L’astronomia nella tradizione culturale armena

 di Artashes Petrosian e Massimo Turatto

l'Astronomia n. 133 (giugno 1993) pp. 22-27

 

Ai nostri giorni l'Armenia è una piccola nazione di circa 27.000 km2 situata all'estremità meridionale di quella che fino a un paio d'anni fa veniva chiamata Unione Sovietica. Nella Repubblica Armena, proclamatasi indipendente col plebiscito del settembre 1991, vivono 4 milioni di persone mentre altri 4 milioni di armeni, i cosiddetti armeni della diaspora, sono sparsi per il mondo.

Secondo la definizione degli stessi armeni, l'Armenia è tutta quella terra da cui si può vedere il monte Ararat, la montagna sacra ove secondo la tradizione sarebbero custoditi i resti dell'arca di Noè. Poiché attualmente l'Ararat si trova in Turchia, è implicita in questa definizione la rivendicazione di un vasto territorio situato entro i confini turchi. Che il confine turco-armeno non sia stato fissato con criteri etnico-geografici risulta chiaro a chiunque visiti quelle terre. I confini tra nazioni diverse, specialmente in regioni montuose, normalmente sono tracciati lungo lo spartiacque o, più in generale, laddove asperità geografiche hanno da un lato limitato le comunicazioni e dall'altro garantito la difesa del territorio. Questo confine, invece, corre lungo il fiume Araks, che nel punto in cui esso segna il confine con la Turchia, non è che un modesto torrente al fondo di un'ampia vallata. Il versante destro della vallata, in territorio turco, è pressoché disabitato ed è sovrastato dalla gigantesca mole dell'Ararat (5165 metri). La sponda sinistra del torrente si trova invece entro l'attuale Repubblica Armena. Le più importanti e popolose città, Yeravan e Kumairy (chiamata Leninakan fino a tre anni fa), si trovano a pochi chilometri dal confine. Il contrasto fra le due sponde risulta ancora più netto osservando la vallata di notte dalle montagne circostanti o, in volo, da un aereo: metà vallata risplende di una fìtta illuminazione che bruscamente cessa al fondovalle per lasciare spazio all'oscurità totale. Per decenni questo è stato uno dei confini più netti del nostro pianeta, essendo il punto di contatto fra due Paesi di diversa tradizione culturale, religiosa ed appartenenti a contrapposti schieramenti politico-militari. 

Per la sua collocazione geografica l'Armenia è stata da sempre una terra di confine. Per questo essa è stata vittima nel corso dei secoli di invasioni di tutti quei popoli che si spostavano da Oriente ad Occidente, attraverso il Medio Oriente e, da Nord a Sud, attraverso il Caucaso. Si sono così succeduti gli Assiri, i Greci, i Persiani, gli Arabi, i Mongoli, i Turchi e infine i Russi. Già nel quinto secolo lo storico e filosofo armeno Movses Khorenatsi scriveva del suo popolo: "Benché noi siamo una piccola nazione, poco numerosa, debole e ripetutamente sotto il giogo della dominazione straniera, nondimeno noi siamo orgogliosi dei nostri eroi e pensatori che hanno scritto il loro nome nella cronaca del mondo". Da allora sono passati altri 1500 anni di continue invasioni, stragi e devastazioni. Tuttavia, anche nelle difficoltà, gli armeni hanno mantenuto tenacemente la loro identità, sviluppato la loro cultura e professato la religione cristiana, che hanno l'orgoglio di essere stati i primi ad adottare come religione di stato, nel IV secolo. Anche nei momenti più difficili hanno continuato ad erigere chiese e monasteri, scritto le loro poesie con Narekatsi e Kuchak, hanno studiato filosofia sui trattati di Khorenatsi, medicina su quelli di Heratsi ed altri aspetti della storia naturale sui lavori di Anania Shirakatsi. Tanto che Byron nel secolo scorso scriveva: "La terra degli Armeni rimarrà sempre fra le terre più ricche di meraviglie del mondo". Nel vasto panorama della cultura armena un posto particolare è riservato, fin dall'antichità, allo studio dei fenomeni celesti.

Gli altopiani del Caucaso e dell'Anatolia orientale sono stati popolati sin dall'alba della società umana. Le conoscenze astronomiche degli abitanti di questi luoghi sono state oggetto degli studi di eminenti studiosi quali Flammarion, Arago e Berry. Questi studi, confermati da recenti ritrovamenti archeologici, sembrano dimostrare che essi immaginassero la Terra di forma sferica, avessero nozione dei moti del Sole e della Luna e dei cinque pianeti brillanti, sapessero che la Luna è il corpo celeste più vicino alla Terra e  che non splende di luce propria. Inoltre, interpretavano correttamente il fenomeno delle eclissi di Luna e di Sole. Nel museo di storia dell'Armenia di Yerevan si può vedere un modello di sistema geocentrico dell'Universo del X-IX secolo a.C. Alcuni specialisti sostengono che gli abitanti degli altopiani armeni praticavano la divisione della sfera celeste in costellazioni molto tempo prima dei Greci e degli Egizi. Olcott, per esempio, dall'analisi delle raffigurazioni contenute in antiche mappe del cielo stellato, concluse che "con grande probabilità, i popoli che divisero il cielo in costellazioni vivevano tra il 36° e il 42° parallelo di latitudine nord" e, basandosi sulle argomentazioni di Maunder circa l'identificazione della varie costellazioni con animali, sostenne che la loro terra di origine doveva essere il Medio Oriente o l'Armenia. Sempre secondo Maunder la data indicativa di queste identificazioni risale al 2800 a.C. Per questa ragione un grande interesse scientifico è stato riservato in Armenia ai reperti archeologici del III millennio a.C. Sulle incisioni rupestri trovate sul monte Gegama, non lontano dal lago Sevan, sono raffigurate le stelle del Leone, dello Scorpione e del Sagittario, così come erano visibili ad occhio nudo. Le stelle sono rappresentate da un cerchio con un punto al centro: il diametro del cerchio dipende dallo splendore della stella.  

 

Petroglifi trovati a Syunik (Armenia Centrale) risalenti ad un periodo compreso fra il V e il II millennio a.C., che rappresenterebbero alcune costellazioni

Graffito che raffigura un cerchio suddiviso in quattro parti uguali. Su ognuno dei quadranti è rappresentata una figura umana posata sull'arco di circonferenza. Viene spontaneo associare la circonferenza con la raffigurazione della Terra. Se così fosse, ne discenderebbe che gli autori del disegno consideravano la Terra di forma sferica, forse per analogia con la Luna.

Hanno poi grande interesse i petroglifi rappresentanti varie forme di calendari. Nella figura a lato è rappresentato un calendario suddiviso in 12 mesi mentre nella figura sottostante un'immagine circolare con 27 tratti brevi e 2 più lunghi, ritrovata insieme ad altre figure di carattere astronomico. Gli archeoastronomi hanno interpretato questa figura come un calendario lunare. È noto infatti che il mese sinodico dura 29,5 giorni. Alla latitudine dell'Armenia, la Luna è visibile per 27 giorni mentre resta completamente nascosta nel bagliore del Sole per gli altri due. Le due notti di invisibilità della Luna, ossia le due notti più buie e piene di insidie, sarebbero state evidenziate nel calendario con due tratti più lunghi.

In altre immagini si può ritrovare la suddivisione dell'anno in 12 mesi. Nel Museo Nazionale di Storia dell'Armenia è custodita una preziosa cinta bronzea ritrovata presso Sanahin (nord Armenia). Essa faceva parte degli ornamenti di un sacerdote vissuto a cavallo fra il II e il I millennio a.C. Studi effettuati hanno dimostrato che essa veniva usata come calendario e costituisce perciò una prova ulteriore della diffusione dell'impiego di calendari da parte di popolazioni paleoarmene. Di epoca più antica è il complesso di piattaforme artificiali trovato su una piccola collina a Metzamor, non lontano da Yerevan sulle quali sono stati condotti studi archeoastronomici approfonditi. Per la loro posizione, queste piattaforme erano punti privilegiati per l'osservazione del cielo ed anche luoghi di culti.

Come in altri siti di interesse archeoastronomico si è potuto datare il complesso con gli allineamenti di alcune strutture particolari, che, infatti, si sono dimostrate essere dei traguardi astronomici. In particolare, alcuni allineamenti tracciati sul sorgere eliaco di Sirio, la stella più brillante della volta celeste la cui levata eliaca rivestiva grande importanza anche presso gli antichi Egizi, hanno permesso di fissare per il complesso astronomico di Metzamor una data compresa fra il 2800 e il 2600 a.C. Nella stessa zona si sono avuti vasti ritrovamenti archeologici: si sono trovate abitazioni e forni che hanno dimostrato che si trattava di un importante centro metallurgico ancora abitato alla fine del III millennio a.C. Il fatto che luoghi di culto sorgessero su siti di osservazione astronomica non è sorprendente. Come in tutte le società arcaiche, l'osservazione dei corpi celesti rivestiva un interesse basilare, essendo uno strumento indispensabile per determinare le date fondamentali, come solstizi, equinozi, ecc. che scandivano l'alternarsi delle stagioni da cui dipendeva la vita stessa di queste popolazioni. È evidente che le osservazioni venivano fatte dalle persone che ricoprivano un ruolo preminente, ossia i sacerdoti.

Lo sviluppo delle scienze in maniera indipendente dalla religione si ebbe in Armenia molto più tardi, come è documentato nei preziosi manoscritti raccolti nella famosa biblioteca Matenadaran di Yerevan. In essa sono archiviati circa la metà degli antichi manoscritti che documentano la storia dell'Armenia: cronache e trattati filosofici del V-VI secolo, traduzioni armene di Aristotele, Platone e Zenone ed altre opere in greco, arabo, francese e tedesco. Tra essi sono conservati i lavori del celebre scienziato del VII secolo Anania Shirakatsi che fu astronomo, matematico, storico e filosofo. Fu con lui che l'astronomia cessò di essere uno strumento in mano ai sacerdoti e assunse le vesti di una scienza vera e propria. Nei suoi trattati Shirakatsi fa spesso riferimento ad altri scienziati, specialmente ai grandi maestri greci, ma egli rivede criticamente le loro teorie e le sviluppa con proprie idee. Egli riconosce la sfericità della Terra, e quindi ipotizza l'esistenza degli antipodi, e afferma che la Terra non è sostenuta da nulla e rimane sospesa nell'aria per l'effetto combinato di due forze: quella di gravità, che intendeva come una forza di caduta verso il basso, e la forza turbolenta dei venti. Inoltre, ammette l'esistenza di un inizio e di un termine sia della Terra che del cielo; sostiene che la luce ha una velocità finita, molto più grande di quella del suono. Shirakatsi nega validità all'astrologia e la considera mera superstizione. La Via Lattea è la sede di un'infinità di deboli stelle mentre la Luna è un corpo solido che non splende di luce propria, ma riflette quella solare. Le macchie oscure sulla sua superficie altro non sono che rugosità o depressioni. Partendo da tali assunzioni interpreta correttamente le fasi lunari, le eclissi, e correla le maree all'influenza di questo astro. Egli arriva così alla conclusione che il Sole è molto più lontano della Luna e molto più grande sia della Luna che della Terra. Come conseguenza di tutto ciò egli codifica le regole per la determinazione della latitudine media tramite la misura delle ombre. Infine, Shirakatsi ci ha tramandato uno studio dettagliato sul calendario del bizantino Andrias, il cui scritto originale non è stato conservato.

Altri riferimenti astronomici si possono trovare negli scritti del Matenadaran con documentazioni di osservazioni di novae e supernovae che mantengono ancor oggi interesse scientifico. Oggi noi sappiamo che le esplosioni di supernovae rappresentano le fasi finali della vita delle stelle e che esse rilasciano nel mezzo interstellare una grandissima quantità di energia e di elementi pesanti sintetizzati dalla stella nel corso della sua evoluzione; le novae, pur essendo eventi meno energetici, sono però più frequenti e sono di grande importanza per lo studio dell'evoluzione chimica delle galassie e per lo studio della dinamica del mezzo interstellare. Benché ormai vengano scoperte ogni anno alcune decine di supernovae, si tratta pur sempre di oggetti di altri sistemi galattici, e quindi molto distanti dalla Terra. La frequenza di esplosioni stimata per la Galassia è di circa una supernova ogni 50 anni. Tuttavia, a causa del forte assorbimento interstellare, non si scoprono supernovae galattiche da oltre quattro secoli.  Una forma indiretta di informazione su questi oggetti si può ottenere dallo studio dei resti gassosi di una supernova (SNR), che si possono studiare a frequenze radio, ossia laddove l'assorbimento interstellare gioca un ruolo trascurabile. Tuttavia, anche per lo studio dell'evoluzione dei SNR sarebbe utilissimo conoscere esattamente le caratteristiche osservative delle supernovae da cui essi hanno tratto origine. 

Samvel Anetsi (XII secolo) racconta che nel periodo marzo-aprile del 716 del calendario giuliano, una stella straordinariamente luminosa fu osservata nel cielo dell'Armenia per tre giorni (ovviamente ad occhio nudo). Secondo l'archeoastronomo Badalian la descrizione di Anetsi si riferisce all'apparizione di una nova, mentre secondo gli astronomi Parsamian e Barsegian dell'Osservatorio di Byurakan, l'oggetto in questione è più verosimilmente una supernova. Sfortunatamente la cronaca di Anetsi, benché dettagliata in altri aspetti, non menziona la posizione precisa dell'oggetto sulla sfera celeste ed è quindi impossibile cercare oggi coi nostri radiotelescopi il resto di quell'esplosione. Nessuna altra cronaca dell'epoca riporta l'avvistamento di questo oggetto presso altri popoli.

La veridicità dei resoconti di Anetsi è supportata dal fatto che un altro suo riferimento astronomico, la scoperta di due altre "stelle nuove" nell'anno 762, è confermato da Mkitar Ayrivantsi (XIII secolo). In altri tre manoscritti del Matenadaran, i numeri 1486, 1717 e 1869, rispettivamente di Anetsi, Matevos Urayetsi (XII secolo) e Smbat Sparapet (XIII secolo), vengono menzionate osservazioni di "stelle infuocate" in Armenia. Tutti e tre gli autori descrivono l'esplosione della famosa supernova del 1006 nella costellazione del Lupo, per la quale si trovano citazioni anche in cronache arabe, europee, giapponesi e cinesi. 

Ancora più dettagliata è la descrizione fatta da Hetum Patmich (XIII sec.) della supernova apparsa nel Toro nel 1054. Secondo Patmich, la "stella nuova" fu osservata in Armenia alla metà del mese di maggio. La stessa stella era stata avvistata un paio di settimane prima degli astronomi giapponesi e fu osservata per 23 giorni a partire dal 4 luglio, dai cinesi.

 

Astronomia moderna

Per il susseguirsi delle invasioni, vari gruppi di armeni furono costretti a lasciare i luoghi di origine ed a recarsi all'estero dove costituirono delle colonie in cui la cultura armena si è potuta esprimere liberamente mantenendo salde le caratteristiche nazionali. Anche se altre comunità furono numericamente molto più consistenti, la più significativa e ricca dal punto di vista culturale è stata senza dubbio quella di Venezia. I primi contatti degli armeni con la Serenissima si possono far risalire ai primi anni della città, tuttavia una documentazione certa della presenza di un nucleo armeno a Venezia risale solo al XIV secolo. A Venezia fu stampato nel 1511 il primo testo in lingua armena e, a partire dal 1717, fu stabilita dall'abate Mechitar la Congregazione dei Padri Armeni sull'isola di San Lazzaro, donata dalla città lagunare. Presso questa attiva comunità si è potuto consolidare il sentimento nazionale armeno ed è iniziato il rinascimento culturale armeno del XVIII e XIX secolo.

Assieme alle varie attività cultuali sviluppatesi presso i Mechitaristi, merita il nostro interesse lo studio di Astronomia di Khoren Sinanian. Questi, autore di molte pubblicazioni astronomiche in lingua italiana sulla composizione chimica dell'atmosfera terrestre, sulla luce zodiacale, sul Sole e sulle macchie solari, installò nell'isola di San Lazzaro un piccolo telescopio, fondando così quello che può essere considerato il primo Osservatorio astronomico armeno moderno. Assai interessante è la vicenda, di cui Sinanian fu protagonista, relativa alla scoperta del sesto satellite di Giove. Nel 1894, nel corso delle sue osservazioni condotte da San Lazzaro, Sinanian vide questo satellite. Prontamente si mise in contatto con Padre Denza, direttore della Specola Vaticana, per comunicargli la sua scoperta. Alcuni giorni dopo, però, ottenne da questi una disarmante risposta: gli studi teorici escludevano la possibilità dell'esistenza di un sesto satellite, che avrebbe perturbato la stabilità del sistema satellitario già noto. Quello che Sinanian aveva visto non poteva essere un nuovo satellite. Dieci anni dopo il sesto satellite di Giove veniva riscoperto dall'americano Perain. La storia di questa scoperta venne ripresa all'epoca anche dal giornale La Difesa di Venezia.

Sinanian produsse altri interessanti lavori scientifici. Si interessò del periodo di rotazione dei pianeti, arrivando a risultati in accordo con quelli di Schiaparelli, e cercò di estendere queste sue conclusioni alla rotazione di Sirio. Partendo da una determinazione della velocità di rivoluzione della Terra attorno al Sole cercò di risalire alla distanza Terra-Sole, ma a causa dei dati in suo possesso arrivò a dei valori poco precisi. Allo stesso proposito cercò di raffinare il famoso metodo di Aristarco da Samo. Quando la Luna è al primo o all'ultimo quarto, Terra, Luna e Sole si trovano ai vertici di un triangolo rettangolo del quale la Luna occupa l'angolo retto. Dalla misura dell'angolo Luna-Terra-Sole si può allora facilmente risalire al rapporto delle distanze Terra-Luna e Terra-Sole. La difficoltà del metodo risiede nella misura degli angoli e nella precisa determinazione dell'istante di quadratura. I risultati di Sinanian benché molto più precisi di quelli di Aristarco, risentivano ancora fortemente delle indeterminazioni intrinseche in quelle misure.

Fra gli altri astronomi che lavoravano a San Lazzaro va citato padre Ovsepian che si interessò principalmente di astrometria e legò il suo nome alle osservazioni della famosa cometa di Halley.

Siamo così giunti al XX secolo, in cui l'astronomia armena è dominata dalla figura di Victor Ambartsumian, uno dei padri dell'astrofìsica moderna e fondatore dell'Osservatorio Astrofisico di Byurakan, un'istituzione che forse, più di altre, ha dato prestigio internazionale alla comunità scientifica armena. Ma questa è una storia che racconteremo in un'altra occasione.

 

   

Scheda autori

Artashes Petrosian. Nato a Yerevan (Armenia) nel 1952, dirige uno dei dipartimenti dell'Osservatorio di Byurakan. Ha lavorato allo Space Telescope Se/enee Institute di Battimerà e presso molti altri centri di ricerca, tra i quali l'Osservatorio di Padova. Si interessa di galassie attive e con intensa formazione stellare.

Massimo Turatto. E' nato a Padova nel 1957. Dal 1987 è ricercatore presso l'Osservatorio di Padova. Si dedica principalmente allo studio delle supernovae ed è coinvolto nei programmi a lungo termine dell'ESO.

 

 


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