Da
due secoli a questa parte gli studiosi hanno mostrato notevole
interesse per i petroglifi, cioè le incisioni su roccia
eseguite da uomini del Paleolitico, del Neolitico, dell’Eneolitico
e di periodi ancora più recenti. Magnifici esempi di arte
rupestre, un termine che è forse riduttivo e che andrebbe
sostituito con il più appropriato “cultura figurativa”, si
possono osservare in svariate zone del territorio europeo, dalla
Scandinavia alla Spagna, con notevolissime manifestazioni in
Svizzera, Francia e Italia. Basti citare il complesso del monte
Bego, nel sud della Francia, dove sono rappresentati oltre 100
mila simboli, e i petroglifi camuni della Val Camonica, in Italia,
con oltre 70 mila incisioni. Il termine “cultura figurativa”
è più appropriato in quanto le figure incise su roccia sono si
l’espressione di una vena artistica, ma probabilmente vennero
eseguite dall’uomo preistorico soprattutto con intenti
propiziatori e con finalità pratiche.
I petroglifi costituiscono
un reperto estremamente importante per comprendere il pensiero di
quegli uomini: possono infatti rappresentare una sorta di anello
di congiunzione tra il loro mondo materiale e quello spirituale,
tra la vita quotidiana e gli eventi naturali, spesso inspiegabili,
primi fra tutti i vari fenomeni che si verificano in cielo. Di
certo era una logica a noi sconosciuta a indurre gli uomini di
quel tempo a rappresentare i loro concetti mediante quella
particolare simbologia. A noi il duplice compito di decifrare il
messaggio così crittografato e di tentare di comprendere la
logica sottesa. Le scene rappresentate nei petroglifi sono di
natura varia, come del resto gli stili riconoscibili, dipendenti
generalmente dal periodo durante il quale essi furono incisi:
accanto a scene di caccia, pesca, pastorizia o anche di culto,
esistono taluni simboli, o associazioni di simboli, che non hanno
ancora ricevuto un'adeguata interpretazione. Tra questi sono da
annoverare quei segni astratti che generalmente vanno sotto il
nome di "simboli solari" in quanto dovrebbero
rappresentare il Sole in relazione al suo culto, molto diffuso tra
le popolazioni di quel tempo. Non è detto però che tutti i
simboli si riferiscano direttamente al Sole; è invece probabile
che la rappresentazione simbolica riguardasse anche altri astri:
la Luna, le comete, i pianeti visibili a occhio nudo e le stelle
più luminose. Una religione animistica doveva infatti essere
molto attenta ai fenomeni celesti, considerati come genuine
manifestazioni divine e come tali scrupolosamente osservati e
interpretati.
Si
consideri il ruolo della Luna per l'uomo protostorico. La presenza
della Luna poteva rischiarare il cammino al viaggiatore, e
comunque avere un effetto rassicurante contro la paura delle
tenebre. Le fasi lunari erano un fenomeno talmente evidente da non
poter passare inosservato; infatti, il loro ciclo fu assunto come
uno dei primi metodi di scansione e misura del tempo. Per la
nascita di un bimbo, per esempio, era importante tenere il conto
dei cicli lunari trascorsi: ciò veniva fatto già nel
Paleolitico, come dimostrano le sequenze di 29 e 30 incisioni su
osso, in perfetto accordo con il periodo sinodico lunare, che
ricordano piuttosto chiaramente la forma della Luna nelle varie
fasi del suo ciclo. Analizzando incisioni su ossi, corna di
cervidi e pietre provenienti da diversi siti, in particolare dalla
Francia, dall'Italia, dalla Spagna, dalla Cecoslovacchia e dalla
Polonia, risalenti al Paleolitico Superiore e quindi collocabili
tra 35 e 10 mila anni fa, nel 1960 Alexander Marshack poté
concludere che la registrazione grafica delle fasi lunari era
un'attività generalizzata su tutto il territorio europeo. Un
esempio un po' più recente è rappresentato dalla pietra SW22
rinvenuta presso il tumulo di Newgrange, in Irlanda. Sul monolito,
che dovrebbe risalire a un periodo collocabile tra il 3700 e il
3500 a.C., sono rappresentate 29 incisioni che si riferiscono
chiaramente all'evoluzione della fase lunare lungo un mese
sinodico completo.
In
Italia sono stati rinvenuti petroglifi in Val Camonica, in Liguria
e in molte altre località dell'arco alpino. Ovunque esistono
numerose rappresentazioni simboliche del disco solare. In
generale, la tipologia che si osserva è quella di un cerchio che
può essere o no raggiato e spesso con un punto o una croce al
centro, oppure una spirale. Prendendo in esame solamente i
petroglifi presenti nella Val Camonica, abitata anticamente dalla
popolazione dei Camuni, si possono riconoscere 22 tipi diversi di
simboli solari. In qualche caso sembra addirittura che si possano
ravvisare tentativi di registrare vere e proprie sequenze
temporali di avvenimenti. La dimensione temporale aveva quindi un
preciso significato per gli uomini che tracciavano le figure sulla
pietra. Alcuni esempi interessantissimi si possono osservare a
Seraldina, presso Capodiponte, in Val Camonica, altri nella zona
di Boario e sulla roccia del "Coren delle Fate" a Sonico
dove appaiono incisioni del Neo-Eneolitico, dell'Età del Bronzo e
dell'Età del Ferro.
Disegni
solari presenti sulle steli 1 e 2 di Bagnolo, presso
Malegno (Val Camonica)
|
Le rappresentazioni solari nei graffiti
camuni si dividono grosso modo in due categorie. Alla prima
appartengono i casi in cui il disco è disegnato in maniera
simmetrica: l'oggetto rappresentato può allora essere
effettivamente il Sole, oppure la Luna Piena, o entrambi durante
un'eclisse. La seconda riguarda le rappresentazioni di tipo
asimmetrico in cui al disco vengono aggiunti dei prolungamenti,
cioè uno o più "raggi": in questi casi l'oggetto
rappresentato potrebbe anche essere un altro corpo celeste, con un
aspetto simile a quello fissato dall'artista camuno.
Affinché
l'artista primitivo fosse talmente impressionato da una
manifestazione celeste da sentire l'esigenza di rappresentarla
sulla roccia, essa doveva soddisfare tre requisiti. Anzitutto,
doveva essere molto appariscente e ben visibile a occhio nudo; in
secondo luogo, doveva essere inusuale, cioè non corrispondere a
eventi frequentemente osservati; infine, doveva presentare un
certo grado di straordinarietà, che venisse naturale porre in
relazione con il divino: doveva cioè essere tale da rimandare a
qualche imponente manifestazione divina. Fenomeni
idonei a soddisfare questi tre requisiti potrebbero essere i
passaggi di comete luminose, le eclissi di Sole e di Luna,
l'apparizione di stelle novae e supernovae, la caduta di meteore e
bolidi particolarmente brillanti e appariscenti.
Nei
petroglifi camuni presenti in Val Camonica e in Valtellina ci si
imbatte spesso in una serie di simboli, ritenuti di ispirazione
teomorfa, cioè legati alla rappresentazione della divinità, che
probabilmente tramandano diverse versioni di uno stesso disegno
fondamentale, la cui forma più rozza e semplificata, forse anche
la prima a essere cronologicamente tracciata, appare sulla Roccia
del Sole, presso il "Capitello dei due Pini" nella
località di Paspardo.
Questa
grande roccia riporta simboli che sembrerebbero connessi
più all'osservazione del cielo che a eventi di vita
quotidiana. Si tratta generalmente di coppelle
raggruppate, frammiste a figure umane con le braccia
aperte (oranti), qualche alabarda e qualche figura di
animale; in particolare, è presente un simbolo formato da
una serie di tre dischi concentrici da cui emergono tre
serie di raggi divergenti orientali verso il basso.
Accanto ai dischi concentrici si osservano due piccoli
cerchi, uno per lato e, poco più in alto a sinistra, un
grosso disco interamente picchiettato (l'immagine della
Luna?).
La
roccia è databile circa tra il 3200 a.C. e il 2500 a.C.,
pressappoco all'inizio dell'arte monumentale camuna. L'incertezza
sulla datazione è tale da rendere problematico qualsiasi
tentativo di identificazione del possibile fenomeno astronomico a
cui la rappresentazione si potrebbe riferire.
|
Parete
di roccia presso il "Capitello dei due
Pini" a Paspardo |
|
Questo
simbolo appare anche su almeno altri nove massi incisi e
rocce-steli rinvenuti in Val Camonica e in Valtellina. L'analisi,
condotta mediante raffinate tecniche informatiche di pattern
processing, ci dice che i dieci simboli sono altamente
correlati tra loro, anche se tracciati su reperti rinvenuti a
svariati chilometri di distanza l'uno dall'altro, e inoltre che
molto probabilmente discendono tutti da quello rappresentato sulla
roccia di Paspardo.
|
Masso
di Borno. Al centro, spostato sulla sinistra, si noti
il simbolo teomorfo con tre appendici
|
Ma vediamo nel concreto i vari reperti,
iniziando dal Masso di Borno, scoperto nel 1953 dal geologo A.
Pollini ai piedi dell'altura del Dos Averta. Si tratta di un masso
di arenaria permiana alto circa 2,3 m e inciso sulle quattro
facciate. La più interessante per noi risulta la faccia n.
1, sulla quale, oltre a figure di tipo antropomorfo e zoomorfo,
armi e ornamenti, compare il simbolo teomorfo a dischi concentrici
con tre appendici a forma di coda.
Sulla parete opposta compare un cerchio non raggiato,
parzialmente immerso in una serie di striature trasversali: in
questo caso potrebbe trattarsi di una rappresentazione della Luna
invece che del Sole, e in tal modo le due facce del masso di Borno
potrebbero essere ritualmente connesse con gli astri più
appariscenti visibili in cielo. Un secondo masso, sempre a Borno,
fu scoperto nel 1983 da G. F. Rivadossi. Oltre alle consuete figure
di asce, pugnali e cervidi, compare ancora il simbolo teomorfo ma,
curiosamente, capovolto, con i "raggi" rivolti verso
l'alto.
Passando alle statue-steli situate in Valtellina, nella
località di Caven ne sono state rinvenute tre dell'Età del Rame
sulle quali è inciso il solito simbolo teomorfo. Sulla prima
stele sono presenti alcune tipiche raffigurazioni camune (asce,
alabarde, pugnali e animali); qui il simbolo teomorfo differisce
da quello classico per il fatto che i dischi laterali sono di
diametro maggiore, spostati lateralmente verso il basso e con un
altro cerchio tangente internamente a ciascuno di essi. Il disco
centrale contiene altri due dischi concentrici. Sulla seconda
stele il simbolo è presente con tre serie di raggi e con gli
usuali due dischi laterali spostati un poco verso il basso e
puntati nel centro. Sulla terza, infine, il simbolo teomorfo ha il
disco centrale formato da cinque cerchi concentrici da cui si
dipartono verticalmente verso il basso tre raggi, mentre ai lati
sono rappresentati due dischi vuoti. La stele comprende anche
altre incisioni. E' perciò probabile che sia avvenuta una
rielaborazione del simbolo, abbellito con l'aggiunta di
decorazioni. Lateralmente è stata incisa anche una coppia di
pendagli a doppia spirale ai quali gli studiosi attribuiscono un
significato simbolico di matrice solare.
Sempre in Valtellina, il
simbolo teomorfo, evoluto e trasposto simbolicamente, compare
anche sulla stele di Cornal sotto forma di un disco centrale,
composto da due cerchi concentrici, munito degli ormai classici
tre raggi. Accanto al disco principale ne appaiono due laterali,
più marcati e approssimativamente di pari dimensioni. Anche su
questa stele compare un motivo decorativo. Il simbolo teomorfo
compare anche su due steli trovate a Valgella. Sulla prima
l'incisore ha rappresentato il disco centrale accompagnato da
quattro cerchi concentrici e tre appendici (raggi) divergenti
rivolti verso il basso. Accanto si ritrovano i due dischi laterali,
uno per lato e allineati con quello centrale. La trasposizione è
di tipo simbolico, ma il petroglifo appare isolato, senza
particolari motivi decorativi. Sull'altra stele il simbolo
teomorfo è decorato, e la somiglianza con quello della stele di
Cornal è impressionante.
|
|
Stele
1 di Valgella |
Stele
di Cornal |
Esaminando i dieci simboli viene
spontaneo pensare a una certa evoluzione nel tempo della
rappresentazione, da quella molto grezza della Roccia del Sole
fino a quelle accurate e perfezionate dei massi di Borno.
Successivamente la configurazione sembra evolversi verso una
trasposizione simbolica molto ricercata e ricca di decorazioni,
come possiamo rilevare sulle steli valtellinesi. Forse l'idea
della rappresentazione si diffuse verso nord propagandosi dalla
Val Camonica alla Valtellina: nel tempo trascorso, il simbolo, pur
conservando i suoi caratteri essenziali, potrebbe essersi evoluto
perdendo la caratteristica di rappresentazione fedele di qualcosa
di effettivamente osservato in cielo.
Gli
archeologi hanno dato di questo simbolo un'interpretazione tutta
spirituale, cioè avulsa dalla cultura materiale. Ma è proprio
così? E comunque, da che cosa deriva la scelta da parte degli
incisori dei dieci megaliti di rappresentare proprio quel simbolo,
tenendo conto che i megaliti non sono coevi? Un noto studioso lo
definì "un simbolo solare posizionato tra due simboli
astrali", ma senza fornire alcun riferimento al fenomeno
astronomico che potrebbe averlo ispirato. Noi vogliamo porci due
domande. In primo luogo, è possibile che il simbolo teomorfo sia
semplicemente una rappresentazione del Sole casualmente diversa
dai consueti simboli solari ritrovati tra le incisioni rupestri
camune? In secondo luogo, è possibile che il simbolo compaia in
10 reperti differenti, solamente a seguito di una combinazione di
fattori puramente casuali, escludendo quindi la deliberata volontà
di rappresentare qualcosa di ben preciso?
La questione è
complessa, e tuttavia si è calcolato che la probabilità che la
somiglianza dei 10 simboli in 10 reperti indipendenti non sia
casuale è del 99,5%. Si deve poi notare un altro fatto e cioè
che il simbolo teomorfo in questione è, tra i 22 simboli solari
rinvenuti in Val Camonica e in Valtellina, il più complesso in
assoluto e perciò anche quello che dovrebbe avere avuto la minore
probabilità di essere rappresentato. Invece, il fatto che proprio
quello sia stato prescelto per essere tracciato sulla sommità
delle steli e su massi distribuiti geograficamente anche a
distanze rilevanti e che inoltre compaia sempre una sola volta su
ciascuna parete di roccia deve farci sospettare che esso abbia
rivestito un preciso significato simbolico.
Il
petroglifo tracciato sulla roccia del sole è il più elementare
tra i 10 analizzati ed è quindi molto probabile che quella roccia
contenga la rappresentazione più fedele e più antica dell'evento
astronomico a cui potrebbe ipoteticamente riferirsi. Una delle
possibilità è che esso sia la rappresentazione di una cometa
luminosa, con più di una coda visibile a occhio nudo, comparsa
poco tempo prima che la Roccia del Sole fosse incisa, nell'epoca
in cui la cultura camuna era in pieno sviluppo. La cometa potrebbe
essere transitata tra due stelle luminose, rappresentate sulla
roccia sotto forma di due piccoli cerchi ai lati della testa della
cometa.
Esiste un esempio, molto più recente e riferito al nord
Europa, di una situazione analoga: si tratta di una moneta celtica
coniata nel I secolo a.C. dalla popolazione britannica degli
Abricatui, sulla quale è rappresentata l'immagine di una cometa
posta tra le stelle Spica e zeta Virginis. I Celti
Abricatui rappresentarono sulle loro monete la cometa proprio nel
momento del passaggio tra le due stelle, nonostante che l'oggetto
celeste fosse stato visibile in cielo per molto tempo: il transito
tra le due stelle doveva quindi assumere un particolare interesse.
Anche per i Camuni tale evento poteva essere ritenuto importante
per qualche ragione a noi sconosciuta.
Nel simbolo teomorfo la
testa della cometa parrebbe esagerata nelle dimensioni rispetto
alle code. Ma è così anche nella moneta degli Abricatui, e
inoltre siamo in presenza di una trasposizione simbolica, per cui
il rispetto delle dimensioni relative è tutt'altro che scontato.
La raffigurazione a centri concentrici potrebbe rimandare a una
classica struttura a falso nucleo luminoso, rappresentato dal
cerchio più piccolo e interno, circondato da un esteso alone. Da
questo alone doveva emergere una coda aperta a ventaglio o anche
due code, una di polvere e una di gas, come suggerirebbe la
rappresentazione simbolica sui vari massi e sulle varie steli.
L'ipotesi della cometa è la più immediata, ma non la sola
possibile. Un'altra interpretazione potrebbe riferirsi a
un'eclisse di Sole, e allora i due dischi laterali potrebbero
rimandare a due pianeti divenuti visibili nei dintorni del disco
solare eclissato. L'ipotesi dell'eclisse potrebbe essere
avvalorata dal fatto che il simbolo teomorfo in questione compare
solamente sulle steli della Val Camonica e della Valtellina, come
se il fenomeno astronomico fosse risultato visibile solo
localmente e non anche nel resto dell'Europa. In linea di
principio potrebbe essere possibile calcolare tutte le eclissi
solari visibili durante i sette secoli di incertezza cronologica
relativa alla datazione della roccia di Paspardo, ma le
conclusioni che se ne potrebbero trarre risulterebbero comunque
assai aleatorie. E' stato anche suggerito che il fenomeno
astronomico rappresentato possa essere stato una congiunzione
tripla di pianeti, ma l'ipotesi risulta poco realistica quando si
pensi che le congiunzioni triple sono frequentissime, e quindi non
solo sarebbe impossibile tentare l'identificazione di quella a cui
il simbolo potrebbe riferirsi, ma soprattutto verrebbe a mancare
il requisito della straordinarietà di un fenomeno che dovrebbe aver colpito a tal punto
l'immaginazione di quegli uomini da spingerli a rappresentarlo
permanentemente sulla pietra.
In
ogni caso, l'idea che il simbolo teomorfo si riferisca a un
fenomeno astronomico è plausibile anche per un'altra ragione. Nel
1988, durante lavori di sbancamento eseguiti in località Braggia,
presso Ello, un comune pochi chilometri a ovest di Lecco, venne
alla luce una consistente quantità di reperti archeologici e tra
questi anche un
grosso menhir risalente all'Eneolitico recente. Il
monolito, composto da roccia granitica e ricavato modellando un
masso erratico, presentava sul lato frontale tracce di levigatura
superficiale e alcuni petroglifi. La scena che vi è rappresentata
riproduce un disco completamente picchiettato, da cui emergono
verso il basso tre raggi, posto in mezzo ad altri due dischi
opachi: in parole povere, lo stesso simbolo riscontrato sulle
rocce camune.
Il simbolo è tracciato all'interno di un cerchio e
sotto è rappresentata una figura umana, rivolta a esso in
atteggiamento orante; accanto troviamo la rappresentazione della
lama di un'ascia sovrapposta a tre profonde incisioni e, sotto di
essa, una figura rettangolare frangiata. L'impressione è quella
di un uomo in atteggiamento di preghiera, rivolto verso un cielo
in cui campeggia il disco tricaudato in mezzo ad altri due: ciò
suggerisce già di per sé l'idea che l'oggetto simbolizzato fosse
visibile in alto, nel cielo, e quindi che fosse un oggetto
astronomico. Ma c'è di più. Il menhir, pur essendo coevo
ai Camuni, non appartiene a quella cultura; è perciò poco
probabile la propagazione dell'informazione relativa al simbolo
teomorfo dai Camuni alle popolazioni insediate tra i due rami del
Lago di Como. Se dunque la rappresentazione sul menhir di
Ello fosse indipendente da quelle trovate sulle steli e sui massi
camuno-valtellinesi, la spiccata similitudine tra i simboli
potrebbe forse trovare una spiegazione nella rappresentazione
simbolica di qualcosa di straordinario effettivamente osservato
nel cielo da uomini geograficamente lontani tra loro e dotati di
un bagaglio culturale differente. Essi furono testimoni dello
stesso evento: forse la comparsa di una cometa molto luminosa,
transitata in mezzo a due astri ben visibili a occhio nudo.
Scheda
autore
Adriano
Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio
Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente
svolge l'attività di system manager presso il
locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del
GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da
molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo
inaugurato l'applicazione di tecniche di
ricognizione e analisi computerizzata di siti
preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali
Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare
riferimento ai reperti risalenti alla cultura
celtica. |
|
|
|
Sommario |
L'astronomia
dei monaci irlandesi |
|