Attorno agli anni '50 la scoperta
delle piste di Nazca in Perù, suscitò il primo reale interesse
degli astronomi per alcuni monumenti archeologici che parevano
legati a misteriose relazioni con gli astri. Da allora molti
scienziati si sono cimentati nel tentativo di spiegare il
significato riposto dagli uomini antichi negli allineamenti dei menhir
bretoni, nelle geometrie dei megaliti inglesi o nella "sky
story" legata alle proporzioni delle piramidi, introducendo
l'astronomia nel mondo fino ad allora a sé stante
dell'archeologia.
Sbarcata di recente anche in
Italia, l'Archeoastronomia, come viene chiamata negli USA la
ricerca interdisciplinare tra archeologia ed astronomia, non
prende in considerazione però alcuni popoli che, pur conoscendo
l'uso dell'alfabeto, hanno lasciato notevoli lacune circa le loro
conoscenze astronomiche. Ancora non sappiamo, ad esempio, come gli
Etruschi effettuassero di fatto le loro osservazioni del ciclo. La
lettura di alcuni testi latini, perlopiù traduzioni di fonti
etrusche fatte da studiosi romani, ci fa capire tra le righe che
tutte le conoscenze astronomiche di questo misterioso popolo
dipendevano dal tempio, solitamente costruito rispettando un
allineamento rigoroso con i punti cardinali.
Così facendo si pensava di
riprodurre sulla terra le coordinate dell'Universo nel tentativo
di dominarlo e comprenderlo, anche se diversi elementi ci fanno
credere che non era questa l'unica finalità cui tendeva
l'orientazione del tempio.
La fondazione di un tempio
comportava in effetti un certo numero di scelte, quasi tutte
legate alla topografia dei luoghi nei quali doveva sorgere. Si
cercava infatti un posto sopraelevato dal quale la vista potesse
spaziare sui quattro punti cardinali, poi l'augure, com'era
chiamato dagli Etruschi il sacerdote, tracciava una croce a terra
mediante due assi orientati da est a ovest e da nord a sud. Questa
croce rappresentava la più antica forma di suddivisione del Templum
Celeste.
La pratica per fissare
l'est-ovest era già conosciuta infatti
dagli Egizi
all'epoca dell'Antico
Regno (2850-2052 a.C.), servendo loro per orientare le mastabah
al nord, verso le circumpolari, come prescrivevano i riti funebri
locali.
Per fare questo occorreva fissare
sommariamente l'est-ovest con il Sole, poi si tracciava la
perpendicolare a questo asse, ricavando gli altri due punti,
secondo un metodo ancora usato dai boy-scouts di tutto il mondo.
Ci sono delle incertezze a proposito della posizione in cui doveva
trovarsi l'augure al momento di questa suddivisione spaziale.
Secondo Varrone e Livio questi
stava con la fronte a sud. Per Frontino invece, un autore romano
che trattò problemi di agrimensura, l'augure stava rivolto ad
ovest.
Comunque sia, al gesto di
suddivisione fu attribuito un potente valore rituale, tant'é vero
che Servio, uno storico del IV-V secolo d.C., affermò che era
proibito compierlo con la sola mano ma che era obbligatorio farlo
con il Lituus, com'era chiamato il bastone dei sacerdoti.
Secondo l'archeologo Kurt Latte,
l'abitudine romana di delimitare esattamente i confini, ricordata
nei testi latini come Conrectio, era ereditata da questa
antica pratica etrusca applicata all'agrimensura.
Non a caso Terminus, dio
tutelare delle pietre di confine, era venerato sul colle
Capitolino sotto forma di una pietra che se ne stava in un tempio
dal soffitto bucato acciocché il dio potesse estendere il suo
potere all'Universo, o ponesse un limite all'ignoto. Nonostante la
profondità di questi concetti, il culto, com'è noto, aveva nella
realtà una sua precisa applicazione profana. E' quindi poco
credibile che gli Etruschi prima, ed i Romani dopo, ponessero una
cura eccessiva nel tracciare quattro assi diretti come i punti
cardinali solo per rispettare un rito.
Il Templum doveva avere
altre funzioni oltre a quelle religiose, ed è proprio la
suddivisione del cielo fatta dagli Etruschi a farcele scoprire. Fu
uno scrittore vissuto al tempo di Cicerone, Nigidio Figulo a
descriverci la complicata cosmogonia etrusca traducendo un loro
testo rituale del V secolo a. C. Secondo questo antico libro oltre
a Giove ed al senato degli dei, il cielo era retto da dodici
divinità che regolavano i segni dello Zodiaco, e da sette divinità
corrispondenti ai pianeti.
Per ultimi venivano gli dei
assegnati alle sedici regioni del ciclo: "Il primo quarto —
scriveva Figulo — comprendeva settentrione ed il sorgere del
Sole equinoziale; il secondo quarto comprendeva mezzogiorno; il
terzo raggiungeva il tramonto equinoziale ed il quarto prendeva
posto nello spazio tra il tramonto e il settentrione".
Pedantemente ognuno di questi settori era a sua volta diviso in
quattro: "sinistri", gli otto situati a levante;
"destri", gli otto situati all'opposto.
Ebbene, nonostante in queste
suddivisioni emergano a tratti i frammenti dell'antica
suddivisione metonica del cielo, gli Etruschi non furono mai
capaci di redigere un calendario scritto!
Almeno alle origini della loro
storia la divisione del tempo fu basata sul sorgere ed il
tramontare della Luna, poi su quello del Sole, utilizzando come
unità di tempo il giorno ed il mese calcolati sull'osservazione
giornaliera.
Anche Macrobio (IV-V secolo a.
C.) ricordava che: "...in tempi antichi, prima che i
calendari, contro il volere del Senato, fossero posti per
iscritto, era il Pontifex Minor che aveva l'incarico di constatare
la prima comparsa della Luna nuova per determinare quanti giorni
mancavano alle Kalendae... alle Idi... alle Nonae..." (Saturnali
I; 15,9 e segg.). Si usava insomma un sistema ideato dall'uomo di
Cro-Magnon il quale, secondo una recente teoria di A. Marshak,
incideva tacche sulle ossa di animali per le notazioni lunari. Gli
Etruschi modificarono questo sistema alla Robinson Crusoe segnando
il passare del tempo, anziché sulle ossa, infiggendo chiodi sulle
pareti dei loro templi, un sistema come un altro per "fermare
un lembo di qualcosa altrimenti fluido ed inafferrabile qual'era
il tempo"!
Il tempio era dunque un punto di
riferimento ben preciso, un caposaldo dal quale si effettuavano
ogni tipo di osservazioni astronomiche.
Il fatto è che se la Luna ed il
Sole non destano troppi problemi di osservazione, per seguire
determinate costellazioni è utile avere un riferimento per
ritrovare ogni notte nel cielo il punto osservato il giorno
innanzi. Sappiamo, ad esempio, che ancora in epoca romana gli
auguri all'apparire della costellazione del Cane Maggiore (la cui
stella più luminosa è Sirio), davano avvio alla Robigalia,
il periodo dell'anno in cui per scongiurare la "Ruggine”,
un fungo parassita del frumento, si uccideva un cane qualsiasi al
posto dell'irraggiungibile costellazione ritenuta causa del male.
Da quale punto del tempio i sacerdoti osservavano queste
ricorrenze? Di quali strumenti si servivano per fare le loro
osservazioni?
Scriveva Ennio (239-169 a.C.) che
il termine Templum, Tempio, era usato in tre modi: “con
riferimento alla natura, alla divinazione e alla similitudine. Cioè
con riferimento alla natura, nel ciclo; alla divinazione, sul
suolo; alla similitudine, nel sottosuolo". Varrone attribuiva
invece al termine un altro significato e cioè quello di Tueri,
che significa guardare, osservare, contemplare. Alcuni
etimologisti moderni affermano poi che Templum fosse una
parola originata da Temenos, recinto sacro, o Temno,
tagliare, ferire, fendere.
Tutti questi termini sembrano
indicare in fondo l'attività poliedrica del sacerdote il quale,
dal tempio, scrutava il cielo e cercava corrispondenze nelle
budella degli animali sacrificati, secondo il principio
"microcosmo e macrocosmo si equivalgono”, che diverrà
famoso all'epoca degli alchimisti.
Ma, in definitiva, qual era la
sua posizione quando, naso per aria, osservava il cielo? Per
quanto ne sappiamo, strutturalmente il tempio etrusco era ben
lontano dall'aver un qualsiasi elemento architettonico che lo
facesse rassomigliare ad un osservatorio. Chi sperasse di scoprire
affinità con i più famosi monumenti catalogati come orologi
lunari o solari, rimarrebbe deluso.
Non troppo grande, costruito
interamente in legno su di un basamento di pietra, il Templum
aveva un tetto a due spioventi, abbellito da antefisse, che
ricoprivano le tre celle che dividevano lo spazio interno. Ma
proprio vicino al tempio più importante c'era di solito una
piattaforma più piccola in pietra, un esempio della quale
possiamo vedere nel tempio D della città etrusca di Marzabotto.
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Il
tempio D dell'acropoli di Marzabotto, VI-IV sec. a.C. |
Era questi un podio privo di
sovrastrutture sul quale poteva prendere posto un altare... od un
sacerdote preposto all'osservazione del ciclo. Nei codici maya
sono spesso raffigurati sacerdoti accovacciati su di un basamento
intenti a scrutare il ciclo aiutandosi con una mira formata da due
bastoncini incrociati. Il simbolo di un occhio e di due bastoncini
incrociati inquadrati nel vano di una porta o di una finestra è
infatti interpretato come posto di osservazione astronomica.
Anche questi podi, troppo grandi
per essere are, troppo piccoli per essere templi, o la stessa area
sacra di fronte al tempio possono aver adempito a questo compito
svolto con una pazienza infinita ed utilizzando strumenti molto
semplici, forse lo stesso Lituus. Il bastone del sacerdote
etrusco è difatti raffigurato in molti vasi associato ad Ermete,
il dio della scienza segreta dell'aruspicina, così come possiamo
vedere in una bellissima anfora attica di stile severo conservata
nel Museo Etrusco-Gregoriano in Vaticano. Anche sul celebre vaso
François è raffigurato un personaggio barbuto che tiene in mano
il bastone sacro.
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Raffigurazioni
vascolari del Lituus. Da sinistra: Ermete,
da un'anfora attica del Museo Etrusco-Gregoriano
in Vaticano; Ermete con caduceo che guida Apollo,
da un vaso attico; personaggio barbuto con in mano
il bastone sacro, dal vaso
François |
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Il Lituus, più tardi
trasformato nella forma idealizzata del Caduceo romano, era
sormontato da un disco e da una mezzaluna, indiscutibili simboli
lunare e solare.
Ritroveremo quest'oggetto persino
sulla prua di una nave scolpita su di una stele punica posteriore
al IV secolo a. C. o nella stele fenicia di Lilibeo conservata nel
Museo Nazionale di Palermo.
Sebbene ci sia stato chi ravvide
in questo strumento una bussola, è molto probabile che in realtà
fosse uno strumento di mira unito ad una tavola pelasgica (Pinace),
strumento a sua volta costituito da un disco orientabile a mano
sul quale erano riportati la rosa dei venti, i punti cardinali e
dati relativi al sorgere ed al tramontare del Sole, della Luna e
di alcuni astri. In fondo Erone, un inventore vissuto si pensa nel
III o nel I secolo a. C., per costruire i suoi strumenti
topografici, s'era rifatto ad antichissimi modelli usati da alcune
popolazioni mediterranee.
Non dovremmo quindi stupirci se
un giorno scoprissimo che gli Etruschi conoscevano strumenti quali
il "Pinace pelasgico" o l'alidada verticale, il
progenitore del moderno teodolite.
L'etrusco era un popolo di
navigatori, di commercianti. I suoi contatti con popoli
mediterranei, possessori di nozioni scientifiche antiche,
svilupparono una casta sacerdotale coltissima al punto d'esser
utilizzata dai Romani fin quasi all'epoca della caduta
dell'Impero. Forse, applicando alcuni principi dell'archeoastronomia
alle silenziose testimonianze templari di quel mondo crepuscolare
potremmo avere delle sorprese che illuminerebbero un po' di più
quella civiltà affascinata dal mistero cosmico. Forse scopriremmo
la chiave di lettura con la quale figure ieratiche di arruffati
sacerdoti guardarono il cielo con strumenti semplici ma vitali
quali il Lituus, tanto importante da essere l'unico oggetto
col quale si poteva tracciare sulla terra i quattro cardini del
cielo.
Approfondimenti
Il
calendario degli Italici. Un
grande studioso dello spirito, del pensiero e
della civiltà dei Romani, Theodor Mommsen,
avvalendosi dell'interpretazione delle opere dei
classici, delle raccolte di leggi, delle epigrafi
e dei monumenti dell'età imperiale riuscì a
tracciare un quadro della vita e delle credenze di
questo popolo mediterraneo fino alle sue origini.
Parlando appunto dell'ambiente e delle credenze
delle civiltà preromane definì anche come il
tempo era suddiviso o conteggiato presso le
popolazioni sabelliche ed etrusche: "...queste
contavano i giorni, i quali non erano computati
dall'ultimo giorno della fase (lunare) ma
incominciavano dal giorno successivo; per
settimane lunari, le quali in sette giorni e tre
ottavi, oscillavano fra la durata di sette ed otto
giorni; e per mesi lunari i quali erano di 29 o di
trenta giorni. Gli Italici pare progredissero, in
tempi pre-ellenici, ad uno stabile ordinamento del
calendario, almeno alla disposizione di una doppia
maggiore unità di tempo.
La
semplificazione del calcolo secondo i mesi lunari
con l'applicazione dei sistemi decimali,
l'indicazione di un anno di dieci mesi per formare
un anello, Annus, usata dai romani, reca in
sé tutte le tracce di una grande antichità.
Più
tardi, ma pure in un tempo che sta certamente al
di là della influenza greca, fu sviluppato il
sistema duodecimale. E poiché esso è derivato
appunto dall'osservazione del corso del Sole, che
era di dodici volte quello della Luna, lo si riferì
subito al calcolo del tempo.
Così
nei nomi dati ai mesi da Italici e Greci non ci si
accordò mai (specie per marzo e maggio). Tutto ciò
che sappiamo del più antico calendario di Roma
(non sappiamo nulla sulla misura sabellica ed
etrusca) si fonda decisamente sul più antico
ordinamento greco dell'anno che seguiva nello
stesso tempo le fasi della Luna e le stagioni del
Sole; ed era edificato sull'ipotesi di una
evoluzione lunare di ventinove giorni e mezzo, di
una evoluzione solare di dodici mesi lunari e
mezzo, ossia di trecentosessantotto giorni e tre
quarti e sulla continua vicenda dei mesi pieni (di
30 giorni) e di vuoti (29 giorni), come pure degli
anni di 12 e 13 mesi, ipotesi tenuta in una certa
armonia con i veri fenomeni celesti mediante
arbitrarie inclusioni ed esclusioni." (Mommsen,
Storia di Roma - Libro I, pag. 258 e segg.) |
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Scheda
autore
Vittorio
Di Cesare. Giornalista
pubblicista, ha collaborato, e collabora tuttora
come divulgatore storico, a diversi giornali e
riviste specializzate nel settore. Corrispondente
del giornale Archeologia, è attualmente direttore
della sezione di Storia Moderna del Museo Civico
Archeologico "A. Crespellani" di Bazzana. |
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Sommario |
Il
cielo nell'astronomia ebraico-cristiana |
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