo durante il quale il ciclo solare e quello lunare erano più o meno identici), a spiegare la quale sfasatura si sarebbe supposto uno spostamento in latitudine del Sole, che è appunto la "nutazione dell'orbe solare". Così altri ancora hanno pensato il sistema delle stazioni lunari tanto strano che si sono messi alla ricerca di una sua origine unica diffusionisticamente, individuandola in vari luoghi (il centro di origine più frequentemente ipotizzato è la Babilonia). A mio parere il sistema delle stazioni lunari è invece ben più universale e immediato, tant'è vero che si ritrova in zone così diverse come la Cina, l'Arabia antica, l'antico altipiano anatolico, la Somalia, probabilmente l'antico Perù, l'Afghanistan ecc.  

Cominciando dalle "altre" direi che è basata sulle stazioni lunari la famosa stele di Triora (Liguria) che risale forse al terzo millennio a.C. (vedi immagine a lato).

I 27-28 trattini verticali del registro centrale accennano a una simbologia lunare e, precisamente, secondo me, alle 27-28 stazioni lunari (altre popolazioni usarono sia 27 - Indiani - sia 28 – gli Arabi - stazioni lunari, talora di lunghezza piuttosto approssimata attorno ai 13°). 

Pressappoco al meridiano, molto alta nel cielo, c'è la Luna di sette giorni (primo quarto) grosso modo in congiunzione con Regolo. La seconda configurazione potrebbero essere i momenti attorno al sorgere del Sole all'equinozio di autunno. Il Sole sorge presso Antares e, in quel momento, tramonta Aldebaran. Al meridiano ancora la Luna, stavolta di ventuno giorni (l'ultimo quarto) sempre presso Regolo. 

Come dicemmo, configurazioni come queste non si ripetono ad ogni equinozio. Che significavano quelle configurazioni? Azzardo, per quel che può valere, una semplice supposizione: la Luna piena è notoriamente poco fausta in molte tradizioni popolari, mentre la Luna crescente o calante è connessa, per esempio, con utili operazioni agricole (nel primo caso la semina, nel secondo il raccolto): ma quale mito suggerisse ai contemporanei la stele di Triora, mi sembra ormai impossibile determinare con precisione. Penso tuttavia che vada un po' ridimensionata una certa tendenza della antropologia/sociologia moderna a sottovalutare certi aspetti "protomoderni" di tecnica, o misurazione o precisione nello studio delle civiltà primitive, a vantaggio di interpretazioni sociologico-psicologiche. Ritengo che Nilsson abbia ragioni piuttosto valide quando afferma che "le unità di misura del tempo sono date dai moti dei corpi celesti". 

Saltando all'Anatolia, l'ortostato anatolico (vedi immagine a lato) con decorazione geometrica, trovato a Tirişin Alm e descritto da M. Uyanik, e da Anati nel 1972, è forse una specie di calendario lunare. Le parti essenziali sono: a) un rettangolo diviso in tre sezioni, ciascuna delle quali è riempita da nove segni verticali, in tutto quindi 27; b) una appendice inferiore di 12 tratti verticali; e) gruppi di tratti a destra del rettangolo - quasi certamente indicanti numeri - e precisamente 1 accanto al settore superiore, 3 accanto al medio e 5 accanto all'inferiore. 

Che i 27 tratti indichino i 27 giorni del mese siderale, mi sembra indubbio. I 12 segni in basso non mi sembra possano interpretarsi altrimenti che come simbolo dei 12 mesi sinodici dell'anno. Tutto il problema sta in quelle tre cifre, 1,3,5, sulla destra del rettangolo. A mio parere, esse sono un elementare e piuttosto rozzo metodo di concordanza fra mese siderale e mese sinodico.

Prima di dire in che consiste, a mio parere, tale metodo, va detta una parola a proposito della ripartizione del mese sidereo in tre settori di nove giorni. La cosa in sé non è strana, dato che 27 è divisibile solo per 3 e per 9, e del resto non è questo l'unico caso di una "settimana" di 9 giorni. Nel Perù incaico, a detta del principe inca ispanizzato Garcilaso de La Vega (Comentarios Reales, VI, cap. 35) si divideva il mese in tre parti di nove giorni. L'inca Pachacutec aveva ordinato "che i contadini e i lavoranti delle campagne dovessero venire in città e presentarsi sul mercato di nove in nove giorni per apprendere le cose ordinate dall'Inca e dai suoi consiglieri". Lo stesso Inca ordinò che in ogni mese vi fossero tre giorni di festa (probabilmente quindi uno a ogni nove "stazioni"). 

Tornando ora alle cifre segnate sul lato destro del rettangolo dell'ortostato, a mio parere, il solo sistema che dia un senso è immaginare che l'inizio del mese sidereo sia supposto coincidere con una determinata fase; diciamo, ad esempio, con la Luna nuova. La cifra 1 a destra della prima novena, significherà allora: "la prossima fase (primo quarto) avverrà, in questa novena, nel suo giorno 9 meno 1, cioè l'ottavo giorno dalla Luna nuova, o la "scomparsa della Luna". La cifra 3 a destra della seconda novena varrà quindi parallelamente: "la fase ancor prossima (la Luna piena) avverrà a nove meno tre giorni della novena, cioè al quindicesimo giorno dalla Luna nuova", e infine la cifra 5 alla destra della novena inferiore vorrà dire: "la fase ulteriore (cioè l'ultimo quarto), avverrà a nove meno cinque giorni di questa novena, cioè al ventiduesimo giorno dopo il novilunio". Ma questo vale ovviamente solo per un mese sidereo; e i successivi? Non so se cado in un eccesso di "interpretazione" proponendo che i due segni sulla sinistra del rettangolo tripartito siano un rozzissimo promemoria del fatto che, molto grosso modo, ogni fase è sfasata di circa due giorni rispetto al mese siderale, e, con semplici addizioni e sottrazioni, ci si può anche arrangiare a calcolare con questa "tavola", approssimativamente, le corrispondenze fra mese sinodico e sidereo. 

Supponiamo che volessimo usare questo ortostato per le lunazioni dell'anno 1973. Il 13 marzo la Luna era in prima stazione (supponiamo, dato che non cambia nulla, di scegliere come prima stazione quella il cui inizio corrisponda al grado eclittico di 90°, cioè il punto solstiziale estivo) e aveva un'età di circa otto giorni (primo quarto). Domanda: in che fase sarà, fra due mesi siderei, quando cioè si troverà nella stessa stazione? Risposta, dopo uno sguardo all'ortostato: sarà di età otto meno due meno due, cioè di circa quattro giorni, il che, grosso modo, è vero. Oppure, altra domanda: in che stazione sarà la Luna quando sarà piena questo mese? Risposta: nel primo riquadro, al giorno 9-1, cioè all'ottava stazione, cioè, secondo il nostro sistema di conto, a 8 x 13° circa oltre la ipotetica nostra 1° stazione (90°) cioè a 194° eclittici, corrispondenti all'incirca a 12h 50m di ascensione retta il che si verificherà il 20 marzo ed è grosso modo poco dopo la Luna piena. E, altro esempio di problemino di approssimazione... preistorica: in che stazione sarà piena la Luna fra 4 mesi siderei? Sarà nella stazione (a partire da quella che in questo caso abbiamo arbitrariamente messa come prima) (9 -1) + (4 x 2) cioè nella 16ª. E infatti nel luglio 1973 la Luna era piena all'incirca in quella stazione, cioè fra Sagittario e Capricorno, sotto Altair. Naturalmente più i calcoli sono "a lunga scadenza" e più questo sistema è impreciso, ma è probabile che la tavola sia stata mentalmente ricorretta periodicamente, facendo coincidere l'inizio di una novena con una qualche fase caratteristica che poteva capitarvi.

Abbiamo detto poc'anzi che 27 è divisibile solo per 3 e per 9. C'è quindi da aspettarsi che presso qualche popolo esista una "settimana" tridua. Il caso avviene per il  popolo  basco,  dove  i  primi  tre giorni  dell'attuale settimana, cioè lunedì, martedì e mercoledì, si chiamano ancora astelehen, (il primo giorno della settimana), astearte (metà della settimana) e asteazken (fine della settimana). Già S. Agostino aveva parlato di una ebdomada tridua ("settimana" di tre giorni) per la quale esistono vari dati etnografici. 

Ma che significava in origine questo misterioso aste? La combinazione di tre gruppi di 9 che abbiamo visto nell'ortostato di Tirisin Alm può essere invertito in una combinazione di 9 gruppi di tre. Poiché il viaggio giornaliero della Luna fra le stelle è di circa 13°, tre stazioni lunari formano un arco di circa 40° che, moltiplicato per 9, completa l'intera circonferenza del cielo (360°). Propongo pertanto di considerare aste come significante l'arco di 40° che abbraccia circa tre stazioni lunari. 

L'importanza delle Pleiadi nel folklore e nell'etnologia è ben nota dalla Cina all'India, dalla Polinesia all'Arabia e alla Somalia. Circa nel 2000 a.C. la zona del cielo fra Aldebaran e le Pleiadi coincideva, più o meno (data la precessione degli equinozi), con l'equinozio di primavera; abbiamo già visto come l'equinozio di autunno era vicino alla rossa Antares dello Scorpione. Se ora immaginiamo che il primo aste cominciasse verso il principio della primavera, con la prima sottile falce di Luna vicino alle Pleiadi, dopo 4 o 5 aste, cioè, dopo più o meno 15 giorni, la Luna piena sarebbe stata visibile presso Antares. Il primo quarto sarebbe avvenuto nell’astelehen del terzo aste; la Luna piena nell’astearte del quinto aste; e l'ultimo quarto nell'asteazken del settimo aste. Data la differenza di circa 2,2 giorni fra i cicli sinodico e sidereo, il mese sidereo che seguirà non mostrerà lo stesso ordine di fasi, ma piuttosto una sequenza in cui le tre fasi significative (primo quarto, Luna piena e ultimo quarto) si seguiranno con asteazken, astelehen e astearte, in modo cioè inverso rispetto al primo mese. 

Similmente nel seguente mese sidereo avremmo astearte, asteazken, astelehen e così via. Ciò fornirebbe un semplice metodo mnemonico per combinare le fasi con la posizione siderea della Luna (le stazioni lunari). Ripeto qui che queste concordanze, questi sistemi mnemotecnici, non sono troppo precisi nelle misure di tempo. Supponendo che questo sistema fosse operativo fra i baschi, possiamo anche ammettere che la sequenza di stazioni lunari e asteak (plurale di aste), possano essere stati corretti, a un certo punto, e la serie cominciata di nuovo. Simili sistemi si trovano anche in Afghanistan e in Somalia, ma non abbiamo lo spazio nè il tempo di entrare in troppi dettagli.

Ma questo metodo, probabilmente nato fra popolazioni nomadi che non possedevano gnomoni fissi con cui studiare il corso del Sole direttamente, dà conto anche, secondo me, dell'ordine dell'alfabeto antico fenicio, che è quello grosso modo seguito anche da noi. Perché, infatti, A, B, C, D, E, F, G,...? (ordine fenicio dell'alfabeto è A, B, G, D, H, W, Z...). Dato il senso del nome di certe lettere cardine, questa successione fa pensare col Moran, che gli alfabeti, che spesso furono visti come misura ciclica del tempo, siano connessi con le stazioni lunari. Questo sembra confermato da un curioso manoscritto astrologico turco del '500 copia, a sua volta, di un più antico testo, di cui W. Hartner dice: "Le 28 stazioni lunari arabe sono illustrate da pitture fantastiche che differiscono interamente da tutte le altre rappresentazioni incontrate altrove... In molti casi esse rappresentano oggetti che non hanno alcuna connessione con i nomi corrispondenti; mentre in altri casi si potrebbe costruire una connessione significativa". I misteriosi disegni potrebbero essere spiegati, a mio parere, proprio mediante la connessione alfabeto-stazioni cui abbiamo accennato. L'artista, ben conscio delle antiche connessioni tradizionali ed esoteriche fra alfabeto e stazioni, sembra abbia voluto fantasiosamente riprodurre immagini di oggetti il cui nome, in turco osmanli, comincia con la lettera che corrisponde a quella data stazione lunare, nell'ordine dell'abjad che è quello appunto più antico fenicio-ebraico. Abbiamo così, per la sesta lettera un wal che in persiano significa balena, che corrisponde all'antico ordine fenicio. L'alfabeto stesso sarebbe stato cioè un arcaico calendario approssimativo. 

Riassumendo le nostre conclusioni, esse potrebbero essere le seguenti: a - l'ordine dei segni alfabetici è piuttosto antico e non posteriore alla prima metà del secondo millennio a.C. (alef, la prima lettera dell'alfabeto ebraico-fenicio significa infatti toro, e sembrerebbe presupporre un ciclo che comincia col Toro, che allora, come si è visto, era il segno dell'equinozio di primavera), b - L'ordine dei segni simboleggia probabilmente i giorni di una lunazione completa sentita come più fausta di altre: ad esempio, quella del solstizio d'inverno (con Luna piena nel Leone e ultimo quarto presso Antares), oppure dell'equinozio di primavera, con Luna piena presso Antares e primissima falce presso le Pleiadi. e - È difficile che i segni alfabetici possano riprodurre tutti gli asterismi delle stazioni lunari, proprio perché nati indipendentemente da essi; bensì essi furono ordinati in quel modo per certe coincidenze delle loro forme con alcuni asterismi indicanti le stazioni lunari e con simboli della Luna (piena o mezza). Quindi non "origine astrologica" dell'alfabeto, bensì alfabeto inteso come una sorta di arcaico memorandum calendariale, utile soprattutto per gruppi umani primitivi che non avevano ancora un metodo per calcolare con sufficiente precisione il corso del Sole fra le stelle, e sostituivano tale calcolo con un sistema indiretto basato sulla combinazione fra fasi (sinodiche) e stazioni (sideree) della Luna. Le stazioni lunari, del resto, sono poste in corrispondenza con i segni dell'alfabeto arabo nell'ordine "antico" (quello che serve a numerare ed è noto come abjad identico al fenicio, ebraico, ecc.) in tutti i testi della tradizione gnosticheggiante e cabalistica musulmana. Per non fare che un esempio, secondo la famosa enciclopedia neoplatonico-ismailiteggiante del X secolo, le Rasa'il Ihwan as Safa' ("Epistole dei Fratelli della Purità"), le 28 stazioni lunari corrispondono alle 28 lettere dell'alfabeto perfetto (l'arabo). D'altra parte tale corrispondenza delle lettere con segni celesti è abbastanza usuale nella "tradizione". Testi cabalistici ed esoterici medievali e rinascimentali, come per esempio mostra E. Zolla, vedevano caratteri ebraici negli asterismi mentre Postel dichiara di derivare tali elucubrazioni appunto dalla tradizione araba.

In epoca storica, le stazioni lunari vennero sempre più perdendo importanza, salvo appunto alcuni relitti, come quelli qui esaminati e altri ancora. Laddove una forte tradizione le mantenne, cioè presso gli Arabi, ben presto esse divennero semplici nomi di asterismi da osservare in corrispondenza del corso del Sole. L'astronomo arabo Al-Bîrûnî (sec. X-XI) - che da buon astronomo colto sembra spregiare questi vecchi sistemi approssimati - ci ha tuttavia conservato antichi versi arabi che mostrano un uso delle stazioni lunari che prescinde completamente da una loro osservazione in concomitanza col Sole, bensì le mostra osservate in combinazione con le fasi lunari. Così Bîrûnî cita questi versi anonimi:

"Quando la Luna si incontra con le Pleiadi in una terza (notte del mese lunare) se ne è andato l'inverno." Infatti, come spiega Bîrûnî stesso, dato che la posizione delle Pleiadi nell'epoca di poco antecedente l'Islam, era verso i 10° del Toro (ora è alla fine del Toro, quasi all'inizio dei Gemelli), ossia 40° dal punto equinoziale di primavera, una congiunzione della Luna d'età di tre giorni con le Pleiadi, significa che il Sole è a circa 37° di distanza, cioè circa 3° dopo l'equinozio di primavera. "Quando la Luna piena è completa con le Pleiadi, ti verrà il freddo il cui inizio è l'inverno". Come abbiamo già detto, il Sole sarà allora in opposizione alle Pleiadi, cioè, a quell'epoca, a una longitudine di 180° + 40°, cioè a 10° dello Scorpione, saremo cioè ai primi di novembre. 

"Se Aldebaran un giorno sarà in congiunzione con la Luna piena di 14 (giorni d'età) diffonderà su tutta la Terra l'inverno cavalieri incitati focosi e si librerà in cielo la Luna finché si scorceranno le ombre ai pioli delle tende e questo, a metà della notte, al meridiano, quando l'aria è priva di ogni nebbia o foschia".

Bîrûnî commenta che infatti (come sappiamo) in quel momento il Sole sta a circa metà dello Scorpione e che, se capita che la Luna abbia una notevole latitudine settentrionale, in Arabia può essere in quella posizione allo zenith, sicché gli oggetti non faranno ombra.

"Quando la falce della prima notte di Luna appare agli occhi degli uomini nella stazione an-Na’ â’ im, ti colpiranno venti freschi da ogni direzione e sarà bene che ti avvolga il capo nel turbante un po' prima dell'alba". Infatti la stazione an-Na’ â’ im è lo spazio di cielo tra alcune stelle del Sagittario, e il Sole si troverà ad appena 12° circa dalla Luna, cioè, a quel tempo, per la precessione degli equinozi, nella prima parte del Sagittario (fine novembre). 

Questi versi mostrano, nella loro vivezza (se ne potrebbero aggiungere molti altri), effettive osservazioni concrete di combinazione fase-stazione. Che gli antichi Arabi fossero in questo molto curiosi e accurati è mostrato anche dal fatto, citato anch'esso da Al-Bîrûnî, che essi notarono persino la diversa velocità con cui la Luna si indugiava più o meno a lungo in una stazione o nell'interstizio (che aveva un nome tecnico, furjah) fra due stazioni, velocità che Bîrûnî (e noi) sappiamo dovuta soprattutto alla maggiore o minore distanza della Luna dal suo perigeo (a sua volta mobile!). 

Che poi esistano numerosi versi in cui si parla di stazioni lunari osservate in concomitanza col Sole non ci deve far dimenticare che sarebbe assurdo pensare che un sistema come quello delle stazioni lunari, ovviamente tratto da osservazioni del periodo siderale della Luna, fatte da un popolo nomade come gli antichi Arabi, sia stato sempre usato per osservazioni solari: si impone cioè una stratificazione storica dei due metodi e il primo, cioè quello dell'osservazione combinata di fasi e stazioni, mi sembra più arcaico dell'altro per la misura del tempo.

 

 

Scheda autore

Alessandro Bausani. Nato a Roma nel 1921 è attualmente professore ordinario di Islamistica all'Università di Roma e direttore dell'Istituto di Studi Islamici di quella Università. E' anche socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Da qualche anno si interessa in modo particolare di Storia della Scienza (specialmente Matematica e Astronomia) arabo-islamica, e in particolare dell'opera del grande scienziato del medioevo Al-Bîrûnî (sec. X-XI).

 

 


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