Del corteo storico fanno parte i rappresentanti dei vari ceti che componevano la società di quel periodo storico e grazie all'aiuto di bozzetti e disegni vediamo come si vestivano i nostri antenati.

Nel 1811, il Direttore Generale della Pubblica Istruzione, conte Giovanni Scopoli fece attuare, sull'esempio francese, una vasta indagine sui costumi e tradizioni delle popolazioni rurali nel Regno Italico. Dal Dipartimento del Musone (di cui faceva parte Cingoli), furono inviati 22 disegni all'acquarello, per opera del professor Filippo Spada, insegnante nel Liceo Napoleonico di Macerata, accompagnati dalla descrizione degli abiti.

Chi apparteneva ai ceti meno abbienti, era meno propenso, per vari motivi, a seguire la moda che veniva d'oltralpe, per questo molti degli indumenti raffigurati vennero adottati fino ai primi anni del Novecento.

 

 

 

Il capo della villa cingolana era uno degli abitanti principali, per censo e possidenza delle frazioni del nostro Comune.

Il corpetto o panciotto senza maniche era di panno rosso o giallo chiaro, mentre era di seta operata verdina o celeste per il giorno delle nozze. Il corpetto era corto e lasciava scoperta la camicia intorno alla vita che veniva avvolta da una fusciacca alta, lavorata a ferri a righe orizzontali di vario colore, quando ci si doveva recare in paese. La fusciacca di solito veniva regalata dalla promessa sposa al fidanzato, qualche giorno prima delle nozze e veniva ricambiato con un anellino d'argento o un fazzoletto a fiori per la testa.

I calzoni corti fino al ginocchio vennero sostituiti dai pantaloni probabilmente verso la metà dell'800, su consiglio dei sarti di città che cucivano l'abito delle nozze, occasione durante la quale il giovane sposo si faceva ammirare da tutti, vestito alla moda.

Copricapo comune a tutte le donne del popolo era la vettarella, tovagliolo bianco da testa il cui utilizzo appare negli inventari dotali del XV secolo sotto il nome di "pannicellus a capite" o "capitergium".

F. Barattanì (in "Rivista Marchigiana di Scienze lettere arti e industrie" Ancona 1872, anno I, fasc. XV) descrive cosi la vettarella nella zona di Cingoli: "Ecco le donne del contado co' riquadrati veleni in testa di bianco lino ornato di trine, colle cuffie ricadenti a frange sulla fronte, cogli orecchi carichi d'oro a triplici pendenti, vistose per lo scarlatto dei panni, per le varianti gonnelle e le stoffe degli aperti busti...".

Il "veletto" bianco veniva indossato nei giorni di festa ed occasioni importanti mentre nei giorni feriali si usava un semplice fazzoletto a fiori o colorato. Altro indumento caratteristico delle campagne marchigiane e di antica usanza era il guarnello. In "Costumi popolari italiani del primo ottocento" E. Calderini così lo descrive: "Le Marche hanno per loro caratteristica il guarnello, sottana di panno domestico che si portava sopra il sottanino bianco di cotone liscio, o pieghettato e sotto lo vera e propria sottana ampia, stretta allo vita, a grosse pieghe e a righe o fasce verticali variopinte". I colori andavano dal grigio cenere al marrone chiaro con due o più balze in fondo, di varia altezza, a colori vivaci, rosso o turchini alternati. Il guarnello come la veletta viene citato negli inventari dotali del XV secolo.

Se il modo di vestirsi delle popolane mutava lentamente, quello delle nobili e delle ricche borghesi durante l'Ottocento era un continuo alternarsi di flussi, dalle gonne prima strette poi ampie poi di nuovo strette, alle maniche che si accorciarono, si allungarono e si accorciarono di nuovo e così via.

Dal 1820 al 1870 si sviluppò lo stile Borghese, che seguì lo stile Impero: il punto vita si abbassa, le gonne e sottogonne si allargano in un tripudio di pieghe, balze, nastri, passanastri e increspature. Sopra le lunghe mutande ornate di pizzo, si portava una sottana di flanella, poi la sottoveste inamidata, ancora tre sottane di percalle (tessuto di cotone molto leggero) ed infine l'abito vero e proprio.

Le maniche presero le forme più strane: a "prosciutto", a "elefante", spalle, collo, seno si ricoprirono, mentre le scollature erano permesse solo negli abiti da sera. Indumento caratteristico fu la crinolina, dapprima sottoveste inamidata e foderata di crine di cavallo poi trasformata in cerchi di crine compresso, armature imbottite, finché non apparvero i cerchi d'acciaio che permisero di ridurre il numero di sottane.

Nell'Ottocento l'abbigliamento maschile era formato dalla redingote, dal frac, dal gilet e dai calzoni. La redingote, lunga fino a metà coscia, aveva le falde molto larghe e veniva indossata al mattino al posto del frac. Il gilet poteva essere di raso, di velluto o di seta ricamata con il collo a stola o con risvolti larghi, mentre la camicia era chiusa dalla cravatta fissata da uno o due spilloni con la capocchia in pietra preziosa.

La prova più ardua da superare per tutti fu la cravatta che poteva essere annodata in svariati modi. A Parigi il signor Stefano Demarelli aprì una scuola dove apprendere in sei ore l'arte di annodare la cravatta.

Dall'Italia fu lanciata la moda della mantella senza maniche con due tagli verticali per le braccia, colletto a due punte e chiusura a doppio petto. Questo modello sì ispirò ai carbonari e al costume dei protagonisti maschili delle opere di Verdi.

I calzoni erano lunghi e stretti con il sottopiede e di tessuto diverso da quello della giacca; l'abbottonatura passò dai fianchi al davanti solo nel 1850.

Il bastone di legno prezioso ed il pomello d'oro o d'argento cesellato, con all'interno il necessario per fumare, era un accessorio molto elegante del quale non si poteva proprio fare a meno (tratto dalla guida: "Cingoli 1848 dal 10 al 14 Agosto 2005 - XIX Rievocazione storica / III Palio del Bue", pp. 11-17).

 

 

Nobildonna (edizione 2015, foto di Pietro Cerioni)

 

 

Nobildonna (edizione 2015, foto di Pietro Cerioni)

 

 

Nobildonna (edizione 2015, foto di Pietro Cerioni)

 

 

Nobildonna (edizione 2015, foto di Pietro Cerioni)

 


 


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