Durante
i mesi invernali è ben visibile in cielo la
costellazione della Balena, Cetus nella denominazione
latina. Sulla linea che congiunge le stelle gamma
e zeta Ceti si trova una stella rossa variabile a
lungo periodo, la omicron, il cui nome è Mira, cioè
la "Meravigliosa".
Mira
è una stella pulsante, prototipo della classe di stelle
variabili che da essa prende il nome. Essa varia, secondo i
cataloghi, dalla seconda magnitudine visuale
alla decima con un periodo di poco meno di 332
giorni. Questa stella è, secondo la tradizione, la prima
variabile a essere stata scoperta se non si considerano tali le
varie novae e supernovae che furono osservate
in varie parti del mondo sin dalla remota antichità.
I documenti storici attribuiscono la scoperta della sua variabilità
al reverendo olandese Davide Fabricius,
astrofilo e discepolo di Tycho Brahe, nato nel 1564 e morto nel
1617, assassinato da un suo parrocchiano.
Il
13 agosto 1596, cioè giusto 400 anni fa, Fabricius notò
che questa stella splendeva con una magnitudine visuale vicina
alla terza e che la sua luminosità era comparabile
con quella di alfa Arietis: eppure non risultava registrata
su nessuna carta stellare a lui nota. Egli
si accorse, osservandola nei mesi successivi, che la
sua luminosità andava diminuendo nel tempo finché scomparve alla
vista circa un mese e mezzo dopo. Fabricius
spiegò il fenomeno pensando che omicron Ceti fosse una
stella nova, analoga, ma meno luminosa,
a quella apparsa nel 1592 in Cassiopea. Egli
rivide questa stella solamente tredici anni dopo, e
cioè nel 1609. Nel frattempo essa aveva ricevuto da
Bayer, nel 1603, la denominazione di omicron Ceti.
Bayer la classificò di quarta magnitudine e la incluse, come una
stella senza alcuna speciale particolarità, nella sua Uranometria.
Evidentemente egli la osservò
durante una fase di luminosità intermedia tra
il massimo e la magnitudine limite ad occhio nudo, senza
riconoscere il fatto che omicron Ceti fosse variabile.
Fabricius
fu ucciso prima che potesse accorgersi che la
variazione di luminosità era periodica. Mira diventò di nuovo
luminosa e ben visibile ad occhio nudo
durante l'inverno 1638-1639 e fu osservata da un
altro olandese, Phoclydes Holwarda, il quale, conoscendo le
osservazioni di Fabricius, sospettò che la
visibilità di questa stella avesse un carattere ricorrente.
Nel
1667 Ismael Bolliau (1605-1694) annunciò che Mira
diventava visibile ad occhio nudo ogni 333 giorni circa. L'errore
compiuto rispetto al periodo di pulsazione oggi accettato è
solamente di un giorno e si deve
tener conto del fatto che il periodo di Mira va soggetto
a piccole, ma consistenti, fluttuazioni tra un ciclo
e il successivo.
Il
risultato ottenuto da Bolliau era di tutto rispetto considerando
le metodologie di osservazione e di analisi
dei dati in uso nel XVII secolo. Il periodo di 331,96
giorni corrisponde grosso modo a undici mesi e quindi i massimi
realmente osservabili si susseguono in gruppi di tre o quattro
consecutivi, intervallati da anni in cui capita che la massima
luminosità venga raggiunta quando la stella è prossima alla
congiunzione con il Sole; in questa
circostanza essa, evidentemente,
non è osservabile. Questo fatto rese problematico
il calcolo del periodo della variazione luminosa.
Il
nome di "Mira" le fu attribuito definitivamente da
Johannes Hevelius, il quale portò
avanti regolari osservazioni di omicron Ceti a partire dal
1648 e che nel 1662 pubblicò
un fascicolo dal titolo Historiola Mirae
Stellae ("Breve Storia della Stella Meravigliosa"),
con riferimento alla iniziale denominazione datale da Fabricius.
Hevelius la inserì anche nel suo Prodromus
definendola "Nova in Collo Ceti", da cui derivò
anche il nome alternativo di "Collum Ceti" con
cui Mira fu anche conosciuta. J.
Flamsteed osservò Mira il 18 ottobre 1691 e di nuovo il 28
settembre 1692, includendola nel suo catalogo come 68 Ceti
e indicandola di sesta grandezza. Flamsteed conosceva anche
un'altra stella simile, chi Cygni, e scrisse
della similarità di comportamento tra i due astri.
Il
meccanismo fisico di pulsazione di questa stella è tale
per cui la variazione di luminosità riflette la contemporanea
presenza di almeno due distinte periodicità: questo è il motivo
per cui sia la massima luminosità che quella minima oscillano
periodicamente intorno
ad un valore medio. La magnitudine al massimo varia dalla 2,4 alla
4,9 visuale, mentre i valori minimi
variano dalla 8,4 alla 9,7.
Fabricius
fu particolarmente fortunato in quanto, a causa
della combinazione delle periodicità, il massimo del 1596 fu uno
dei più alti: la magnitudine raggiunta fu intorno alla seconda e
in questo modo si spiega
perché la ritenne più luminosa di alfa Arietis, la
quale ha magnitudine visuale apparente 2,0. Addirittura, Herschel,
sulla base delle osservazioni compiute il 6 novembre 1779, scrisse
che Mira appariva luminosa
quanto Aldebaran. Probabilmente Herschel sovrastimò la luminosità
di omicron Ceti, oppure quello
del 1779 fu un massimo eccezionalmente luminoso. Nel 1783 egli
indicò che Mira aveva un colore rosso, molto simile a mu
Cephei che, come è noto,
è la stella più rossa visibile ad occhio nudo su tutta
la sfera celeste.
Dall'epoca
di Bolliau, in molti cercarono di spiegare la
curva di luce di questa stella mediante i più disparati e
fantasiosi modelli fisici. Ricordiamo che Bolliau stesso
pensava che Mira fosse una stella rotante poco luminosa, ma con
una grossa macchia brillante in fotosfera,
una specie di super-facola solare. Pierre de Maupertuis
(1698-1759) propose che Mira fosse un oggetto
rotante di forma allungata osservato periodicamente secondo
differenti orientazioni. Edward Piggott (1753-1825) propose un
modello binario composto da una stella periodicamente eclissata da
un compagno oscuro e
Rudolf Wolf (1816-1893) tentò di attribuire
a Mira una fenomenologia ciclica simile a
quella delle macchie solari. Fu necessario attendere, nel nostro
secolo, lo sviluppo della teoria della pulsazione stellare
sviluppata da Sir Arthur Eddington per
avere la corretta spiegazione della curva di luce i omicron
Ceti.
A
questo punto è utile prendere in esame il suo andamento più in
dettaglio. La stella rimane al massimo della
luminosità per circa due settimane. La fase di salita
dalla magnitudine limite ad occhio nudo a quella
massima dura circa sette settimane, mentre la discesa
richiede di solito circa tre mesi. Più precisamente, Mira resta
visibile ad occhio nudo per circa 147
giorni, mentre per altri 185 rimane invisibile, se assumiamo
che la magnitudine visuale limite ad occhio nudo, cioè la
luminosità della stella più debole che
è possibile vedere durante una notte limpida, sia intorno
alla 6,5. Sia chiaro che nei giorni in cui Mira raggiunge
una magnitudine visuale intorno alla 6,0 un
osservatore visuale è in grado di vederla ad occhio nudo solo se
la cerca di proposito, e non senza difficoltà.
Ora
possiamo porci un'interessante domanda, per nulla
banale: qual è la probabilità che un individuo che
osservi visualmente il cielo possa notare al primo colpo
d'occhio una stella di una determinata magnitudine visuale? La
risposta è complessa in quanto dipende da un'infinità di fattori
soggettivi che mettono in
difficoltà le tecniche di statistica classica.
Eppure
il problema risulta importante nell'ambito di studi
sulla storia dell'astronomia. Si pensi, ad esempio, al ritmo con
cui nell'antichità, in Oriente, venivano scoperte novae e comete
e l'importanza di confrontare questo tasso di scoperta con la
probabilità di vedere
questi oggetti mediante l'osservazione visuale. Ebbene, è
possibile affrontare la questione impiegando particolari tecniche
matematiche le quali, pur essendo
molto complesse, conducono in questo caso a risultati semplici.
Infatti, è possibile mettere a punto
una regoletta capace di fornire una buona stima della probabilità
da parte di un osservatore ad occhio
nudo di accorgersi della presenza di una stella "in più"
nel cielo, in funzione della sua magnitudine visuale. Supponendo
che la magnitudine visuale limite
ad occhio nudo sia di 6,5 e che una stella di magnitudine
visuale zero o negativa abbia la probabilità del 100% di essere
vista al primo colpo d'occhio, allora la probabilità per una
stella di prima grandezza
di essere immediatamente notata è del 40%,
per una di seconda magnitudine e del 16%, per una
di terza grandezza del 6% e così via. Questo potrebbe forse
spiegare perché anticamente venivano osservate
praticamente quasi solo le stelle più brillanti della terza
magnitudine.
Mira
rimane più luminosa della terza magnitudine solamente
per due o tre settimane, su un periodo di 47
settimane e mezza, considerando anche i periodi di
invisibilità a causa della congiunzione eliaca: quindi, nella
migliore delle ipotesi, essa aveva solamente il
6% circa di probabilità (3 su 47) di essere prima o poi
scoperta da qualcuno. Ma questo qualcuno fu
proprio Davide Fabricius? Probabilmente no e ora vedremo
perché.
Gli
annali cinesi, le cronache giapponesi e le registrazioni coreane
sono fonti molto ricche di notizie
astronomiche antiche. Nell'antica cosmografia cinese
il settore di cielo
che corrisponde all'odierna
costellazione di Cetus era diviso in due parti: Thien-Chun
e Thien-Tshang.
Se si prendono in esame le stelle
che componevano Thien-Chun osserviamo che omicron
Ceti è già rappresentata su talune mappe cinesi
antiche, studiate e ricostruite da Ho Peng Yoke nel
1962: dunque in Cina essa era nota e registrata, anche se
nessuna notizia è riportata relativamente alla
variabilità della sua luminosità. Esiste comunque una
registrazione cinese, che cita un'osservazione coreana, la
quale annuncia la presenza di una stella-ospite (così venivano
chiamati gli oggetti, quali novae e
comete, che si rendevano improvvisamente visibili)
nella costellazione di Cetus il 28 novembre 1592. La
registrazione afferma che la visibilità di questa stella
ospite fu di circa 15 mesi. Mezzo millennio prima,
nel 1070, gli annali cinesi riportano un altro interessantissimo
passo, su cui ritorneremo più oltre.
Occupiamoci
per ora della registrazione del 1592. Il
testo cinese testimonia quanto segue: "I coreani dicono
che nel giorno di hsin-hay, nel decimo mese
del venticinquesimo anno di Sonjo, una stella-ospite
apparve entro Thien-Tshang.
Un'altra fu vista nel giorno
di i-mao a est di Wang-Liang e nel giorno di
ting-ssu nell'undicesimo mese a ovest di Wang
Liang rimanendo visibile fino al secondo mese dell'anno
successivo. Come quella di Thien-Tshang le
sue dimensioni diminuirono solo nel giorno di keng-chhen,
nel primo mese dell'anno ciclico di chia-wu".
Si noti che il riferimento è a Thien-Tshang e non a
Thien-Chun, ma per il momento trascuriamo questa
incongruenza posizionale.
Il
giorno di hsin-hay
del decimo mese del venticinquesimo anno di Sonjo citato nel testo
si riferisce al 28 novembre
1592 del calendario gregoriano. La posizione dell'oggetto, la
stella-ospite, può essere stimata abbastanza bene in quanto
antiche rappresentazioni cinesi della volta celeste sono oggi
perfettamente note grazie al meticoloso lavoro - già citato -
portato avanti da Ho Peng Yoke.
Le
coordinate equatoriali stimate e riferite all'equinozio medio del
1950 risultano essere 1h 20m di ascensione retta e -10° di
declinazione che corrispondono a
un punto poco lontano dalla stella theta Ceti. La
posizione di Mira Ceti nel 1950 era 2h 14m di ascensione
retta e -3° 26' di declinazione, quindi abbastanza discosta.
Il
giorno di "keng-chhen nel primo mese dell'anno
ciclico di chia-wu" corrisponde al 20 febbraio
del 1594: questa, secondo
le registrazioni, è la data in cui
l'oggetto divenne troppo debole per essere ancora visibile ad
occhio nudo. Il fatto che una cronaca cinese faccia riferimento a
una registrazione coreana e la riporti senza correggerla si
presterebbe a essere
interpretato come una conferma da parte degli astronomi del
Celeste Impero di quanto osservato in Corea.
Il
secondo oggetto citato nel testo cinese non è importante in
questa sede in quanto Wang-Liang era la
zona di cielo corrispondente alla costellazione di
Cassiopea.
Se
queste registrazioni si riferiscono effettivamente a
Mira allora Fabricius e Holwarda furono preceduti di
qualche anno nelle loro scoperte.
La
situazione non è comunque così semplice, sia per
la collocazione della stella-ospite, sia perché il periodo
di visibilità indicato dal testo cinese è piuttosto
lungo, molto più del periodo di variazione di omicron
Ceti. Eseguendo calcoli all'indietro nel tempo
siamo in grado di stabilire le date dei massimi teorici
di Mira verso la fine del XVI secolo. Nonostante un
certo margine di errore, il risultato è quanto mai interessante
in quanto omicron Ceti potrebbe aver
avuto un massimo il 13 ottobre 1592, circa un mese
e mezzo prima della data indicata da cinesi e coreani.
Quindi le registrazioni sembrerebbero attendibili
almeno per quanto riguarda il primo avvistamento
tenendo conto anche delle irregolarità con cui le date dei
massimi si ripetono nel tempo da un ciclo all'altro.
Inoltre,
come si è detto, Mira rimane al massimo per
circa due settimane e ne richiede circa altre dodici
per scendere sotto la soglia della visibilità a occhio
nudo: è facile verificare che la costellazione si avviò
alla congiunzione con il Sole prima che Mira fosse
definitivamente scomparsa alla vista. Il massimo successivo
avvenne, sempre secondo i calcoli, il 9 settembre 1593: di
conseguenza, quando le varie parti
di Cetus ridivennero osservabili nel cielo del mattino tra
l'estate e l'autunno di quell'anno, la stella era di nuovo
ben visibile ad occhio nudo. Gli astronomi cinesi e coreani
ovviamente non immaginarono che nel
frattempo Mira si fosse affievolita per poi aumentare di nuovo di
luminosità. Anche in questo modo comunque,
non si riesce ad arrivare ai 15 mesi di visibilità indicati dalle
registrazioni.
La
differenza di uno o due mesi, tuttavia, non è sostanziale in
quanto si deve tener conto delle inevitabili approssimazioni
introdotte dalle interpretazioni degli scritti originali cinesi e
coreani e della incertezza sempre presente relativamente alla vera
data del massimo di
luminosità.
Prendiamo
ora in esame la registrazione cinese del 1070,
particolarmente intrigante in quanto le cronache contengono il
seguente breve passo: "Nel giorno
di ting-wei nell'undicesimo mese del terzo anno del
periodo del regno di Hsi-Ning
una stella-ospite apparve in Thien-Chun".
Questo
passo è riportato in più di un'opera: infatti lo troviamo
sia nel Sung Shi ("La storia della dinastia Sung",
scritta da Toktaga e Ouyang Hsuan nel 1345) che
nel Wen Hsieng Thung Khao, letteralmente "Ricerche
Storiche sugli Affari Pubblici" completato da Ma-Thuan-Lin
nel 1254. La data di avvistamento dell'oggetto corrisponde al 25
dicembre del 1070 e Thien-Chun è proprio la zona di Cetus in cui
Mira è posizionata. Le
coordinate equatoriali stimate della stella-ospite
riferite al 1950.0 sono: 2h 40m di ascensione retta e +5° di
declinazione, quindi poco più a nord
di Mira, vicino alle stelle delta e gamma Ceti.
Nel
1070 il massimo di Mira cadde, secondo i calcoli,
il 27 agosto del calendario gregoriano, quindi ben quattro
mesi prima della data riportata dalle registrazioni cinesi. In
realtà questa discrepanza potrebbe essere
solo apparente in quanto il periodo di Mira Ceti
fluttua intorno al valore di 332 giorni e quindi la propagazione
degli errori nei calcoli può comportare qualche
mese di incertezza relativamente alla data di un
massimo previsto più di 900 anni fa. Va anche tenuto conto che omicron
Ceti rimane per circa tre mesi dopo il massimo sopra la terza
magnitudine.
In
conclusione, a noi non pare azzardato affermare che
la natura inusuale di Mira Ceti fu registrata in Oriente
molto prima di Fabricius: in un certo senso, la
qualifica di stella-ospite potrebbe essere considerata come un
attributo di variabilità, quanto meno implicita.
Torniamo
ora in Europa. Possiamo ritenere che Fabricius sia stato almeno il
primo europeo ad aver osservato Mira? Anche a questa domanda
probabilmente dobbiamo dare una risposta negativa. Spostiamoci in
Boemia, a Libenice, una località a pochi chilometri
da Praga. Nel 1962 due archeologi cecoslovacchi, A. Ribova e B.
Soudsky, dissotterrarono i resti
di un antico luogo di culto celtico risalente all'età del ferro.
Il luogo si presentava come uno spiazzo
rettangolare lungo un'ottantina di metri e largo venticinque,
delimitato da un fossato. All'interno, era stata scavata
anticamente una grossa buca a forma di otto, qualche metro sotto
il livello del terreno circostante, e in essa originariamente
erano stati eretti due menhir, uno grande e uno più
piccolo, alcuni pali in legno e anche alcune stele in
pietra.
In
quel luogo si celebravano riti
religiosi e sacrifici. Quando
lo scavo fu completato fu subito chiaro che chi
costruì quel santuario era un buon conoscitore dell'astronomia.
Infatti, sia dall'orientamento dell'intera costruzione, sia dalla
disposizione delle pietre, fu
possibile desumere che si era tenuto conto delle posizioni
sull'orizzonte assunte dal Sole al suo sorgere e tramontare in
vari periodi dell'anno, soprattutto in
corrispondenza dei solstizi. Lo studio fu portato avanti
da un astronomo cecoslovacco, K. Holub, il quale
però mentre mise in evidenza le orientazioni solari,
trascurò completamente ciò che avrebbe potuto essere correlato
con la Luna e soprattutto con le stelle.
|
Ricostruzione
dell'aspetto del santuario celtico di Libenice
(tavola di M. Milani) |
Le
nostre ricerche hanno mostrato che la disposizione dei marcatori (menhir,
stele e pali) all'interno e nelle
vicinanze della fossa rituale generava allineamenti verso i punti
dell'orizzonte in corrispondenza dei
quali sorgeva e tramontava la Luna nei giorni in cui
aveva la massima e la minima declinazione.
All'interno
del recinto rettangolare erano presenti oltre una trentina di
buche, disposte in maniera apparentemente casuale, le quali in
origine avevano la funzione
di sostenere dei pali in legno. Al centro del recinto
era presente una sepoltura rituale contenente lo
scheletro di una donna, ritenuta essere una sacerdotessa celtica.
La tomba risultò orientata esattamente sulla direzione del
meridiano astronomico locale. La
ragione per cui tutta una serie di pali dovessero essere
infissi nel terreno in posizioni apparentemente casuali non era
spiegabile con pure e semplici motivazioni archeologiche. Le
nostre analisi suggeriscono che i pali infissi nel terreno
dovevano in origine servire a
identificare allineamenti diretti verso i punti dell'orizzonte in
corrispondenza dei quali sorgevano, nel 500 a.C., diverse stelle.
Alcune di queste erano, per così dire, vecchie conoscenze
nell'ambito dell'astronomia
celtica; ma ci sono dieci allineamenti significativi
diretti verso il punto dell'orizzonte presso il quale sorgeva o
tramontava Mira Ceti in quel periodo
storico, con un errore massimo di soli 30 primi d'arco.
Più precisamente, nove allineamenti erano diretti verso il punto
di levata, uno verso quello del tramonto, con un errore per alcuni
di essi inferiore al primo
d'arco.
La
presenza di ben dieci coppie di pali allineati verso
questi punti dell'orizzonte non può essere considerata casuale.
L'ipotesi più probabile è che Mira fosse
conosciuta dai Celti Boi che costruirono il santuario: ma perché
ritenerla tanto importante da dedicarle un così gran numero di
allineamenti?
La
omicron Ceti ha una decisa colorazione rossastra. Le
stelle rosse pare fossero ritenute importanti presso la cultura
celtica per motivi rituali. Per giustificare i
dieci allineamenti viene naturale ipotizzare che, oltre alla
colorazione, questa stella possedesse anche la particolarità di
non essere sempre visibile, un fatto che sarebbe dovuto apparire
assolutamente straordinario ai druidi celti del VI secolo a.C.
I
dieci allineamenti probabilmente servivano a chi gestiva
le attività rituali nel santuario sia a identificare la posizione
sull'orizzonte dove questa stella misteriosa talvolta sorgeva e
tramontava, sia probabilmente per trarre auspici dalla circostanza
che essa fosse o no visibile.
Il fatto che i punti dell'orizzonte interessati
dal sorgere e dal tramontare di Mira fossero marcati con molti
allineamenti potrebbe essere spiegato
tenendo presente che quando la stella era poco
luminosa, praticamente al limite della visibilità ad
occhio nudo, era necessario disporre di una mira molto
accurata per non confonderla con altre stelle. Il
santuario celtico di Libenice rimase in uso per poco più di 70
anni, cioè fino a quando i Celti Boi non migrarono
dirigendosi verso l'Italia. La variazione del valore
degli azimut del sorgere e del tramonto di Mira in quel lasso di
tempo, per effetto della precessione degli equinozi, è di circa
40 primi d'arco. Questo valore
concorda perfettamente con la distribuzione dei
punti individuati dai nove allineamenti relativi al sorgere
di Mira i quali furono probabilmente disposti e
utilizzati in anni differenti, via via che l'azimut del sorgere
della stella variava.
Ovviamente,
allo stadio attuale delle conoscenze non
ci è dato sapere con assoluta certezza quale significato rituale
venisse attribuito dai Celti Boi a questa stella, ma è importante
il fatto che, con ogni probabilità, Mira era conosciuta come un
oggetto straordinario sin dalla remota antichità anche in Europa.
Scheda
autori
Adriano
Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio
Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente
svolge l'attività di system manager presso il
locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del
GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da
molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo
inaugurato l'applicazione di tecniche di
ricognizione e analisi computerizzata di siti
preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali
Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare
riferimento ai reperti risalenti alla cultura
celtica.
Silvia
Cernuti. Laureata in Fisica, collabora con l'Istituto di Storia della
Fisica (Milano) per il quale sta attualmente sviluppando applicazioni
ipertestuali nel campo dell'archeoastronomia. Collabora con
l'Ecole des Haute
Etudes Celtiques di Parigi per quanto riguarda l'analisi computerizzata di
siti e reperti di importanza archeoastronomica risalenti alle età del bronzo
e del ferro. Ha lavorato recentemente al difficile problema dalla
interpretazione del calendario celtico.
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Sommario |
Il
cielo nelle monete celtiche |
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