Chi scoprì Mira Ceti?

di Silvia Cernuti e Adriano Gaspani 

l'Astronomia n. 168 (agosto-settembre 1996) pp. 30-37

 

Durante i mesi invernali è ben visibile in cielo la costellazione della Balena, Cetus nella denominazione latina. Sulla linea che congiunge le stelle gamma e zeta Ceti si trova una stella rossa variabile a lungo periodo, la omicron, il cui nome è Mira, cioè la "Meravigliosa". 

Mira è una stella pulsante, prototipo della classe di stelle variabili che da essa prende il nome. Essa varia, secondo i cataloghi, dalla seconda magnitudine visuale alla decima con un periodo di poco meno di 332 giorni. Questa stella è, secondo la tradizione, la prima variabile a essere stata scoperta se non si considerano tali le varie novae e supernovae che furono osservate in varie parti del mondo sin dalla remota antichità. I documenti storici attribuiscono la scoperta della sua variabilità al reverendo olandese Davide Fabricius, astrofilo e discepolo di Tycho Brahe, nato nel 1564 e morto nel 1617, assassinato da un suo parrocchiano.

Il 13 agosto 1596, cioè giusto 400 anni fa, Fabricius notò che questa stella splendeva con una magnitudine visuale vicina alla terza e che la sua luminosità era comparabile con quella di alfa Arietis: eppure non risultava registrata su nessuna carta stellare a lui nota. Egli si accorse, osservandola nei mesi successivi, che la sua luminosità andava diminuendo nel tempo finché scomparve alla vista circa un mese e mezzo dopo. Fabricius spiegò il fenomeno pensando che omicron Ceti fosse una stella nova, analoga, ma meno luminosa, a quella apparsa nel 1592 in Cassiopea. Egli rivide questa stella solamente tredici anni dopo, e cioè nel 1609. Nel frattempo essa aveva ricevuto da Bayer, nel 1603, la denominazione di omicron Ceti. Bayer la classificò di quarta magnitudine e la incluse, come una stella senza alcuna speciale particolarità, nella sua Uranometria. Evidentemente egli la osservò durante una fase di luminosità intermedia tra il massimo e la magnitudine limite ad occhio nudo, senza riconoscere il fatto che omicron Ceti fosse variabile.

Fabricius fu ucciso prima che potesse accorgersi che la variazione di luminosità era periodica. Mira diventò di nuovo luminosa e ben visibile ad occhio nudo durante l'inverno 1638-1639 e fu osservata da un altro olandese, Phoclydes Holwarda, il quale, conoscendo le osservazioni di Fabricius, sospettò che la visibilità di questa stella avesse un carattere ricorrente.

Nel 1667 Ismael Bolliau (1605-1694) annunciò che Mira diventava visibile ad occhio nudo ogni 333 giorni circa. L'errore compiuto rispetto al periodo di pulsazione oggi accettato è solamente di un giorno e si deve tener conto del fatto che il periodo di Mira va  soggetto a piccole, ma consistenti, fluttuazioni tra un ciclo e il successivo.

Il risultato ottenuto da Bolliau era di tutto rispetto considerando le metodologie di osservazione e di analisi dei dati in uso nel XVII secolo. Il periodo di 331,96 giorni corrisponde grosso modo a undici mesi e quindi i massimi realmente osservabili si susseguono in gruppi di tre o quattro consecutivi, intervallati da anni in cui capita che la massima luminosità venga raggiunta quando la stella è prossima alla congiunzione con il Sole; in questa circostanza essa, evidentemente, non è osservabile. Questo fatto rese problematico il calcolo del periodo della variazione luminosa. 

Il nome di "Mira" le fu attribuito definitivamente da Johannes Hevelius, il quale portò avanti regolari osservazioni di omicron Ceti a partire dal 1648 e che nel 1662 pubblicò un fascicolo dal titolo Historiola Mirae Stellae ("Breve Storia della Stella Meravigliosa"), con riferimento alla iniziale denominazione datale da Fabricius. Hevelius la inserì anche nel suo Prodromus definendola "Nova in Collo Ceti", da cui derivò anche il nome alternativo di "Collum Ceti" con cui Mira fu anche conosciuta. J. Flamsteed osservò Mira il 18 ottobre 1691 e di nuovo il 28 settembre 1692, includendola nel suo catalogo come 68 Ceti e indicandola di sesta grandezza. Flamsteed conosceva anche un'altra stella simile, chi Cygni, e scrisse della similarità di comportamento tra i due astri. 

Il meccanismo fisico di pulsazione di questa stella è tale per cui la variazione di luminosità riflette la contemporanea presenza di almeno due distinte periodicità: questo è il motivo per cui sia la massima luminosità che quella minima oscillano periodicamente intorno ad un valore medio. La magnitudine al massimo varia dalla 2,4 alla 4,9 visuale, mentre i valori minimi variano dalla 8,4 alla 9,7. 

Fabricius fu particolarmente fortunato in quanto, a causa della combinazione delle periodicità, il massimo del 1596 fu uno dei più alti: la magnitudine raggiunta fu intorno alla seconda e in questo modo si spiega perché la ritenne più luminosa di alfa Arietis, la quale ha magnitudine visuale apparente 2,0. Addirittura, Herschel, sulla base delle osservazioni compiute il 6 novembre 1779, scrisse che Mira appariva luminosa quanto Aldebaran. Probabilmente Herschel sovrastimò la luminosità di omicron Ceti, oppure quello del 1779 fu un massimo eccezionalmente luminoso. Nel 1783 egli indicò che Mira aveva un colore rosso, molto simile a mu Cephei che, come è noto, è la stella più rossa visibile ad occhio nudo su tutta la sfera celeste. 

Dall'epoca di Bolliau, in molti cercarono di spiegare la curva di luce di questa stella mediante i più disparati e fantasiosi modelli fisici. Ricordiamo che Bolliau stesso pensava che Mira fosse una stella rotante poco luminosa, ma con una grossa macchia brillante in fotosfera, una specie di super-facola solare. Pierre de Maupertuis (1698-1759) propose che Mira fosse un oggetto rotante di forma allungata osservato periodicamente secondo differenti orientazioni. Edward Piggott (1753-1825) propose un modello binario composto da una stella periodicamente eclissata da un compagno oscuro e Rudolf Wolf (1816-1893) tentò di attribuire a Mira una fenomenologia ciclica simile a quella delle macchie solari. Fu necessario attendere, nel nostro secolo, lo sviluppo della teoria della pulsazione stellare sviluppata da Sir Arthur Eddington per avere la corretta spiegazione della curva di luce i omicron Ceti.

A questo punto è utile prendere in esame il suo andamento più in dettaglio. La stella rimane al massimo della luminosità per circa due settimane. La fase di salita dalla magnitudine limite ad occhio nudo a quella massima dura circa sette settimane, mentre la discesa richiede di solito circa tre mesi. Più precisamente, Mira resta visibile ad occhio nudo per circa 147 giorni, mentre per altri 185 rimane invisibile, se assumiamo che la magnitudine visuale limite ad occhio nudo, cioè la luminosità della stella più debole che è possibile vedere durante una notte limpida, sia intorno alla 6,5. Sia chiaro che nei giorni in cui Mira raggiunge una magnitudine visuale intorno alla 6,0 un osservatore visuale è in grado di vederla ad occhio nudo solo se la cerca di proposito, e non senza difficoltà. 

Ora possiamo porci un'interessante domanda, per nulla banale: qual è la probabilità che un individuo che osservi visualmente il cielo possa notare al primo colpo d'occhio una stella di una determinata magnitudine visuale? La risposta è complessa in quanto dipende da un'infinità di fattori soggettivi che mettono in difficoltà le tecniche di statistica classica. 

Eppure il problema risulta importante nell'ambito di studi sulla storia dell'astronomia. Si pensi, ad esempio, al ritmo con cui nell'antichità, in Oriente, venivano scoperte novae e comete e l'importanza di confrontare questo tasso di scoperta con la probabilità di vedere questi oggetti mediante l'osservazione visuale. Ebbene, è possibile affrontare la questione impiegando particolari tecniche matematiche le quali, pur essendo molto complesse, conducono in questo caso a risultati semplici. Infatti, è possibile mettere a punto una regoletta capace di fornire una buona stima della probabilità da parte di un osservatore ad occhio nudo di accorgersi della presenza di una stella "in più" nel cielo, in funzione della sua magnitudine visuale. Supponendo che la magnitudine visuale limite ad occhio nudo sia di 6,5 e che una stella di magnitudine visuale zero o negativa abbia la probabilità del 100% di essere vista al primo colpo d'occhio, allora la probabilità per una stella di prima grandezza di essere immediatamente notata è del 40%, per una di seconda magnitudine e del 16%, per una di terza grandezza del 6% e così via. Questo potrebbe forse spiegare perché anticamente venivano osservate praticamente quasi solo le stelle più brillanti della terza magnitudine. 

Mira rimane più luminosa della terza magnitudine solamente per due o tre settimane, su un periodo di 47 settimane e mezza, considerando anche i periodi di invisibilità a causa della congiunzione eliaca: quindi, nella migliore delle ipotesi, essa aveva solamente il 6% circa di probabilità (3 su 47) di essere prima o poi scoperta da qualcuno. Ma questo qualcuno fu proprio Davide Fabricius? Probabilmente no e ora vedremo perché. 

Gli annali cinesi, le cronache giapponesi e le registrazioni coreane sono fonti molto ricche di notizie astronomiche antiche. Nell'antica cosmografia cinese il settore di cielo che corrisponde all'odierna costellazione di Cetus era diviso in due parti: Thien-Chun e Thien-Tshang. Se si prendono in esame le stelle che componevano Thien-Chun osserviamo che omicron Ceti è già rappresentata su talune mappe cinesi antiche, studiate e ricostruite da Ho Peng Yoke nel 1962: dunque in Cina essa era nota e registrata, anche se nessuna notizia è riportata relativamente alla variabilità della sua luminosità. Esiste comunque una registrazione cinese, che cita un'osservazione coreana, la quale annuncia la presenza di una stella-ospite (così venivano chiamati gli oggetti, quali novae e comete, che si rendevano improvvisamente visibili) nella costellazione di Cetus il 28 novembre 1592. La registrazione afferma che la visibilità di questa stella ospite fu di circa 15 mesi. Mezzo millennio prima, nel 1070, gli annali cinesi riportano un altro interessantissimo passo, su cui ritorneremo più oltre. 

Occupiamoci per ora della registrazione del 1592. Il testo cinese testimonia quanto segue: "I coreani dicono che nel giorno di hsin-hay, nel decimo mese del venticinquesimo anno di Sonjo, una stella-ospite apparve entro Thien-Tshang. Un'altra fu vista nel giorno di i-mao a est di Wang-Liang e nel giorno di ting-ssu nell'undicesimo mese a ovest di Wang Liang rimanendo visibile fino al secondo mese dell'anno successivo. Come quella di Thien-Tshang le sue dimensioni diminuirono solo nel giorno di keng-chhen, nel primo mese dell'anno ciclico di chia-wu". Si noti che il riferimento è a Thien-Tshang e non a Thien-Chun, ma per il momento trascuriamo questa incongruenza posizionale. 

Il giorno di hsin-hay del decimo mese del venticinquesimo anno di Sonjo citato nel testo si riferisce al 28 novembre 1592 del calendario gregoriano. La posizione dell'oggetto, la stella-ospite, può essere stimata abbastanza bene in quanto antiche rappresentazioni cinesi della volta celeste sono oggi perfettamente note grazie al meticoloso lavoro - già citato - portato avanti da Ho Peng Yoke.

Le coordinate equatoriali stimate e riferite all'equinozio medio del 1950 risultano essere 1h 20m di ascensione retta e -10° di declinazione che corrispondono a un punto poco lontano dalla stella theta Ceti. La posizione di Mira Ceti nel 1950 era 2h 14m di ascensione retta e -3° 26' di declinazione, quindi abbastanza discosta. 

Il giorno di "keng-chhen nel primo mese dell'anno ciclico di chia-wu" corrisponde al 20 febbraio del 1594: questa, secondo le registrazioni, è la data in cui l'oggetto divenne troppo debole per essere ancora visibile ad occhio nudo. Il fatto che una cronaca cinese faccia riferimento a una registrazione coreana e la riporti senza correggerla si presterebbe a essere interpretato come una conferma da parte degli astronomi del Celeste Impero di quanto osservato in Corea.

Il secondo oggetto citato nel testo cinese non è importante in questa sede in quanto Wang-Liang era la zona di cielo corrispondente alla costellazione di Cassiopea. 

Se queste registrazioni si riferiscono effettivamente a Mira allora Fabricius e Holwarda furono preceduti di qualche anno nelle loro scoperte.

La situazione non è comunque così semplice, sia per la collocazione della stella-ospite, sia perché il periodo di visibilità indicato dal testo cinese è piuttosto lungo, molto più del periodo di variazione di omicron Ceti. Eseguendo calcoli all'indietro nel tempo siamo in grado di stabilire le date dei massimi teorici di Mira verso la fine del XVI secolo. Nonostante un certo margine di errore, il risultato è quanto mai interessante in quanto omicron Ceti potrebbe aver avuto un massimo il 13 ottobre 1592, circa un mese e mezzo prima della data indicata da cinesi e coreani. Quindi le registrazioni sembrerebbero attendibili almeno per quanto riguarda il primo avvistamento tenendo conto anche delle irregolarità con cui le date dei massimi si ripetono nel tempo da un ciclo all'altro.

Inoltre, come si è detto, Mira rimane al massimo per circa due settimane e ne richiede circa altre dodici per scendere sotto la soglia della visibilità a occhio nudo: è facile verificare che la costellazione si avviò alla congiunzione con il Sole prima che Mira fosse definitivamente scomparsa alla vista. Il massimo successivo avvenne, sempre secondo i calcoli, il 9 settembre 1593: di conseguenza, quando le varie parti di Cetus ridivennero osservabili nel cielo del mattino tra l'estate e l'autunno di quell'anno, la stella era di nuovo ben visibile ad occhio nudo. Gli astronomi cinesi e coreani ovviamente non immaginarono che nel frattempo Mira si fosse affievolita per poi aumentare di nuovo di luminosità. Anche in questo modo comunque, non si riesce ad arrivare ai 15 mesi di visibilità indicati dalle registrazioni. 

La differenza di uno o due mesi, tuttavia, non è sostanziale in quanto si deve tener conto delle inevitabili approssimazioni introdotte dalle interpretazioni degli scritti originali cinesi e coreani e della incertezza sempre presente relativamente alla vera data del massimo di luminosità. 

Prendiamo ora in esame la registrazione cinese del 1070, particolarmente intrigante in quanto le cronache contengono il seguente breve passo: "Nel giorno di ting-wei nell'undicesimo mese del terzo anno del periodo del regno di Hsi-Ning una stella-ospite apparve in Thien-Chun". 

Questo passo è riportato in più di un'opera: infatti lo troviamo sia nel Sung Shi ("La storia della dinastia Sung", scritta da Toktaga e Ouyang Hsuan nel 1345) che nel Wen Hsieng Thung Khao, letteralmente "Ricerche Storiche sugli Affari Pubblici" completato da Ma-Thuan-Lin nel 1254. La data di avvistamento dell'oggetto corrisponde al 25 dicembre del 1070 e Thien-Chun è proprio la zona di Cetus in cui Mira è posizionata. Le coordinate equatoriali stimate della stella-ospite riferite al 1950.0 sono: 2h 40m di ascensione retta e +5° di declinazione, quindi poco più a nord di Mira, vicino alle stelle delta e gamma Ceti. 

Nel 1070 il massimo di Mira cadde, secondo i calcoli,  il 27 agosto del calendario gregoriano, quindi ben quattro mesi prima della data riportata dalle registrazioni cinesi. In realtà questa discrepanza potrebbe essere solo apparente in quanto il periodo di Mira Ceti fluttua intorno al valore di 332 giorni e quindi la propagazione degli errori nei calcoli può comportare qualche mese di incertezza relativamente alla data di un massimo previsto più di 900 anni fa. Va anche tenuto conto che omicron Ceti rimane per circa tre mesi dopo il massimo sopra la terza magnitudine. 

In conclusione, a noi non pare azzardato affermare che la natura inusuale di Mira Ceti fu registrata in Oriente molto prima di Fabricius: in un certo senso, la qualifica di stella-ospite potrebbe essere considerata come un attributo di variabilità, quanto meno implicita. 

Torniamo ora in Europa. Possiamo ritenere che Fabricius sia stato almeno il primo europeo ad aver osservato Mira? Anche a questa domanda probabilmente dobbiamo dare una risposta negativa. Spostiamoci in Boemia, a Libenice, una località a pochi chilometri da Praga. Nel 1962 due archeologi cecoslovacchi, A. Ribova e B. Soudsky, dissotterrarono i resti di un antico luogo di culto celtico risalente all'età del ferro. Il luogo si presentava come uno spiazzo rettangolare lungo un'ottantina di metri e largo venticinque, delimitato da un fossato. All'interno, era stata scavata anticamente una grossa buca a forma di otto, qualche metro sotto il livello del terreno circostante, e in essa originariamente erano stati eretti due menhir, uno grande e uno più piccolo, alcuni pali in legno e anche alcune stele in pietra. 

In quel luogo si celebravano riti religiosi e sacrifici. Quando lo scavo fu completato fu subito chiaro che chi costruì quel santuario era un buon conoscitore dell'astronomia. Infatti, sia dall'orientamento dell'intera costruzione, sia dalla disposizione delle pietre, fu possibile desumere che si era tenuto conto delle posizioni sull'orizzonte assunte dal Sole al suo sorgere e tramontare in vari periodi dell'anno, soprattutto in corrispondenza dei solstizi. Lo studio fu portato avanti da un astronomo cecoslovacco, K. Holub, il quale però mentre mise in evidenza le orientazioni solari, trascurò completamente ciò che avrebbe potuto essere correlato con la Luna e soprattutto con le stelle.

 

Ricostruzione dell'aspetto del santuario celtico di Libenice (tavola di M. Milani)

Le nostre ricerche hanno mostrato che la disposizione dei marcatori (menhir, stele e pali) all'interno e nelle vicinanze della fossa rituale generava allineamenti verso i punti dell'orizzonte in corrispondenza dei quali sorgeva e tramontava la Luna nei giorni in cui aveva la massima e la minima declinazione.

All'interno del recinto rettangolare erano presenti oltre una trentina di buche, disposte in maniera apparentemente casuale, le quali in origine avevano la funzione di sostenere dei pali in legno. Al centro del recinto era presente una sepoltura rituale contenente lo scheletro di una donna, ritenuta essere una sacerdotessa celtica. La tomba risultò orientata esattamente sulla direzione del meridiano astronomico locale. La ragione per cui tutta una serie di pali dovessero essere infissi nel terreno in posizioni apparentemente casuali non era spiegabile con pure e semplici motivazioni archeologiche. Le nostre analisi suggeriscono che i pali infissi nel terreno dovevano in origine servire a identificare allineamenti diretti verso i punti dell'orizzonte in corrispondenza dei quali sorgevano, nel 500 a.C., diverse stelle. Alcune di queste erano, per così dire, vecchie conoscenze nell'ambito dell'astronomia celtica; ma ci sono dieci allineamenti significativi diretti verso il punto dell'orizzonte presso il quale sorgeva o tramontava Mira Ceti in quel periodo storico, con un errore massimo di soli 30 primi d'arco. Più precisamente, nove allineamenti erano diretti verso il punto di levata, uno verso quello del tramonto, con un errore per alcuni di essi inferiore al primo d'arco. 

La presenza di ben dieci coppie di pali allineati verso questi punti dell'orizzonte non può essere considerata casuale. L'ipotesi più probabile è che Mira fosse conosciuta dai Celti Boi che costruirono il santuario: ma perché ritenerla tanto importante da dedicarle un così gran numero di allineamenti?

La omicron Ceti ha una decisa colorazione rossastra. Le stelle rosse pare fossero ritenute importanti presso la cultura celtica per motivi rituali. Per giustificare i dieci allineamenti viene naturale ipotizzare che, oltre alla colorazione, questa stella possedesse anche la particolarità di non essere sempre visibile, un fatto che sarebbe dovuto apparire assolutamente straordinario ai druidi celti del VI secolo a.C. 

I dieci allineamenti probabilmente servivano a chi gestiva le attività rituali nel santuario sia a identificare la posizione sull'orizzonte dove questa stella misteriosa talvolta sorgeva e tramontava, sia probabilmente per trarre auspici dalla circostanza che essa fosse o no visibile. Il fatto che i punti dell'orizzonte interessati dal sorgere e dal tramontare di Mira fossero marcati con molti allineamenti potrebbe essere spiegato tenendo presente che quando la stella era poco luminosa, praticamente al limite della visibilità ad occhio nudo, era necessario disporre di una mira molto accurata per non confonderla con altre stelle. Il santuario celtico di Libenice rimase in uso per poco più di 70 anni, cioè fino a quando i Celti Boi non migrarono dirigendosi verso l'Italia. La variazione del valore degli azimut del sorgere e del tramonto di Mira in quel lasso di tempo, per effetto della precessione degli equinozi, è di circa 40 primi d'arco. Questo valore concorda perfettamente con la distribuzione dei punti individuati dai nove allineamenti relativi al sorgere di Mira i quali furono probabilmente disposti e utilizzati in anni differenti, via via che l'azimut del sorgere della stella variava.

Ovviamente, allo stadio attuale delle conoscenze non ci è dato sapere con assoluta certezza quale significato rituale venisse attribuito dai Celti Boi a questa stella, ma è importante il fatto che, con ogni probabilità, Mira era conosciuta come un oggetto straordinario sin dalla remota antichità anche in Europa.

 

Scheda autori

Adriano Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente svolge l'attività di system manager presso il locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo inaugurato l'applicazione di tecniche di ricognizione e analisi computerizzata di siti preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare riferimento ai reperti risalenti alla cultura celtica.

Silvia Cernuti. Laureata in Fisica, collabora con l'Istituto di Storia della Fisica (Milano) per il quale sta attualmente sviluppando applicazioni ipertestuali nel campo dell'archeoastronomia. Collabora con l'Ecole des Haute Etudes Celtiques di Parigi per quanto riguarda l'analisi computerizzata di siti e reperti di importanza archeoastronomica risalenti alle età del bronzo e del ferro. Ha lavorato recentemente al difficile problema dalla interpretazione del calendario celtico.

 

 


Sommario Il cielo nelle monete celtiche