A Coligny, nella regione
dell'Ain (sud della Francia), antica terra dei Galli Ambarri, nel
novembre del 1897, quindi giusto un secolo fa, furono ritrovati in
un pozzo i frammenti di una tavola di bronzo, le cui incisioni
riproducevano la sequenza dei giorni di un calendario. Assieme
alla tavola fu ritrovata anche una statua di Marte, alta un metro
e settantaquattro centimetri. Attualmente i reperti sono
conservati al Museo della Civiltà Gallo-Romana di Lione-Fourviere.
Vari studiosi si sono
occupati della ricostruzione e della decodifica del calendario di
Coligny, tra questi l'irlandese Mc Neill e il francese Daviet.
Tuttavia, il difficile lavoro di restauro venne completato da A.
Duval e G. Pineault
nel 1960; i due archeologi, ricostruendo i frammenti mancanti
riuscirono a restituire alla tavola la struttura originaria. In
questo modo è stato possibile avere a disposizione la sequenza
completa dei giorni e dei mesi lunari nel corso dei cinque anni
che vi sono rappresentati, ovviamente con qualche margine di
incertezza per quanto riguarda la ricostruzione delle iscrizioni
presenti sui frammenti mancanti.
Il calendario viene fatto
risalire al II secolo d.C., in piena epoca gallo-romana, ma gli
studiosi sono concordi nel ritenere che esso sia stato inciso
prevalentemente per scopi liturgici pagani e quindi possa
riprodurre fedelmente il calendario tradizionale celtico
correntemente in uso alcuni secoli prima. La ricostruzione del
calendario è ancora insoddisfacente dal punto di vista
strettamente epigrafico in quanto la maggior parte delle
iscrizioni in lingua gallica e caratteri latini non sono ancora
state tradotte e comprese in maniera soddisfacente. Lo stesso vale
per quanto riguarda la comprensione dei meccanismi e delle regole
adottate nella progettazione, nel funzionamento e nell'uso che ne
veniva fatto dai druidi gallici. Il calendario di Coligny contiene
la rappresentazione di una sequenza di cinque anni lunari
completi, ciascuno composto da 12 mesi alternativamente lunghi 29
o 30 giorni, più 2 mesi supplementari, probabilmente intercalari
introdotti per accordarlo con l’anno solare. La sequenza dei
mesi rappresentati è la seguente: Samonios (30), Dumannios (29),
Rivros (30), Anagantios (29), Ogronios (30), Cutios (30),
Giamonios (29), Simivisonios (30), Equos (30), Elenbiuos (29),
Edrinios (30), Cantlos (29). Il numero tra parentesi si riferisce
al numero di giorni che compongono il mese. Ciascuno dei 12 mesi
elencati iniziava la notte in corrispondenza della quale la Luna
assumeva la fase di Primo Quarto. Essi erano divisi in due parti
di 15 più 15, oppure 15 più 14 giorni ciascuno in modo tale che
l’inizio della seconda quindicina coincidesse con la Luna
all’Ultimo Quarto. I mesi di 30 giorni sono classificati come Mat
cioè fortunati, mentre quelli con 29 giorni sono Anmat,
oppure Ambilis, che significa “infausto”. Fa eccezione
il mese di Equos, etichettato come infausto benché duri 30
giorni. La prima quindicina, che comprendeva la Luna al
Plenilunio, era ritenuta un periodo di luce, al contrario della
seconda, centrata sul Novilunio. Le due quindicine sono separate
dalla parola gallica Atenoux ("ritorno alla Luna nuova","ritorno
al buio", "rinnovamento").
La struttura del
calendario solleva alcuni interrogativi. I Celti divisero
l'anno lunare in 7 mesi da 30 giorni più 5 da 29, per un totale
di 355 giorni Perché
non adottarono la soluzione bilanciata di 6 mesi da 29 e 6 da 30
che avrebbe permesso loro di ottenere una migliore approssimazione
del mese sinodico lunare?
Perché i druidi decisero di codificare un ciclo lungo 5 anni? Da
cosa derivò la necessità di
introdurre due ulteriori mesi di 30 giorni ciascuno, inseriti uno
ogni 30 mesi sinodici lunari? Per
quale motivo i druidi utilizzavano, come vedremo, anche un
superciclo di trent'anni? L'accuratezza
raggiunta da questo calendario era adeguata per gli scopi
agricoli, sociali e rituali tipici
della società gallica del tempo? La decisione di utilizzare
quella sequenza di mesi dovette probabilmente rientrare in una
logica ben precisa, dettata dal valore della lunghezza del mese
sinodico noto ai druidi. Tale mese conta in media 29,53 giorni
solari medi (e quindi l'anno è di 354,377 giorni). Volendo
riprodurre questo valore si dovranno combinare in modo opportuno
mesi da 29 e da 30 giorni in modo da minimizzare l'inevitabile
scarto. Se si studiano le varie combinazioni, si vede che una
buona approssimazione si ottiene combinando 6 mesi da 30 giorni
con 6 mesi da 29, che realizzano un mese lunare sinodico medio
pari a 29,5 giorni e un anno lunare di 354 giorni.
Stranamente, la scelta
che i Celti adottarono sul Calendario di Coligny portava invece a
un anno lunare più lungo di un giorno e a un mese sinodico medio
di 29,58 giorni. E' possibile che dalle loro osservazioni i druidi
si fossero accorti che la lunghezza del mese sinodico lunare
sembrava fluttuare nel tempo intorno a un valore medio: questo
fatto può essere rilevato direttamente dal Calendario di Coligny
esaminando la distribuzione delle notazioni in gallico che
generalmente accompagnano i giorni centrali (VII, VIII e VIIII)
delle due quindicine di ogni mese, nei quali la Luna si trovava
alle sizigie (fasi di Novilunio e Plenilunio).
In effetti, la lunghezza
effettiva della lunazione varia di oltre 13 ore su circa 9 anni
soprattutto per effetto della variazione periodica
dell'eccentricità dell'orbita della Luna. Ora, analizzando
l'andamento della lunghezza della lunazione misurata tra due Primi
Quarti successivi lungo un arco temporale di un migliaio di anni
si ricava una distribuzione bimodale con due picchi, il primo a
29,33 giorni e il secondo a 29,73 giorni, mentre il valore medio
di 29,53 giorni appare essere il meno frequente. Se invece si
misura il mese dal Plenilunio al successivo, oppure dal Novilunio
al successivo, allora rileviamo nuovamente una distribuzione
bimodale, ma questa volta i picchi cadono a 29,44 e 29,63.
Cumulando le distribuzioni si ottiene di nuovo una distribuzione
bimodale i cui picchi ora sono a 29,42 e 29,60 giorni. Dunque il
mese sinodico lunare determinato per via osservativa porta ad
assumere uno di questi due valori con una frequenza quasi doppia
rispetto al valore medio vero di 29,53 giorni. Le combinazioni di
mesi utili a realizzare valori vicini a quelli dei picchi sono
7X29+5X30 (media 29,42) e 7x30+5x29 (media 29,58). Quest'ultima è
proprio quella adottata nel Calendario di Coligny.
Dobbiamo ora chiederci
perché la tavola di Coligny riporta due mesi addizionali da 30
giorni ciascuno, inseriti ogni 2 anni lunari e mezzo. Con molta
probabilità, i druidi furono costretti ad introdurre sulla tavola
bronzea questi due mesi per raggiungere dal punto di vista pratico
un accordo ragionevole tra la marcia del Sole e quella della
Luna.
Un calendario puramente
rituale, e quindi svincolato da applicazioni pratiche, poteva
essere esclusivamente lunare; non così un dispositivo utile in
qualche modo anche alla pianificazione agricola, che va soggetta
ai cicli stagionali. Il punto di contatto tra i cicli del Sole e
della Luna nel Calendario di Coligny potrebbe essere rappresentato
dalle date delle quattro feste principali che i Celti celebravano
nel corso dell'anno, legate ai cicli stagionali e di rilevanza dal
punto di vista agricolo. Le quattro feste erano Trinvx(tion)
Samoni, Imbolc, Beltane, Lughnasad ed erano poste a distanza di
circa quattro mesi l'una dall'altra, pressappoco a metà strada
tra i solstizi e gli equinozi. Il Sole rivestiva un ruolo
importante nel calcolo di queste date per il fatto che venivano
stabilite dai druidi sulla base delle levate eliache di Antares,
Aldebaran, Sirio e Capella.
Il vincolo lunare era
obbligatorio solamente nel caso della festa più importante,
quella di Trinvx(tion) Samoni, che si celebrava in autunno e che
segnava anche l'inizio dell'anno celtico. Sul Calendario di
Coligny questa è l'unica festa espressamente indicata nelle
annotazioni per tutti e cinque gli anni rappresentati. La scritta
corrispondente "Trinvx(tion) Samoni Sindiv(os)" è
traducibile dalla lingua gallica antica come "le tre notti di
Samonios cominciano adesso" e compare in corrispondenza del
secondo giorno della seconda quindicina del mese di Samonios,
quindi due giorni dopo l'Ultimo Quarto di Luna.
Cinque anni di 355 giorni
più due additivi di 60 giorni, portano a un totale di 1835 giorni
sull’arco di cinque anni. Ciò significa che l’anno solare
tropico codificato nel Calendario di Coligny è di 367 giorni: lo
scarto rispetto al valore vero (365,2422 giorni) è troppo elevato
per essere considerato come il valore correntemente noto ai Celti,
anche perché un valore prossimo a 365,25 giorni era già noto da
tempo presso quasi tutte le culture del Mediterraneo con cui i
Celti ebbero contatti fin dall'antichità. La spiegazione di
questo valore anomalo è probabilmente da ricercarsi nel fatto che
la formulazione ottimale del calendario richiederebbe l'inserzione
di due mesi intercalari più corti (di 25-26 giorni) per ottenere
un accordo globalmente soddisfacente tra il Sole e la Luna, ma il
fatto che i mesi dovessero per forza iniziare con la Luna alla
fase di Primo Quarto obbligò i druidi a inserire mesi intercalari
lunghi quanto una lunazione completa. Ma se questa è la
spiegazione, non sarebbe stato più conveniente intercalare due
mesi di soli 29 giorni ciascuno, oppure uno da 29 e uno da 30
giorni?
L'ipotesi di un errore
nella progettazione del calendario è difficile da accettare,
perché Coligny è il frutto di osservazioni del moto del Sole e
della Luna e di analisi delle loro periodicità condotte per
secoli da popolazioni rinomate per la notevole conoscenza dei
fenomeni naturali. Un'eco di questa fama la possiamo ritrovare
nella Refutatio Omnium Haeresium di Ippolito: "I
druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia
pitagorica... E i Celti ripongono fiducia nei loro druidi come
veggenti e come profeti poiché costoro possono predire certi
avvenimenti grazie al calcolo e all'aritmetica dei
Pitagorici". Sappiamo per certo che i Celti conoscevano molto
bene l'astronomia, come è testimoniato da Giulio Cesare nei Commentarii
De Bello Gallico; non si dimentichi che Cesare era ritenuto
un'autorità in fatto di astronomia; quindi, deve essere
considerato una fonte attendibile. Altre informazioni riguardo
alla tendenza dei Celti a impostare la vita religiosa e sociale in
accordo con il cielo, le troviamo nel capitolo XVI della Naturalis
Historia di Plinio il Vecchio relativamente alla cerimonia,
molto importante per i druidi, della raccolta del vischio. Plinio
infatti scrive: "E' poi questo (il vischio) molto raro a
trovarsi e una volta trovato è colto con grande pompa religiosa e
innanzi tutto al sesto giorno della Luna, che segna per questi gli
inizi dei mesi, degli anni e dei secoli, che durano trent'anni,
giorno scelto perché la Luna ha già tutte le sue forze senza
essere a metà del suo corso". Il sesto giorno della Luna è
inequivocabilmente la fase di Primo Quarto in corrispondenza della
quale cade l'inizio dei mesi e degli anni del calendario e anche
di un ciclo più lungo, trentennale, che veniva chiamato "Saeculum".
Queste notizie
provenienti da Plinto il Vecchio risultano in perfetto accordo con
la struttura del calendario di Coligny, la quale, per essere
compresa, dev'essere collocata nel solco di un'evoluzione che portò
i druidi a ideare un calendario così particolare. Intorno al VI-V
secolo a.C. i Celti erano già pervenuti all'idea di suddividere
il conteggio del tempo in periodi fondamentali basati sulla
ciclicità dei fenomeni astronomici. La prima realizzazione di un
calendario, che definiremo "arcaico", utilizzò
esclusivamente la Luna come riferimento: l'anno era costituito da
355 giorni ripartiti in 12 mesi, a loro volta suddivisi in due
quindicine, che iniziavano ritualmente con la fase di Primo
Quarto. La lunghezza dei mesi era probabilmente già fissata
alternativamente a 29 e a 30 giorni. Un calendario così
strutturato sollevava però parecchi problemi pratici,
principalmente il fatto che, con il passare degli anni,
i vari mesi cadevano in stagioni climatiche sempre diverse,
visto che l'anno lunare è più corto di quello solare di quasi 11
giorni. Così, ogni 2 anni lunari e mezzo si perdeva circa un mese
e solo dopo circa trent'anni si ritornava alle condizioni
iniziali, cioè all'accordo dei mesi con la stagione climatica. Da
qui probabilmente l'origine del ciclo trentennale (il "Saeculum")
e del posizionamento del mese intercalare ogni 2,5 anni lunari,
come troviamo sulla tavola di Coligny.
Una ripartizione rigida
come questa, tuttavia, non poteva essere considerata né ottimale
né definitiva. In capo a un "Saeculum" di 30 anni si
ottiene infatti un disaccordo tra il tempo misurato dal calendario
e quello realmente trascorso equivalente a circa due mesi. E'
questo dato che suggerisce agli studiosi la possibilità di
un'altra interpretazione: che cioè il calendario sia stato messo
a punto secondo una logica molto più complessa, dimostrata forse
anche dalla particolare struttura dei due mesi intercalari, i cui
giorni sono affiancati ciascuno da una scritta corrispondente al
nome dei 12 mesi dell'anno celtico, ripetuti nell'esatta
successione. Sorge quindi il sospetto che questi giorni aggiuntivi
avessero anche un altro ruolo: facessero parte, in qualche modo
che ci sfugge, di un algoritmo capace di generare il computo
solare partendo dal ciclo lunare. Accanto ai singoli giorni dei
mesi intercalari, c'erano forellini adatti ad ospitare piccoli
pioli: forse era stato escogitato un metodo per tener conto
esattamente, giorno per giorno e mese per mese, della posizione
del Sole e della Luna in cielo durante un intero anno e magari per
un intero "Saeculum". Se questo è vero, i due mesi
aggiuntivi non avevano solo la mera funzione di mesi intercalari
(come si è già detto, per quest'unico scopo, 29 giorni sarebbero
stati decisamente meglio di 30), ma anche quella di rappresentare
una sorta di tabella di calcolo, per la quale al momento ci
sfuggono la logica e la struttura. E forse non è un caso che, al
contrario degli altri 12 mesi, questi due non abbiano un nome
proprio. Essi potrebbero avere avuto il ruolo di una specie di
memoria in cui era immagazzinata la differenza progressiva tra il
calendario delle stagioni e quello lunare, la quale poteva essere
letta ogni qual volta era necessario eseguire calcoli astronomici
relativi alla posizione dei due astri nel cielo. I druidi potevano
prevedere le fasi lunari utilizzando la base del calendario senza
intercalari, ma nello stesso tempo avevano nelle mani uno
strumento che poteva tornare utile nella programmazione delle
attività agricole quotidiane, nella previsione delle levate
eliache e quindi nel computo delle date delle feste.
Oltre che ad un
calendario, la tavola di Coligny è assimilabile anche a un vero e
proprio almanacco astronomico, perché in essa pare che siano
codificate talune efficaci regole di predizione delle eclissi,
soprattutto quelle lunari. Osservando le annotazioni in lingua
gallica e i caratteri latini incisi sui frammenti di bronzo, si
rileva che talune si ripetono in corrispondenza di determinate
terne o quaterne di giorni consecutivi, la cui distribuzione è
intervallata attraverso i mesi e gli anni con notevole regolarità.
Ogni singola annotazione si riferisce generalmente al nome di un
mese dell'anno e molto spesso lo stesso mese viene usato in due terne
successive, declinato, in lingua gallica, in casi diversi.
Usualmente, salvo rare eccezioni, i giorni interessati dalle terne
sono il VII, l'VIII e il VIIII di ciascuna quindicina di ogni mese
(in coincidenza con la Luna Piena o Nuova); quindi, le terne
identificano prevalentemente le fasi lunari sizigiali, ma talvolta
è marcato anche l'Ultimo Quarto. E'
da sottolineare che quando la Luna si trova alle sizigie,
se anche il Sole è sufficientemente prossimo a uno dei nodi
dell'orbita lunare, si possono verificare le eclissi e i giorni
possibili per tali eventi sono proprio quelli marcati sul
Calendario di Coligny con le terne.
La Luna per i Celti
rappresentava l'astro fondamentale per il computo del tempo. La
sua osservazione era molto sviluppata, come è dimostrato dalla
presenza di allineamenti diretti verso i punti di levata e di
tramonto della Luna ai lunistizi in vari santuari dell'età del
ferro. Polibio narra che i druidi dei Galati fecero interrompere
una guerra a causa del verificarsi di un'eclisse totale di Luna.
Strabone (De Situ Orbis, III, 4, 16) riporta che i
Celtiberi celebravano, durante il Plenilunio, la festa di una
divinità che non si poteva nominare. Inoltre, il Novilunio veniva
considerato il periodo più indicato per assumere importanti
decisioni. Presso i Cimri (popolazione celtica del Galles)
esisteva il culto di Arianrhod divinità femminile lunare il cui
nome significativamente sta per "Ruota d'argento".
I
druidi avevano certamente appreso in modo empirico che quando la
Luna raggiunge la sua estrema latitudine eclittica (positiva o
negativa) durante il suo ciclo mensile, mostrando
contemporaneamente la fase di Primo oppure di Ultimo Quarto,
allora sette giorni dopo era possibile il verificarsi di
un'eclisse. Questo avviene perché, un quarto di orbita dopo, il
nostro satellite transita per uno dei nodi sull'eclittica alla
fase Piena, oppure al Novilunio, dalla parte opposta o dalla
stessa parte del Sole. Se dunque il giorno in cui la Luna era
stata osservata alla sua massima altezza sull'eclittica (evento
facile da rilevare perché ad essa corrisponde la massima
elongazione nord o sud dei punti di levata e tramonto) cadeva al
primo o al quindicesimo giorno di un mese, allora sette giorni
dopo i druidi erano in grado di prevedere con un buon margine di
sicurezza il verificarsi di un'eclisse di Luna o di Sole.
L'eclisse di Luna era pressoché sicura, ma quella di Sole poteva
non essere visibile nella località in cui i druidi si trovavano.
Questo metodo, basato
sull'osservazione della posizione della Luna funziona, ma è
caratterizzato da un alto tasso di errore e dal fatto che esso
permette solamente la previsione a scadenza breve. Meglio quindi
cercare qualche utile metodo ricorsivo capace di sfruttare al
meglio la struttura del calendario gallico, quale lo conosciamo.
L'intervallo di tempo che la Luna impiega a passare dalla massima
latitudine eclittica alla minima è detto "semiperiodo
latitudinale". Le eclissi potranno avvenire solamente ogni
qualvolta sia trascorso un numero intero di semiperiodi
latitudinali da un'eclisse precedente, ma siccome è richiesto
anche il vincolo che la Luna si trovi alle sizigie, allora tutti
gli intervalli di tempo che corrispondono a un numero intero di
periodi semilatitudinali e contemporaneamente a un numero intero
di rivoluzioni sinodiche rappresentano utili ricorsività per la
previsione.
I druidi avevano certamente osservato che le eclissi
di Luna si ripetevano mediamente circa ogni 6 lunazioni
(6X29,53=177,2 giorni) e ogni 13 semiperiodi latitudinali
(13X27,21/2=176,9 giorni); quindi bastava semplicemente attendere
che durante i giorni VII, VIII o VIIII della prima quindicina di
un mese avvenisse un'eclisse di Luna per applicare la regola e
prevedere la successiva per gli stessi giorni VII, VIII o VIIII
del sesto mese successivo, e così di seguito. Da qui
probabilmente il significato delle scritte che troviamo sulla
tavola di Coligny sempre in corrispondenza di quelle stesse date
del calendario lunare.
Occasionalmente, ogni 30 mesi,
l'introduzione del mese intercalare faceva retrogradare di un mese
la data prevista. Infatti, le annotazioni riportate accanto ai
giorni delle "terne", mostrano la triplice ripetizione
del nome gallico del mese successivo, ma declinato generalmente al
genitivo. Questi motti starebbero a ricordare che, qualora fosse
avvenuta l'inserzione del mese intercalare, quell'eclisse era
stata nominalmente prevista per il mese successivo.
Ovviamente, la
differenza di 0,3 giorni tra le 6 lunazioni medie e i 13
semiperiodi latitudinali comporterà che ogni tanto l'eclisse
prevista mancherà all'appuntamento, producendosi invece nei
giorni VII, VIII o VIIII della prima quindicina del mese celtico
precedente. Oggi possiamo calcolare che questo fenomeno si
verificherà con periodicità pari a 41, 47 e 53 mesi del
calendario celtico, periodicità che forse potevano essere state
riscontrate empiricamente dai druidi. Un altro fenomeno
particolare è quello della ripetizione di due eclissi di Luna in
due lunazioni successive, fatto che avviene con periodicità pari
a 53, 82 e 135 mesi del calendario celtico. In conclusione, i
druidi avrebbero potuto benissimo prevedere le eclissi di Luna, in
modo relativamente agevole e con un margine d'errore limitato,
utilizzando come unici strumenti il calendario celtico e qualche
semplice regola di calcolo mnemonico. Per inciso, considerando le
principali ricorsività tipiche delle eclissi, ricordiamo che
esistono quattro cicli fondamentali. Il cosiddetto "Inex",
che corrisponde a 358 lunazioni e che è la somma di altri due
cicli fondamentali: il "Tritos", che comprende 135
lunazioni, e il più noto "Saros", che ne conta 223.
L'"Exeligmos" vale invece 3 cicli di Saros, cioè 669
mesi sinodici lunari. Il ciclo di 6 lunazioni nel gergo degli
studiosi di eclissi va sotto il nome di "Semester".
Ebbene, il "Saeculum" celtico menzionato da Plinio vale
praticamente un Inex: la struttura del calendario celtico potrebbe
dunque risultare calibrata su uno dei cicli fondamentali delle
eclissi.
Alla luce di quanto
detto, la tavola di bronzo di Coligny impone una sostanziale
rivalutazione di quelle che furono le conoscenze astronomiche e
matematiche dei Celti: è questa una convinzione ormai diffusa tra
gli storici, unanimemente emersa dai recenti convegni organizzati
in occasione del centenario della scoperta. Certamente, un
calendario così strutturato doveva essere per forza di cose
gestito esclusivamente dalla classe druidica e probabilmente i
suoi membri ne fecero pure uno strumento di potere. L'algoritmo
che sta alla base del suo utilizzo è mnemonico: quindi non vi era
necessità di scrittura, e ciò è in linea con le usanze dei
druidi che per tradizione tramandavano le proprie conoscenze
esclusivamente per via orale. Il fatto che nel secondo secolo dopo
Cristo si sentì il bisogno di affidare il calendario a una tavola
di bronzo, quindi di fissarlo in forma scritta e grafica, potrebbe
essere il segno che dopo l'invasione romana la classe druidica si
trovò improvvisamente con pochi allievi e seguaci: la maggioranza
dei giovani aristocratici della Gallia preferiva studiare il
latino e il greco presso i Romani, disdegnando la scienza dei
padri custodita gelosamente dai druidi. Questi si trovarono quindi
nella necessità di tramandare per iscritto il meccanismo della
gestione calendariale, le cui regole di calcolo mnemonico forse
apparivano troppo complicate per essere agevolmente ricordate e
applicate dal clero rurale del tempo.
Sicuramente il calendario
giuliano, trascurando del tutto la Luna, non risultava gradito a
una cultura come quella celtica, per la quale il nostro satellite
rivestiva un alto significato rituale. Per di più, il calendario
giuliano si diffuse in Gallia solamente dopo il V-VI secolo dopo
Cristo: dunque, il calendario tradizionale celtico venne
utilizzato ancora per almeno altri due o tre secoli dopo la sua
redazione in forma scritta. Altri documenti potrebbero affiorare
nei prossimi decenni, né è da escludere che in alcuni tra quelli
che ci sono pervenuti si possano celare ulteriori informazioni
sulle conoscenze e sull'abilità di calcolo di questi primi
scienziati. L'importante, studiandoli, è che ci converrà
utilizzare una nuova chiave di lettura rispetto al passato anche
recente, imparando a non sottovalutare le loro conoscenze
astronomiche e matematiche.
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Confronto
tra
i 5 mesi di Samonios che mostrano una struttura simile, ma non
identica. Nella trascrizione sono stati usati i caratteri
minuscoli per indicare le parti mancanti. Tra le caratteristiche
comuni troviamo l'annotazione relativa alla festa di Trinvxtion
Samoni, posta al secondo giorno della seconda quindicina del mese.
Nonostante questo, le annotazioni che si riferiscono ad essa
variano di anno in anno forse allo scopo di rendere difficoltosa
agli stranieri l'interpretazione del testo. |
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Particolare
di un frammento che riporta in maniera completa il mese di
Samonios del secondo anno. Essendo un mese lungo 30 giorni
entrambe le sezioni comprendono 15 giorni ciascuna. Il giorno I
corrisponde alla Luna nella fase di Primo Quarto, mentre il giorno
VIII corrisponde al Plenilunio. La seconda quindicina è divisa
dalla prima dalla parola gallica ATENOVX (ritomo al buio,
rinnovamento) e il primo giorno di essa corrisponde alla Luna
nella fase di Ultimo Quarto. Il giorno VIII della seconda
quindicina corrisponde al Novilunio. Il giorno II dopo ATENOVX
corrisponde alla celebrazione della festa di Trinuxtion Samoni e
il termine gallico abbreviato TRINVXSAMO corrisponde alla frase in
lingua gallica "Trinvxtion Samoni Sindivos" che si
traduce: "le tre notti di Samonios cominciano adesso".
Questa annotazione si riferisce alla festa più importante nel
corso dell'anno celtico la quale sanciva l'inizio della stagione
invernale e anche dell'anno. I giorni, indicati con numeri romani,
sono accompagnati in qualche caso dalla lettera latina M,
abbreviazione di MATV (fortunato) e anche lo stesso mese nel suo
complesso, essendo di 30 giorni e non di 29, è ritenuto tale.
Infatti in testa leggiamo M SAMON MAT (mese Samonios fortunato).
L'abbreviazione AMB corrisponde al gallico "ambilis"
(infausto) e accompagna taluni giorni ritenuti tali. Da notare le
ripetizioni delle annotazioni in corrispondenza dei giorni VII,
VIII e VIIII delle due quindicine, tali iscrizioni erano connesse
con i meccanismi di previsione delle eclissi.
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Mese
Intercalare 1 |
Mese
Intercalare 2 |
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I due mesi intercalari presenti in
un lustro mostrano una struttura molto complessa. La grande
quantità di annotazioni richiamanti la sequenza dei mesi entro tutto
l'anno celtico e l'ordine in cui sono disposte è stata interpretata come
il fatto che i mesi intercalari fossero tabelle di calcolo
atte ad accordare il computo lunare con quello solare. La scritta iniziale
MID XIII MATV CCCLXXXV LAT in testa al primo mese intercalare
va interpretata come: "mese tredicesimo fortunato (che porta
l'anno ad essere) 385 lungo". La disposizione dei giorni e delle
annotazioni nel secondo mese intercalare ricalcano lo schema del
primo. Da rilevare che in testa compare il termine gallico
CIALLOS che taluni studiosi interpretano come il nome proprio del
mese. E' interessante, sulla seconda riga dell'intestazione, il termine
SONNOCINGOS che significa "il cammino del Sole". Anche in questo caso viene indicato che è
un tredicesimo mese fortunato (M M XIII) e che allunga l'anno a
385 giorni. Questo mese andava inserito all'inizio del terzo anno di
calendario e permetteva di riagganciare l'accordo tra il Sole e la
Luna in maniera sufficiente per gli usi quotidiani. |
Scheda
autori
Adriano
Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio
Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente
svolge l'attività di system manager presso il
locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del
GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da
molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo
inaugurato l'applicazione di tecniche di
ricognizione e analisi computerizzata di siti
preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali
Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare
riferimento ai reperti risalenti alla cultura
celtica.
Silvia
Cernuti. Laureata in Fisica, collabora con l'Istituto di Storia della
Fisica (Milano) per il quale sta attualmente sviluppando applicazioni
ipertestuali nel campo dell'archeoastronomia. Collabora con l'Ecole des Haute
Etudes Celtiques di Parigi per quanto riguarda l'analisi computerizzata di
siti e reperti di importanza archeoastronomica risalenti alle età del bronzo
e del ferro. Ha lavorato recentemente al difficile problema dalla
interpretazione del calendario celtico. |
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Sommario |
Chi scoprì Mira Ceti? |
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