Ai nostri giorni l'Armenia è una piccola
nazione di circa 27.000 km2 situata all'estremità meridionale di
quella che fino a un paio d'anni fa veniva chiamata Unione
Sovietica. Nella Repubblica Armena, proclamatasi indipendente col
plebiscito del settembre 1991, vivono 4 milioni di persone mentre
altri 4 milioni di armeni, i cosiddetti armeni della diaspora,
sono sparsi per il mondo.
Secondo la
definizione degli stessi armeni, l'Armenia è tutta quella terra
da cui si può vedere il monte Ararat, la montagna sacra ove
secondo la tradizione sarebbero custoditi i resti dell'arca di Noè.
Poiché attualmente l'Ararat si trova in Turchia, è implicita in
questa definizione la rivendicazione di un vasto territorio
situato entro i confini turchi. Che il confine turco-armeno non
sia stato fissato con criteri etnico-geografici risulta chiaro a
chiunque visiti quelle terre. I confini tra nazioni diverse,
specialmente in regioni montuose, normalmente sono tracciati lungo
lo spartiacque o, più in generale, laddove asperità geografiche
hanno da un lato limitato le comunicazioni e dall'altro garantito
la difesa del territorio. Questo confine, invece, corre lungo il
fiume Araks, che nel punto in cui esso segna il confine con la
Turchia, non è che un modesto torrente al fondo di un'ampia
vallata. Il versante destro della vallata, in territorio turco, è
pressoché disabitato ed è sovrastato dalla gigantesca mole
dell'Ararat (5165 metri). La sponda sinistra del torrente si trova
invece entro l'attuale Repubblica Armena. Le più importanti e
popolose città, Yeravan e Kumairy (chiamata Leninakan fino a tre
anni fa), si trovano a pochi chilometri dal confine. Il contrasto
fra le due sponde risulta ancora più netto osservando la vallata
di notte dalle montagne circostanti o, in volo, da un aereo: metà
vallata risplende di una fìtta illuminazione che bruscamente
cessa al fondovalle per lasciare spazio all'oscurità totale. Per
decenni questo è stato uno dei confini più netti del nostro
pianeta, essendo il punto di contatto fra due Paesi di diversa
tradizione culturale, religiosa ed appartenenti a contrapposti
schieramenti politico-militari.
Per la sua collocazione geografica
l'Armenia è stata da sempre una terra di confine. Per questo essa
è stata vittima nel corso dei secoli di invasioni di tutti quei
popoli che si spostavano da Oriente ad Occidente, attraverso il
Medio Oriente e, da Nord a Sud, attraverso il Caucaso. Si sono così
succeduti gli Assiri, i Greci, i Persiani, gli Arabi, i Mongoli, i
Turchi e infine i Russi. Già nel quinto secolo lo storico e
filosofo armeno Movses Khorenatsi scriveva del suo popolo:
"Benché noi siamo una piccola nazione, poco numerosa, debole
e ripetutamente sotto il giogo della dominazione straniera,
nondimeno noi siamo orgogliosi dei nostri eroi e pensatori che
hanno scritto il loro nome nella cronaca del mondo". Da
allora sono passati altri 1500 anni di continue invasioni, stragi e
devastazioni. Tuttavia, anche nelle difficoltà, gli armeni hanno
mantenuto tenacemente la loro identità, sviluppato la loro
cultura e professato la religione cristiana, che hanno l'orgoglio
di essere stati i primi ad adottare come religione di stato, nel
IV secolo. Anche nei momenti più difficili hanno continuato ad
erigere chiese e monasteri, scritto le loro poesie con Narekatsi e
Kuchak, hanno studiato filosofia sui trattati di Khorenatsi,
medicina su quelli di Heratsi ed altri aspetti della storia
naturale sui lavori di Anania Shirakatsi. Tanto che Byron nel
secolo scorso scriveva: "La terra degli Armeni rimarrà
sempre fra le terre più ricche di meraviglie del mondo". Nel
vasto panorama della cultura armena un posto particolare è
riservato, fin dall'antichità, allo studio dei fenomeni celesti.
Gli altopiani del
Caucaso e dell'Anatolia orientale sono stati popolati sin
dall'alba della società umana. Le conoscenze astronomiche degli
abitanti di questi luoghi sono state oggetto degli studi di
eminenti studiosi quali Flammarion, Arago e Berry. Questi studi,
confermati da recenti ritrovamenti archeologici, sembrano
dimostrare che essi immaginassero la Terra di forma sferica,
avessero nozione dei moti del Sole e della Luna e dei cinque
pianeti brillanti, sapessero che la Luna è il corpo celeste più
vicino alla Terra e che non splende di luce propria. Inoltre, interpretavano
correttamente il fenomeno delle eclissi di Luna e di Sole. Nel
museo di storia dell'Armenia di Yerevan si può vedere un modello
di sistema geocentrico dell'Universo del X-IX secolo a.C. Alcuni
specialisti sostengono che gli abitanti degli altopiani armeni
praticavano la divisione della sfera celeste in costellazioni
molto tempo prima dei Greci e degli Egizi. Olcott, per esempio,
dall'analisi delle raffigurazioni contenute in antiche mappe del
cielo stellato, concluse che "con grande probabilità, i
popoli che divisero il cielo in costellazioni vivevano tra il 36°
e il 42° parallelo di latitudine nord" e, basandosi sulle
argomentazioni di Maunder circa l'identificazione della varie
costellazioni con animali, sostenne che la loro terra di origine
doveva essere il Medio Oriente o l'Armenia. Sempre secondo Maunder
la data indicativa di queste identificazioni risale al 2800 a.C.
Per questa ragione un grande interesse scientifico è stato
riservato in Armenia ai reperti archeologici del III millennio
a.C. Sulle incisioni rupestri trovate sul monte Gegama, non
lontano dal lago Sevan, sono raffigurate le stelle del Leone,
dello Scorpione e del Sagittario, così come erano visibili ad
occhio nudo. Le stelle sono rappresentate da un cerchio con un
punto al centro: il diametro del cerchio dipende dallo splendore
della stella.
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Petroglifi trovati a Syunik (Armenia Centrale)
risalenti ad un periodo compreso fra il V e il II millennio a.C.,
che rappresenterebbero alcune costellazioni
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Graffito
che raffigura un cerchio suddiviso in quattro parti
uguali. Su ognuno dei
quadranti è rappresentata una figura umana posata sull'arco di
circonferenza. Viene spontaneo associare la circonferenza con la
raffigurazione della Terra. Se così fosse, ne discenderebbe che
gli autori del disegno consideravano la Terra di forma sferica,
forse per analogia con la Luna. |
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Hanno
poi grande interesse i petroglifi rappresentanti varie forme di
calendari. Nella figura a lato è rappresentato un
calendario suddiviso in 12 mesi mentre nella figura
sottostante un'immagine circolare con 27 tratti brevi e 2 più lunghi,
ritrovata insieme ad altre figure di carattere astronomico. Gli
archeoastronomi hanno interpretato questa figura come un
calendario lunare. È noto infatti che il mese sinodico dura 29,5
giorni. Alla
latitudine dell'Armenia, la Luna è visibile per 27 giorni mentre
resta completamente nascosta nel bagliore del Sole per gli altri
due. Le due notti di invisibilità della Luna, ossia
le due notti più buie e piene di insidie, sarebbero state
evidenziate nel calendario con due tratti più lunghi.
In altre
immagini si può ritrovare la suddivisione dell'anno in 12 mesi. Nel Museo Nazionale di Storia dell'Armenia è
custodita una preziosa cinta bronzea ritrovata presso Sanahin
(nord Armenia). Essa faceva parte degli ornamenti di un sacerdote
vissuto a cavallo fra il II e il I millennio a.C. Studi effettuati
hanno dimostrato che essa veniva usata come calendario e
costituisce perciò una prova ulteriore della diffusione
dell'impiego di calendari da parte di popolazioni paleoarmene.
Di epoca più
antica è il complesso di piattaforme artificiali trovato su una
piccola collina a Metzamor, non lontano da Yerevan sulle quali
sono stati condotti studi archeoastronomici approfonditi. Per la
loro posizione, queste piattaforme erano punti privilegiati per
l'osservazione del cielo ed anche luoghi di culti.
Come in altri siti di interesse archeoastronomico si è
potuto datare il complesso con gli allineamenti di alcune
strutture particolari, che, infatti, si sono dimostrate essere dei
traguardi astronomici. In particolare, alcuni allineamenti
tracciati sul sorgere eliaco di Sirio, la stella più brillante
della volta celeste la cui levata eliaca rivestiva grande
importanza anche presso gli antichi Egizi, hanno permesso di
fissare per il complesso astronomico di Metzamor una data compresa
fra il 2800 e il 2600 a.C. Nella stessa zona si sono avuti vasti
ritrovamenti archeologici: si sono trovate abitazioni e forni che
hanno dimostrato che si trattava di un importante centro
metallurgico ancora abitato alla fine del III millennio a.C. Il
fatto che luoghi di culto sorgessero su siti di osservazione
astronomica non è sorprendente. Come in tutte le società
arcaiche, l'osservazione dei corpi celesti rivestiva un interesse
basilare, essendo uno strumento indispensabile per determinare le
date fondamentali, come solstizi, equinozi, ecc. che scandivano
l'alternarsi delle stagioni da cui dipendeva la vita stessa di
queste popolazioni. È evidente che le osservazioni venivano fatte
dalle persone che ricoprivano un ruolo preminente, ossia i
sacerdoti.
Lo sviluppo delle
scienze in maniera indipendente dalla religione si ebbe in Armenia
molto più tardi, come è documentato nei preziosi manoscritti
raccolti nella famosa biblioteca Matenadaran di Yerevan. In essa
sono archiviati circa la metà degli antichi manoscritti che
documentano la storia dell'Armenia: cronache e trattati filosofici
del V-VI secolo, traduzioni armene di Aristotele, Platone e Zenone
ed altre opere in greco, arabo, francese e tedesco. Tra essi sono
conservati i lavori del celebre scienziato del VII secolo Anania
Shirakatsi che fu astronomo, matematico, storico e filosofo.
Fu con lui che
l'astronomia cessò di essere uno strumento in mano ai sacerdoti e
assunse le vesti di una scienza vera e propria. Nei suoi trattati
Shirakatsi fa spesso riferimento ad altri scienziati, specialmente
ai grandi maestri greci, ma egli rivede criticamente le loro
teorie e le sviluppa con proprie idee. Egli riconosce la sfericità
della Terra, e quindi ipotizza l'esistenza degli antipodi, e
afferma che la Terra non è sostenuta da nulla e rimane sospesa
nell'aria per l'effetto combinato di due forze: quella di gravità,
che intendeva come una forza di caduta verso il basso, e la forza
turbolenta dei venti. Inoltre, ammette l'esistenza di un inizio e
di un termine sia della Terra che del cielo; sostiene che la luce
ha una velocità finita, molto più grande di quella del suono.
Shirakatsi nega validità all'astrologia e la considera mera
superstizione. La Via Lattea è la sede di un'infinità di deboli
stelle mentre la Luna è un corpo solido che non splende di luce
propria, ma riflette quella solare. Le macchie oscure sulla sua
superficie altro non sono che rugosità o depressioni. Partendo da
tali assunzioni interpreta correttamente le fasi lunari, le
eclissi, e correla le maree all'influenza di questo astro. Egli
arriva così alla conclusione che il Sole è molto più lontano
della Luna e molto più grande sia della Luna che della Terra.
Come conseguenza di tutto ciò egli codifica le regole per la
determinazione della latitudine media tramite la misura delle
ombre. Infine, Shirakatsi ci ha tramandato uno studio dettagliato
sul calendario del bizantino Andrias, il cui scritto originale non
è stato conservato.
Altri riferimenti
astronomici si possono trovare negli scritti del Matenadaran con
documentazioni di osservazioni di novae e supernovae che
mantengono ancor oggi interesse scientifico. Oggi noi sappiamo che
le esplosioni di supernovae rappresentano le fasi finali della
vita delle stelle e che esse rilasciano nel mezzo interstellare
una grandissima quantità di energia e di elementi pesanti
sintetizzati dalla stella nel corso della sua evoluzione; le novae,
pur essendo eventi meno energetici, sono però più frequenti e
sono di grande importanza per lo studio dell'evoluzione chimica
delle galassie e per lo studio della dinamica del mezzo
interstellare. Benché ormai vengano scoperte ogni anno alcune
decine di supernovae, si tratta pur sempre di oggetti di altri
sistemi galattici, e quindi molto distanti dalla Terra. La
frequenza di esplosioni stimata per la Galassia è di circa una
supernova ogni 50 anni. Tuttavia, a causa del forte assorbimento
interstellare, non si scoprono supernovae galattiche da oltre
quattro secoli. Una
forma indiretta di informazione
su questi oggetti si può ottenere dallo studio dei resti
gassosi di una supernova (SNR), che si possono studiare a
frequenze radio, ossia laddove l'assorbimento interstellare gioca
un ruolo trascurabile. Tuttavia, anche per lo studio
dell'evoluzione dei SNR sarebbe utilissimo conoscere esattamente
le caratteristiche osservative delle supernovae da cui essi hanno
tratto origine.
Samvel Anetsi
(XII secolo) racconta che nel
periodo marzo-aprile del 716 del calendario giuliano, una stella
straordinariamente luminosa fu osservata nel cielo dell'Armenia
per tre giorni (ovviamente ad occhio nudo). Secondo
l'archeoastronomo Badalian la descrizione di Anetsi si riferisce
all'apparizione di una nova, mentre secondo gli astronomi
Parsamian e Barsegian dell'Osservatorio di Byurakan, l'oggetto in
questione è più verosimilmente una supernova. Sfortunatamente la
cronaca di Anetsi, benché dettagliata in altri aspetti, non
menziona la posizione precisa dell'oggetto sulla sfera celeste ed
è quindi impossibile cercare oggi coi nostri radiotelescopi il
resto di quell'esplosione. Nessuna altra cronaca dell'epoca
riporta l'avvistamento di questo oggetto presso altri popoli.
La veridicità dei
resoconti di Anetsi è supportata dal fatto che un altro suo
riferimento astronomico, la scoperta di due altre "stelle
nuove" nell'anno 762, è confermato da Mkitar Ayrivantsi (XIII
secolo). In altri tre
manoscritti del Matenadaran, i numeri 1486, 1717 e 1869,
rispettivamente di Anetsi, Matevos Urayetsi (XII secolo) e Smbat
Sparapet (XIII secolo), vengono menzionate osservazioni di
"stelle infuocate" in Armenia. Tutti e tre gli autori
descrivono l'esplosione della famosa supernova del 1006 nella
costellazione del Lupo, per la quale si trovano citazioni anche in
cronache arabe, europee, giapponesi e cinesi.
Ancora più
dettagliata è la descrizione fatta da Hetum Patmich (XIII sec.)
della supernova apparsa nel Toro nel 1054. Secondo Patmich, la
"stella nuova" fu osservata in Armenia alla metà del
mese di maggio. La stessa stella era stata avvistata un paio di
settimane prima degli astronomi giapponesi e fu osservata per 23
giorni a partire dal 4 luglio, dai cinesi.
Astronomia
moderna
Per il susseguirsi
delle invasioni, vari gruppi di armeni furono costretti a lasciare
i luoghi di origine ed a recarsi all'estero dove costituirono
delle colonie in cui la cultura armena si è potuta esprimere
liberamente mantenendo salde le caratteristiche nazionali. Anche
se altre comunità furono numericamente molto più consistenti, la
più significativa e ricca dal punto di vista culturale è stata
senza dubbio quella di Venezia. I primi contatti degli armeni con
la Serenissima si possono far risalire ai primi anni della città,
tuttavia una documentazione certa della presenza di un nucleo
armeno a Venezia risale solo al XIV secolo. A Venezia fu stampato
nel 1511 il primo testo in lingua armena e, a partire dal 1717, fu
stabilita dall'abate Mechitar la Congregazione dei Padri Armeni
sull'isola di San Lazzaro, donata dalla città lagunare. Presso
questa attiva comunità si è potuto consolidare il sentimento
nazionale armeno ed è iniziato il rinascimento culturale armeno
del XVIII e XIX secolo.
Assieme
alle varie attività cultuali sviluppatesi presso i Mechitaristi,
merita il nostro interesse lo studio di Astronomia di Khoren
Sinanian. Questi, autore di molte pubblicazioni astronomiche in
lingua italiana sulla composizione chimica dell'atmosfera
terrestre, sulla luce zodiacale, sul Sole e sulle macchie solari,
installò nell'isola di San Lazzaro un piccolo telescopio,
fondando così quello che può essere considerato il primo
Osservatorio astronomico armeno moderno. Assai interessante è la
vicenda, di cui Sinanian fu protagonista, relativa alla scoperta
del sesto satellite di Giove. Nel 1894, nel corso delle sue
osservazioni condotte da San Lazzaro, Sinanian vide questo
satellite. Prontamente si mise in contatto con Padre Denza,
direttore della Specola Vaticana, per comunicargli la sua
scoperta. Alcuni giorni dopo, però, ottenne da questi una
disarmante risposta: gli studi teorici escludevano la possibilità
dell'esistenza di un sesto satellite, che avrebbe perturbato la
stabilità del sistema satellitario già noto. Quello che Sinanian
aveva visto non poteva essere un nuovo satellite. Dieci anni dopo
il sesto satellite di Giove veniva riscoperto dall'americano
Perain. La storia di questa scoperta venne ripresa all'epoca anche
dal giornale La Difesa di Venezia.
Sinanian
produsse altri interessanti lavori scientifici. Si interessò del
periodo di rotazione dei pianeti, arrivando a risultati in accordo
con quelli di Schiaparelli, e cercò di estendere queste sue
conclusioni alla rotazione di Sirio. Partendo da una
determinazione della velocità di rivoluzione della Terra attorno
al Sole cercò di risalire alla distanza Terra-Sole, ma a causa
dei dati in suo possesso arrivò a dei valori poco precisi. Allo
stesso proposito cercò di raffinare il famoso metodo di Aristarco
da Samo. Quando la Luna è al primo o all'ultimo quarto,
Terra, Luna e Sole si trovano ai vertici di un triangolo
rettangolo del quale la Luna occupa l'angolo retto. Dalla misura
dell'angolo Luna-Terra-Sole si può allora facilmente risalire al
rapporto delle distanze Terra-Luna e Terra-Sole. La difficoltà
del metodo risiede nella misura degli angoli e nella precisa
determinazione dell'istante di quadratura. I risultati di Sinanian
benché molto più precisi di quelli di Aristarco, risentivano
ancora fortemente delle indeterminazioni intrinseche in quelle
misure.
Fra gli altri
astronomi che lavoravano a San Lazzaro va citato padre Ovsepian
che si interessò principalmente di astrometria e legò il suo
nome alle osservazioni della famosa cometa di Halley.
Siamo così giunti
al XX secolo, in cui l'astronomia armena è dominata dalla figura
di Victor Ambartsumian, uno dei padri dell'astrofìsica moderna e
fondatore dell'Osservatorio Astrofisico di Byurakan,
un'istituzione che forse, più di altre, ha dato prestigio
internazionale alla comunità scientifica armena. Ma questa è una
storia che racconteremo in un'altra occasione.
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Scheda
autori
Artashes
Petrosian. Nato a Yerevan (Armenia) nel 1952, dirige uno dei dipartimenti
dell'Osservatorio di Byurakan. Ha lavorato allo Space Telescope
Se/enee Institute di Battimerà e presso molti altri centri di
ricerca, tra i quali l'Osservatorio di Padova. Si interessa di
galassie attive e con intensa formazione stellare.
Massimo
Turatto. E'
nato a Padova nel 1957. Dal 1987 è ricercatore presso
l'Osservatorio di Padova. Si dedica principalmente allo studio
delle supernovae ed è coinvolto nei programmi a lungo termine
dell'ESO.
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