Ricostruzione
storico-teatrale di un duello tipico del 1848
Sceneggiatura di
Enrico Borsini*
Edizione 2009 (foto
di Lisiana Bacchetta)
Edizione 2009 (foto
di Lisiana Bacchetta)
Edizione 2009 (foto
di Lisiana Bacchetta)
La tendenza a dirimere le
questioni d’onore con l’uso delle armi non risultava certo
sconosciuta tra le classi popolari ma, per le sue ascendenze
cavalleresche e nobiliari, il ricorso al duello era diffuso
soprattutto nell’alta società. Le motivazioni per scontrarsi con
un antagonista erano numerose: una donna, un’offesa, dei dissidi
politici, dei contrasti per questioni d’affari, dei risentimenti
tra clan familiari… e le occasioni non mancavano di certo.
In questo caso tutto sembra nascere dalla passione politica. Al
termine della premiazione per la tradizionale contesa del Bue,
in piena piazza, scoppia un’accesa discussione tra vari
gentiluomini. Il rampollo di una importante famiglia locale,
noto tanto per il suo sangue caldo quanto per il suo acceso
tradizionalismo, di stampo aristocratico e clericale, ha
accusato pubblicamente un conosciuto esponente dell’ala
neoguelfa, facente capo all’abate Vincenzo Gioberti, di essere
in realtà un giacobino ed un repubblicano travestito.
Gli entusiasmi sorti con l’elezione di Pio IX, nel 1846, e la
feconda stagione di riformismo moderato, che ha portato alla
promulgazione di Carte Costituzionali d’impronta liberale in
quasi tutti i regni della penisola, sono oramai un ricordo
lontano. Lo scoppio della grande rivoluzione in gran parte d’
Europa, all’inizio di questo 1848, ed il controverso
comportamento del Vaticano nella guerra patriottica contro
l’Austria, hanno acceso gli animi e rafforzato gli odi politici.
L’allocuzione pacifista con cui Pio IX , ritirandosi di colpo
dalla coalizione anti-austriaca, ha spinto gli altri monarchi ad
abbandonare il Piemonte al proprio destino ed a dare il via alla
reazione conservatrice, ha rappresentato un vero terremoto
politico. A Roma, i malumori popolari per quello che è sembrato
un tradimento verso la patria e l’intero popolo italiano, stanno
dando nuovo vigore alle teorie repubblicane. E’ chiaro,
pertanto, che i conservatori più reazionari abbiano paura e
bollino come mazziniano e cospiratore chiunque osi criticare la
politica papale, anche se si tratta di un aristocratico
cattolico e moderato.
Ecco, così, che accade l’inevitabile. L’accusa di tradimento è
troppo grave per non essere lavata col sangue, ne va del proprio
onore. Nell’attenzione generale della piazza, appena dissimulata
di fronte ai due litiganti, l’offeso lancia il guanto di sfida e
l’avversario accetta con apparente spavalderia. Il dado è
tratto: ora non resta che seguire alla lettera tutti i passi
dettati dal protocollo e dalla tradizione.
Seguendo la prassi che regola queste fasi, difatti, i due si
affrettano a scegliere, tra i loro amici e conoscenti, coloro
che fungeranno da padrini. Preferibilmente gentiluomini di
chiara fama, tali da meritare il rispetto e la fiducia di tutti
i contendenti, costoro hanno un ruolo assai importante perché,
insieme al direttore di scontro, rappresentano gli organizzatori
e gli arbitri del duello.
Ecco che quelli dello sfidante, muniti di mandato scritto, si
presentano dallo sfidato per prendere contatto con i suoi
secondi e poter definire con questi ultimi un rituale ed un
regolamento più dettagliato possibile.
In effetti, nonostante i numerosi manuali in circolazione, il
codice di norme sull’argomento risultava assai variegato da zona
a zona e per lo più tramandato in forma orale, tanto che
sappiamo di duelli finiti in scontri collettivi tra i padrini,
proprio per le diverse interpretazioni delle regole. Ad ogni
modo, nonostante oramai si faccia molta fatica a capire
esattamente come si svolgessero i singoli scontri, le regole
fondamentali erano note e generalmente condivise, per cui
lasciamo i nostri padrini mentre stabiliscono il luogo, l’ora,
il tipo di arma, il nome del direttore ed altro ancora, e
seguiamo invece come i nostri duellanti e l’intera cittadinanza
si preparano all’evento.
La notizia, correndo di bocca in bocca, ha velocemente fatto il
giro di vicoli e piazze, ed ecco sopraggiungere i familiari
dello sfidante. Il padre, nonostante la parentela con influenti
famiglie dell’aristocrazia romana, è stato sospettato di aver
avuto trascorsi carbonari e di aver appoggiato i moti del 1831,
anche se di certo c’è stato solo il suo plauso per le tesi
cattolico-liberali espresse dal Rosmini ne Le Cinque Piaghe
della Chiesa e da Gioberti nel Primato morale e civile degli
italiani del 1843.
In pubblico, pertanto, non può che dissimulare la propria ansia
per sostenere con una certa solennità le ragioni e le scelte del
figlio. Anche la madre tenta di mostrarsi serena e fiduciosa, ma
trattiene a stento le lacrime e, dopo aver abbracciato
teneramente il proprio primogenito, si arrende alla
disperazione, piangendo senza ritegno sino ad accusare un
leggero malore, mentre viene sorretta e confortata da vari
astanti. Giunge anche la famiglia dello sfidato, composta dal
padre, un fratello più piccolo, una zia nubile che si è occupata
dei ragazzi dopo la morte della madre, e da ben quattro sorelle.
Mentre le più piccole fanno allegramente ressa intorno al
congiunto, del tutto inconsapevoli di quanto stia per accadere,
il capofamiglia, con fare altero ed un evidente contegno di
sfida, s’avvicina al padre dell’ offeso, lo saluta togliendosi
il cappello, fissa tutti, a lungo, con sguardo impenetrabile, e
solo dopo si reca dal figlio.
Da sempre fiero rappresentante di un circolo aristocratico
restauratore ed a sua volta consanguineo di alcuni dei più bei
nomi della nobiltà nera capitolina, è un’ acceso assertore
dell’uso della forza contro ogni tipo di rivendicazione
democratica, patriottica e popolare, e condivide pienamente la
boria altezzosa e l’aggressività autoritaristica del figlio. Si
sa anche che in gioventù è stato, ed è ancora un grande
tiratore, si mormora che abbia ucciso ben tre uomini in duello e
che ne abbia feriti altri quattro, ragion per cui i suoi
consigli saranno preziosi al suo terzogenito, che invece si
trova alla sua prima prova del fuoco.
Nelle Marche pontificie di metà ottocento, naturalmente, il
duello è proibito e considerato reato. Anche se pochi tengono in
conto tale legge, questo fatto dovrebbe spingere tutti se non
all’omertà quanto meno ad una certa cautela nel diffondere la
notizia, ma si sa “la cinta muraria è piccola e la gente
mormora”, ragion per cui non ci stupisce affatto l’apparire in
scena delle guardie civiche.
Il maresciallo, con fare reverente e di bonario rimprovero,
avvicina i gruppetti dei due avversari e poi quelli degli altri
astanti, già sapendo che otterrà solo risposte evasive e false
rassicurazioni. Da uomo di mondo è perfettamente consapevole di
ciò che sta per accadere, sa che difficilmente le sue
raccomandazioni e le sue minacce impediranno lo svolgersi del
duello: le due famiglie coinvolte sono troppo in vista per far
valere la propria autorità di semplice poliziotto ed inoltre,
nel più profondo del suo cuore, condivide anche lui la mentalità
dei suoi concittadini. Ciononostante quale rappresentante della
legge deve tentare di impedire lo scontro. Pertanto si muove con
molta cautela, apparentemente rassegnato a subire il naturale
evolversi degli eventi, ben sapendo che solo irrompendo
all’improvviso sul luogo del misfatto potrà evitare che ci
scappi il morto. Meglio quindi allontanarsi, fingendo di darsi
per vinto, ed andar in cerca di notizie certe tra i suoi
numerosi informatori.
Nel frattempo i padrini hanno potuto rimettersi al lavoro, anche
perché è giunto infine colui che è stato designato quale
direttore, cerimoniere e giudice del duello. Sono così arrivati
ad un accordo di massima sulle modalità con cui esso dovrà
svolgersi e si affrettano a riferire il tutto ai loro assistiti
per ottenerne il benestare e quindi sancire con la firma di un
dettagliatissimo verbale, l’approvazione definitiva.
Per sviare i controlli della gendarmeria la singolar tenzone non
avverrà all’alba di qualche giorno seguente, ma in giornata,
all’ave Maria, quando la luce è ancora sufficiente. Gli sfidanti
inoltre non si incontreranno fuori le mura cittadine, secondo
tradizione, ma presso la piazza a pochi metri da qui. Lo scontro
non si terrà alla sciabola né alla spada, poiché l’offesa non è
stata giudicata né lieve né grave, ma gravissima. Si
utilizzeranno armi da fuoco, da una distanza di venti passi,
eventualmente diminuibili fino a dieci; non di più, poiché
altrimenti sarebbe considerato un assassinio. Visto poi che
l’affronto, con l’accusa di cospirazione e tradimento, è
risultato altamente infamante, non si sparerà a fuoco
simultaneo, ma a tiro alternato: circostanza che chiaramente
avvantaggia l’offeso.
Intanto, visto che la cerimonia di premiazione è terminata da un
pezzo e che non sembrano esserci altri sviluppi nella
situazione, la folla degli spettatori comincia a lasciare la
piazza, per recarsi a casa, alla solita passeggiata domenicale
lungo il corso cittadino e, in alcuni casi, per prepararsi al
duello e presentarsi con puntualità.
Mentre tutti stanno sciamando per le vie vicine, sopraggiunge,
trafelata ma dignitosa la moglie dello sfidante, seguita da una
balia con un bimbo tra le braccia. Dopo essersi ricomposta, la
signora si dirige verso il marito con grande signorilità,
passando lentamente in mezzo al gruppetto del suo avversario
senza degnare nessuno di uno sguardo, prende in braccio la sua
creaturina, la porge al padre perché la baci in fronte e la
benedica, poi appoggia per un attimo il capo sul petto del
coniuge e scambia con lui poche, intense parole, che è bene
rimangano segrete. Infine i due si allontanano insieme dalla
piazza per i preparativi del caso, seguiti in decoroso silenzio
dal resto della famiglia e dalla servitù. Noi, intanto,
continuiamo ad osservare il piccolo corteo al seguito dell’altro
duellante, mentre si avvia verso il luogo dell’appuntamento.
Ma ecco un ulteriore colpo di scena. All’ultimo momento
sopraggiunge, elegantissima e raggiante, la bella fidanzata
dello sfidato. La giovane sembra gradire molto il fatto di
attirare su di sé l’ attenzione e gli sguardi di tutti i
presenti e si reca dal proprio promesso con movenze molto
studiate, quasi teatrali, pavoneggiandosi con malcelato
compiacimento mondano per l’inattesa occasione d’ essere al
centro di una vicenda tanto emozionante. In fondo non dobbiamo
essere troppo severi con la poverina: a lungo nutrita di letture
e fantasie pseudo-romantiche, ha finalmente modo di sentirsi
l’intrepida eroina di un romanzo gotico e tutta presa dal suo
nuovo ruolo, vive questo evento come se fosse un’ avventura, non
riuscendo neppure a concepire che il suo principe azzurro,
l’uomo che ha accettato di sposare, possa correre seri pericoli
di morte.
Terminato anche quest’ultimo siparietto, non ci resta che
seguire i due e lo loro scorta mentre si incamminano, stavolta
senza interruzioni, verso il luogo stabilito, luogo ove potremo
finalmente assistere allo scontro finale. Giunti oramai nei
pressi dell’attuale biblioteca civica, incrociamo di nuovo
l’altro duellante, che era andato a cambiarsi d’abito. I colori
chiari, in effetti, offrono un punto di riferimento troppo
ghiotto alla mira dell’avversario e quindi ha preferito vestirsi
di scuro, com’è di prammatica.
Oramai tutto è pronto per lo scontro. Sono presenti i due
sfidanti, i rispettivi padrini, il giudice, un dottore
debitamente designato e persino un sacerdote, nonostante la
Chiesa abbia condannato da tempo, con la minaccia di scomunica,
coloro che fanno ricorso al duello d’onore. Ad ogni modo
entrambi i contendenti, da buoni cattolici, non rinunciano al
conforto della fede e si avvicinano al prelato per confessarsi,
così da purificare la propria anima e, nella peggiore delle
eventualità, da potersi presentare dinnanzi al giudizio divino
mondi da ogni peccato.
E qui accade un altro sgarbo da parte dello sfidato che, con
fare sprezzante, quasi a voler sottolineare una presunta
superiorità del suo blasone, o forse solo per innervosire
l’avversario, prende sotto braccio il religioso e si arroga un
diritto di precedenza nella confessione che assolutamente non
gli spetta. L’altro però non mostra di scomporsi affatto,
attende il suo turno con estremo sangue freddo e poi si avvicina
al chierico per prepararsi degnamente al momento della verità.
Terminato il rito religioso, il giudice chiama a sé padrini e
duellanti per un ultimo canonico tentativo di riconciliazione e,
constatato che nessuna delle parti in causa è disposta a
retrocedere dalle proprie posizioni, da il via ufficialmente al
rituale del duello, mostrando il cofanetto con le pistole da
estrarre a sorte.
Per questo genere di occasioni non si utilizzano normali armi da
fuoco ma dei veri e propri pezzi da collezione: capolavori di
artigianato artistico e di precisione balistica. Se ne trovano
di due tipologie fondamentali: francese ed inglese. La prima si
distingue per la raffinatezza, l’eleganza delle impugnature di
foggia classicamente rinascimentale, la canna rigata. La
seconda, dal canto suo, conferisce minor importanza all’estetica
per privilegiare la maneggevolezza, come dimostra il prevalere
della sgraziata quanto anatomica impugnatura detta "a manico di
sega" ed il ricciolo posto sotto il meccanismo di sparo, per
appoggiarvi il dito medio. Ad ogni buon conto tutte debbono
avere canna molto pesante, ottagonale, mirino e traguardo di
mira appena accennati, alzo non regolabile, grilletto unico,
impugnatura con superficie zigrinata, per impedire che l’arma
scivoli di mano a causa della tensione e del sudore, ed infine
esclusione di qualunque ornamento che possa scintillare e
disturbare la vista.
Quelle a disposizione dei nostri due avversari, sono due
gioielli di meccanica della famosa ditta Mortimer e, secondo
l’uso, sono state offerte da una persona estranea alla
questione, così da evitare ogni sospetto di manipolazione a
favore di uno dei contendenti. Ora che i padrini hanno terminato
il sorteggio e caricato le armi, tutto è pronto per l’epilogo
risolutivo.
L’atmosfera cambia di colpo, in un aura di tesa solennità. Il
pubblico vociante di coloro che sono venuti per assistere
all’evento si è fatto silenzioso ed immobile. Ma ecco
sopraggiungere nuovamente la moglie dello sfidante, che non ha
resistito alla tensione e - lasciato il figlioletto a casa - è
venuta a pregare per il suo uomo e ad osservare l’evento con
discrezione, fermandosi a debita distanza. Ella però tiene in
mano uno strano foglio di carta che invece non può passare
inosservato. Il marito abbandona per un attimo il terreno di
scontro, le si avvicina con passi decisi, prende il foglio, lo
piega, lo pone nel taschino, proprio sopra il cuore, le bacia
nuovamente la mano e ritorna sui suoi passi visibilmente
emozionato e come rinfrancato nel suo coraggio.
Si tratta della copia di una vecchia poesia che Alessandro
Manzoni aveva scritto tanti anni prima, per salutare le risorte
speranze patriottiche del nostro paese: una lirica intitolata
Marzo 1821, che il grande poeta italico ha potuto pubblicare
solo da pochi mesi, subito dopo le cinque giornate di Milano, e
che si è immediatamente trasformata nel manifesto ideologico e
sentimentale di tutti i liberali d’Italia.
Esso è talmente importante per il nostro contendente che costui
lo lascia tranquillamente campeggiare in bella vista nel
taschino della propria giacca, con evidente sprezzo del
pericolo, quando il regolamento prevede che persino il bavero
sia alzato, per non offrire appigli alla mira nemica.
L’ avversario allora, per dimostrare di non essere da meno, si
avvicina alla zia in lacrime e, afferrato un fazzoletto, se lo
pone platealmente nel taschino. Questo momento di alta tensione
emotiva, alla fine, viene interrotto dal direttore di scontro,
che rompe gli indugi e richiama tutti ai loro posti, ponendo gli
avversari l’uno di fronte all’altro. Com’è di prammatica i
padrini si salutano, e così fa lo sfidante ma l’altro,
continuando nel suo atteggiamento di superiorità e forse
indispettito dalla provocazione della poesia, non gli ricambia
il saluto, così come gli permette il regolamento.
E’ l’ora: i colpi sono in canna, le armi tenute puntate verso il
basso, vicino alla coscia, con il braccio allungato, poiché è
proibito, nonché poco funzionale ad una buona mira, tenere il
braccio piegato al gomito e la bocca della pistola rivolta verso
l’alto. Inizia il conteggio dei passi, i due raggiungono la loro
postazione e si voltano manca solo il comando di far fuoco,
quando avviene un nuovo colpo di scena.
Il giovane sfidato, come abbiamo già detto, è alla sua prima
esperienza del genere e, vinto dalla tensione, chiede un minuto
di tempo per ritrovare la calma. Se non dovesse farcela dovrebbe
subire l’umiliazione di far cadere la sfida o di farsi
sostituire da uno dei suoi padrini, ma è solo un attimo.
Rincuorato da un buon sorso di brandy e rifiutato risolutamente
il laudano offertogli dal dottore, riprende virilmente il suo
posto, pronto a battersi.
Fatto, lo sfidante ha approfittato del suo diritto di sparare
per primo ma ha mancato l’avversario. Ora sarà quest’ultimo a
fare fuoco, mentre l’altro si offre coraggiosamente come
bersaglio. Fuoco… mancato, anche questo colpo è andato a vuoto,
per cui si ricorre ad una seconda scarica di colpi, che avverrà
ad una distanza inferiore di tre passi ai venti inizialmente
previsti.
L’offeso fa fuoco per la seconda volta.. ma sbaglia di nuovo:
sebbene sia il più esperto dei due, o forse proprio per questo,
sta mirando solo agli arti, cercando di non uccidere ma solo di
ferire l’avversario, il quale però non sembra apprezzare il
gesto e, col nuovo colpo, lo colpisce - lui sì - proprio sotto
la spalla.
All’acuto urlo di dolore, fa seguito un cupo mormorio di
raccapriccio. Alcuni osservano il ferito, altri si voltano verso
la carrozza della moglie, che immobile, in piedi, s’è lasciata
sfuggire solo un gemito accorato; il dottore nel frattempo corre
per i primi soccorsi e fortunatamente fa subito un gesto
rassicurante: la ferita non è grave, poiché la palla non ha
colpito l’osso ed è fuoriuscita, oltrepassando il braccio da
parte a parte.
Lo sfidante a questo punto potrebbe ritirarsi, ha compiuto il
proprio dovere, è stato colpito ed il suo onore è salvo, quindi
potrebbe giudicare chiusa la questione, ritenendosi soddisfatto,
senza alcun timore di rimetterci la faccia. La ferità però
sembra aver risvegliato in lui il precedente furore e,
nonostante i consigli dei propri familiari, decide di continuare
il duello, alzando un braccio in direzione dalla consorte, per
rincuorarla e salutarla.
Dopo aver ricevuto le cure del caso, infine, si può passare al
terzo ed ultimo tiro previsto dagli accordi, naturalmente ad una
distanza inferiore di altri tre passi.
I due sono di nuovo in posizione… parte l’ ordine ….. fuoco!
Stavolta è veramente finita. Anche il secondo contendente giace
a terra ferito. Il più anziano non ha voluto rischiare di
fallire la sua ultima possibilità ed ha mirato al busto,
colpendo l’altro all’addome.
Si dovrà estrarre la pallottola con un intervento chirurgico, ma
la ferita non sembra aver intaccato alcun organo vitale, e
pertanto, per questa volta, il pericolo che ci scappasse il
morto sembra essere stato superato.
Il duello è concluso: i padrini stendono in fretta il verbale,
mentre il dottore presta le prime medicazioni d’urgenza. E
allora lasciamo così i protagonisti di questa storia,
accomiatandoci con un applauso e salutando con un sospiro di
sollievo il loro definitivo, seppur tardivo, atto di
riconciliazione.
Edizione 2010 (foto
di Lisiana Bacchetta)
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* Compagnia Teatro Liolà, Cingoli - La ricostruzione è
basata sui fatti storici dell'epoca e sui dati d'archivio per
quanto concerne le modalità del duello.
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