Nel
corso dell' VIII sec. a.C. vennero stretti numerosi legami fra
alcune regioni italiane, in particolare quelle della fascia
costiera medio-tirrenica, e l'area del Mediterraneo orientale. Le
evidenze archeologiche documentano la formazione di un "ceto
aristocratico" che emerge grazie alla grande capacità di
accumulazione e di acquisto. La dislocazione di numerosi abitati
in posizione strategicamente favorevole lascia supporre che
tra le fonti di approvvigionamento della ricchezza figurasse anche
il ricorso a forme di prelievo, intese come pedaggi per il transito
lungo itinerari sottoposti a controllo (1). Gli esponenti di
questo nuovo ceto, designati come "principi-guerrieri",
sono noti soprattutto attraverso la documentazione funeraria. La
ricchezza e lo sfarzo, ben evidenti nei corredi funerari,
attestano che le eccedenze delle risorse venivano investite
nell'acquisizione di beni di prestigio allo scopo di imitare lo
stile di vita proprio delle corti orientali basato sul lusso e
sull'ostentazione (tryphe e habrosyne). In area
picena il processo di acculturazione si realizza principalmente
attraverso la mediazione dell'Etruria, senza escludere la
possibilità di altri apporti, via mare, provenienti direttamente
dall'alto Adriatico e dal Mediterraneo orientale (2). La
circolazione e l'importazione di oggetti esotici e il probabile
arrivo in area picena di artigiani greci ed etruschi hanno portato
alla formazione di un artigianato locale che, pur ispirandosi a
modelli stranieri, è capace di elaborare prodotti
originali.
La
suddivisione in classi di una società basata sulla ripartizione
dei mezzi di produzione, e che ha nel pater familias il
referente politico, si evince anche dalla presenza nei corredi
funerari di oggetti rituali che, evidenziando sempre più
un'evidente distinzione di immagine e diversificazione di
funzioni, esaltano progressivamente l'ideologia guerriera. Alcune
necropoli (Incrocca e Crocefisso a Matelica e Novilara) rivelano
inoltre una pianificazione dello spazio cimiteriale che presuppone
l'esistenza di un potere con funzione di programmazione che può
derivare esclusivamente da una forte coesione politica della
comunità (3). Le trasformazioni socio-economiche derivate dalla
concentrazione del potere politico ed economico nelle mani di un
ristretto ceto magnatizio hanno probabilmente comportato
l'abbandono dei centri più piccoli e l'accentramento della
popolazione nelle comunità maggiori o in realtà di nuova
fondazione, centri del potere politico e del controllo del
territorio (4).
I
caratteri dell'Orientalizzante piceno, che nella suddivisione
proposta da Delia Lollini corrisponde alla fase Piceno III, sono ben
documentati in numerose necropoli. Le tombe, ad inumazione
generalmente distesa, sono racchiuse entro circoli di pietre o
fossati anulari coperti da tumulo di terra. Tra il vasellame
fittile, accanto alle forme già note (kothon, kantharos
e ciotola decorata con costolatura serpentiforme), figurano nuovi
esemplari che spesso presentano una diffusione piuttosto
circoscritta e in alcuni casi limitata ad una sola necropoli; fra
essi, la coppa quadriansata su piede cavo più o meno alto, l'anforetta
biansata anche su piede e con alto collo decorato da solcature
orizzontali, il bicchiere con due anse verticali appaiate, l'olla
biansata globulare con breve collo svasato e il vasetto su tre
piedi. Nelle tombe orientalizzanti figurano il biconico, la
pisside con quattro anse ornate plasticamente e con coperchio con
presa plastica figurata, la grande olla decorata o da costolature
concentriche o da ciotolette sulla spalla o da figurazioni ad
incavo e i vasi dipinti subgeometrici importati dalla Puglia, tra
cui il cratere nelle due varianti con anse a bastoncello impostate
obliquamente sulle spalle (Novilara) e con anse a nastro verticali
sormontate da piattello (Fabriano) (5).
In
campo metallurgico, accanto ad oggetti di bronzo fuso a carattere
soprattutto ornamentale (braccialetti con la parte centrale
nastriforme e con le estremità a tondino; pendenti a bastoncello
con nodulo mediano, ad "A", a manina, a doppia croce, a
ruota dentata, a figurina umana, ecc.; pettorali a singola
piastrina ornata lateralmente da protomi ornitomorfe o sormontate
da una serie di figurine umane) figurano anche oggetti di bronzo
laminato (dischi con decorazione incisa o a sbalzo, geometrica o
figurata; elmo a calotta composita; cista "gruppo
Ancona"). In questa fase si generalizza anche l'impiego del
ferro per gli strumenti e le armi, tra cui i più rappresentati
sono l'ascia con immanicatura a cannone quadrangolare, la punta di
lancia con lama quasi sempre costolata e talora di grandi
dimensioni, la creagra e il coltellaccio. Le fibule, generalmente
di bronzo, sono documentate in numerosi tipi che trovano confronto
in altri contesti dell'Italia protostorica; fra esse, la fibula ad arco
serpeggiante a due o quattro coppie di cornetti laterali e con
nodulo fermapieghe; ad arco serpeggiante con due globetti ai lati dell'arco sia
con molla ad occhiello appiattito sia con tubetto al posto della molla,
in quest'ultimo caso anche con ardiglione bifido; a drago con antenne;
ad arco configurato ad animale; a piccola navicella con arco a losanga
più o meno incavato e con due bottoncini laterali; a grande navicella
romboidale e lunga staffa con bottone terminale, eccezionalmente
sostituito da testina umana o scimmiesca (Numana ed Osimo).
(6).
Di
seguito verranno prese in rassegna alcune delle più significative
sepolture dell'Orientalizzante piceno rinvenute nei territori di
Fabriano, Pitino di S.Severino Marche e Matelica.
L'Orientalizzante
di Fabriano
"...Non
esito dall'affermare che un corredo così grandioso non si è
finora rinvenuto in Italia. Esso supera quello delle tombe di
Vetulonia specialmente per il rinvenimento di carri per il
combattimento di cui uno con l'antyx e il diphros in
ferro ben conservati e il rivestimento di bronzo superiore a
quelli dello stesso periodo rinvenuti ad Olimpia. Per cui questo
scavo rappresenta, oggi, un grande avvenimento archeologico su cui
convergerà l'attenzione degli archeologi di tutto il
mondo..." (7). Così scriveva il Dall'Osso nel 1915 a
proposito della tomba del Tumulo 3 rinvenuta in località S. Maria
in Campo. In quest'area vennero individuate tre tombe coperte da
cumuli di ciottoli conservati per un'altezza media di m 0,70-1 di
forma circolare (tomba 2: diametro m 13,5) e ellittica (tomba 1:
m. 15,8 x 10,2).
Per lo straordinario corredo funebre merita
particolare attenzione la tomba numero 3; essa era coperta da un
cumulo di ciottoli fortemente danneggiato dai lavori agricoli e
per cui non fu possibile determinarne le dimensioni. La grande
fossa centrale misurava m 4 x 2,7 per una profondità di circa m
1,20. All'interno, il corredo era disposto lungo tutti i lati
della fossa, mentre lo spazio centrale era occupato da due carri
(un calesse e un currus) sistemati uno di fronte all'altro.
Al centro, probabilmente, doveva trovar posto anche la salma,
della quale furono rinvenute soltanto due falangette delle dita
dei piedi. La presenza, al di sotto del calesse, di
due fibule di ferro, tipici elementi di ornamento personale, sarebbe una
conferma di questa ipotesi (8).
L'alto rango del defunto si evince
dalla ricca panoplia composta prevalentemente da armi difensive in
bronzo. Fra esse, appoggiati obliquamente alle pareti della fossa,
vennero rinvenuti due scudi circolari (classificati da A. Geiger
come "tipo 2c") con decorazione stampigliata in fasce concentriche
con motivi figurati (umani e animali) e geometrici; sono privi di
maniglie e non presentano i fori per l'eventuale attacco, si
trattava probabilmente di esemplari per uso cerimoniale o
decorativo. A completare il corredo delle armi di difesa vi erano
due elmi in bronzo a calotta composita (riferibili alla
"Variante Fabriano" della classificazione di Egg), una
coppia di schinieri di tipo greco arcaico e un cinturone di lamina
bronzea con affibbiaglio a quattro anelli. Le armi di offesa
comprendevano due asce a cannone e due punte di lancia in
ferro, mentre al di fuori della fossa si rinvennero "sette
puntali in ferro e un frammento di spadone pure in ferro".
|
Kotylai d'argento, tomba del tumulo 3, Santa Maria
in Campo, Fabriano, VII-VI sec. a.C. (immagine
da: museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12141/) |
Nel corredo sono presenti anche tre oggetti in argento: due kotylai
e un affibbiaglio a pettine che probabilmente sono da ricondurre
alle produzioni di Caere. Anche il vasellame metallico comprende
degli esemplari di produzione etrusca, come le cinque patere
baccellate in bronzo (riferibili al "gruppo 5" della classificazione
di Howes Smith), il bacile con orlo perlato, le due situle
"tipo Kurd", un'oinochoe con orlo trilobato, l'askos
a botticella e un'anfora a corpo biconico in lamina decorato con fasce concentriche che alternano file di bersagli a
cerchi concentrici e sagome di felino. Di produzione locale
risultano invece le tre ciste di bronzo riferibili al "Gruppo
Ancona". Il corredo vascolare era completato da dieci vasi
biconici d'impasto e una situla troncoconica di bronzo con doppia
ansa mobile in associazione con il coperchio con presa a corolla.
|
Patera
baccellata, Santa Maria in Campo, Fabriano, VII-VI
sec. a.C. (immagine da: iris.unina.it/retrieve/handle/11588/729115/378216/78.%20Torre%20di%20Palme.pdf) |
Tra gli strumenti legati al banchetto e alla cottura delle carni
figuravano alcuni oggetti di ferro: due coppie di
alari, due creagre e alcuni frammenti di spiedi. Nella sepoltura
vennero rinvenuti anche un uovo di struzzo non decorato e cinque
frammenti di avorio intagliato di dubbia interpretazione. La
sepoltura, che può essere datata intorno alla metà del VII sec.
a.C., presenta delle evidenti affinità con le tombe principesche
etrusco-laziali; i rapporti non riguardano solo la ricezione degli
oggetti del corredo ma presentano affinità sul piano culturale e
ideologico, motivati dalle stesse esigenze di prestigio e di
distinzione sociale (9).
Significativa
risulta essere anche la tomba individuata al di sotto del Tumulo 1
che molto verosimilmente comprendeva due deposizioni al suo
interno, una maschile e l'altra femminile. E' tuttavia impossibile
stabilire se le due deposizioni fossero o meno sincrone e
collocate all'interno di una singola fossa. Lo stato frammentario
e lacunoso degli oggetti recuperati e l'assenza di informazioni
sul tipo di deposizione dimostrano che il Tumulo 1 era già stato
violato in antico (10).
All'abbigliamento
femminile sono riferibili le fibule in bronzo ad arco a globetto,
le fibule in ferro con arco ingrossato, le spirali coniche, il
disco in lamina di bronzo con decorazioni recanti felini, pesci e
uccelli, le catenelle in filo di bronzo alle quali erano appesi
dei pendenti in bronzo e avorio; completava il corredo una
fusaiola fittile (11).
La panoplia del guerriero era costituita da
uno schiniere sinistro di tipo greco arcaico, tre lance (di cui
due corte da getto e una da falange) e da uno scudo oplitico (12).
Lo scudo, che costituisce la più antica attestazione di tale arma
in Italia (13), è impreziosito nella parte centrale da tre coppie
di protomi animali (leoni, pantere e sfingi o grifi) in lamina
bronzea applicata e da una catena di palmette disposte lungo
l'orlo. Lo stile di alcuni particolari delle figure richiama il
repertorio della ceramica etrusco-corinzia e la megalografia
parietale (Tomba delle Pantere di Tarquinia) (14). Non è escluso
che l'adozione di tale armatura, che non sembra essere ricondotta
ad un uso cerimoniale o da parata, suggerisca un particolare ruolo
militare svolto dal suo possessore all'interno della comunità di
appartenenza (15).
Il corredo vascolare metallico è testimoniato
soltanto da tre estremità di anse mobili, ripiegate a collo d'oca
e applicate, sulle loro terminazioni, delle testine virili barbute
e cornute, appartenenti probabilmente ad una cista bronzea (16).
La sostanziale contemporaneità delle due sepolture potrebbero
evidenziare un rituale di seppellimento che tiene conto dei legami
fra i membri di famiglie nucleari (probabili coniugi) all'interno
del gruppo gentilizio egemone (17). La tomba può essere datata
tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C.
L'Orientalizzante
di Pitino di S. Severino Marche
Il
Monte Penna di Pitino, presso S. Severino Marche, domina da nord
in posizione naturalmente forte l'alta valle del Potenza che
costituisce uno dei percorsi trasversali più importanti nella
topografia storica delle Marche. La presenza, infatti, di numerosi
siti piceni, di varia natura e cronologia, dislocati lungo il
percorso fluviale confermano una prolungata utilizzazione
dell'itinerario nel corso del tempo.
Intorno
al 1930 venne individuata una prima sepoltura che, seppur
sconvolta dai lavori agricoli, restituì materiale (18)
sicuramente attribuibile ad un guerriero di alto rango. Fra e il
1952 e il 1983 vennero condotti degli scavi che portarono
all'individuazione di numerose tombe databili fra il terzo quarto
del VII sec. a.C. e l'inizio del VI sec. a.C. Le tombe a fossa, di
notevoli dimensioni, erano scavate a scarsa profondità nel
terreno, a una quota variabile fra 0,15 e 0,75 metri dall'attuale
piano di campagna. Il rinvenimento di blocchi di arenaria
all'interno del riempimento sommitale di alcune fosse lascia pensare alla presenza di segnacoli o steli che marcavano la
presenza delle sepolture (19). Le tombe sono disposte su più
ordini, probabilmente secondo un criterio di sviluppo topografico
che pare identificare in una tomba a tumulo, rinvenuta quasi alla
sommità del monte, un punto di riferimento centrale attorno al
quale sono disposte a ventaglio tutte le altre tombe. I dati che
si hanno a disposizione non permettono di stabilire se, come si
verifica spesso nello sviluppo topografico delle necropoli situati
lungo un pendio, l'occupazione abbia avuto inizio dall'alto per
poi espandersi verso il basso. Il tumulo, che per tipologia e
posizione appare come l'evidenza archeologica più rilevante, è
stato del tutto depredato per cui non si hanno informazioni sul
corredo e la datazione; la certezza che sia la sepoltura di un
eminente membro della comunità lascia ipotizzare che si
tratti del presunto capostipite della comunità stessa (20).
"Il
sepolcreto di Monte Penna restituisce l'immagine di una piccola
comunità di grande ricchezza, pur con tutte le limitazioni insite
nell'esame della documentazione archeologica di carattere
funerario, che è sempre fortemente condizionata dal filtro
dell'ideologia; in questo caso, inoltre, il ristretto numero di
sepolture scavate, tutte di gran fasto, fa pensare che le
sepolture di censo minore siano ubicate in un settore della
necropoli ancora non esplorato. Indicativo in tal senso il
particolare che tutte le sepolture maschili sinora note sono
dotate di carro a due ruote, con una concentrazione che al momento
non trova confronti nell'Italia preromana" (21). I corredi sono
caratterizzati da numerosi oggetti importati dall'Etruria mentre
tra le armi sono maggiormente rappresentate quelle difensive
(dischi-corazza, elmi e schinieri di produzione locale). I servizi
per la cottura e il consumo delle carni (spiedi, alari, coltelli,
asce) sembrano esclusivi delle deposizioni maschili (22).
Tra
le più antiche tombe della necropoli di Pitino figura la n. 17
caratterizzata da una fossa di grandi dimensioni (4 x 2 m)
rivestita di pietrame; la presenza di un aryballos
globulare-conico, di due kotylai e di un aryballos
piriforme, tutti di importazione protocorinzia, e di uno scudo
bronzeo da parata del "tipo 2b" della classificazione Geiger, di
importazione etrusca, consente di riferire la sepoltura a un
orizzonte di alta antichità (entro il terzo quarto del VII sec.
a.C.).
A maestranze italiche locali (23) sono state attribuite le
due coppie di dischi corazza, una con decorazione geometrica,
l'altra con motivi zoomorfi. Mentre la prima coppia di dischi
potrebbe essere di destinazione femminile, vista la presenza di
simili oggetti in corredi funebri di personaggi femminili, la
seconda coppia appare correlata in maniera evidente al corredo del
principe-guerriero del quale vengono
esplicati rango e virtus bellica (24). Le decorazioni di
quest'ultima coppia di dischi, di bronzo laminato, sbalzato e
inciso, sono delimitate da fasce concentriche, perlinatura
all'esterno e sequenza di denti di lupo incisi tra linee
concentriche all'interno.
Nel disco maggiore il campo centrale è
decorato con una scena a due figure umane e un animale fantastico
insieme ad un piccolo quadrupede. "Più che a una illusione al
culto della fertilità nella scena è stata vista l'espressione di
una violenta sopraffazione e prepotente aggressione con umiliante
sottomissione a sfondo sessuale del vinto. Alla presenza di un
personaggio maschile, nudo e itifallico, stante di profilo, un
mostro a doppio corpo di cavallo sodomizza un nemico abbattuto
capovolto, a gambe divaricate e a braccia aperte" (25). Nel disco
minore il tondo centrale è decorato da un mostruoso animale a
doppio corpo di cavallo con le teste divergenti verso l'esterno.
Completano il corredo della tomba i resti di un bastone in ferro
("scettro" ?) con decorazioni ageminate in bronzo, un
carro e ceramiche con forme decorate da motivi plastici zoomorfi.
Dischi
corazza, tomba
17, loc. Pitino, San Severino Marche (immagine da:
iris.unina.it/retrieve/handle/11588/729115/378216/78.%20Torre%20di%20Palme.pdf) |
Due
kotylai di importazione corinzia rinvenute all'interno di due anforette
picene, simili alla coppia di esemplari della tomba 17,
costituiscono un riferimento essenziale per datare la tomba n.
31. Del tipo a fossa (di m 2,75 x 1,75) la tomba n. 31 era ricolma dei materiali del corredo,
tutti ridotti in pessimo stato di conservazione. Il materiale era disposto
secondo un ordine ben preciso, analogo a quello di altre tombe
della necropoli; presso il lato corto occidentale erano collocati
due grandi dolii per derrate ed altri grandi contenitori, sul lato
opposto un carro, il cui timone si estendeva in origine sino a
raggiungere lo spazio tra i due dolii, dove vennero rinvenuti una
spada corta di tipo piceno e due morsi di cavallo. Nella restante
superficie della fossa il resto del corredo: stipati gli uni sugli
altri i vasi per il banchetto, quelli d'impasto disposti per lo
più al centro, quelli metallici presso i lati lunghi; al centro,
sul fondo, presso la ruota destra del carro le armi di offesa e di
difesa (26).
Più specificatamente, il corredo vascolare comprende
una coppia di olle decorate a costolature concentriche e circolari
(ad una delle quali può essere riferito un coperchio con presa ad olletta e con elementi plastici, forse ocherelle); quattro olle
biansate a corpo globulare; numerose anforette a fondo piano e
collo decorato da lievi costolature orizzontali; quattro kantharoi
a vasca profonda; due calici tetransati su alto piede costolato.
Accanto al vasellame ceramico figura anche un cospicuo gruppo di
recipienti in bronzo sia di produzione picena (cista frammentaria
del "tipo Ancona") sia di produzione etrusca (situla
tronco-conica del "tipo A2" della classificazione Giuliani Pomes e
due bacili ad orlo perlato). Ad integrazione del servizio per il
banchetto figurano anche una coppia di alari e cinque spiedi in
ferro.
Il rango del defunto trova conferma anche in altri
elementi; oltre al carro sono presenti anche due elementi in ferro
a terminazione globulare, uno rivestito in bronzo e l'altro
decorato da motivi ageminati che riproducono cavalli fortemente
stilizzati, identificabili come "bastoni del comando" e
una ricca panoplia di armi in ferro (spada corta di tipo piceno
con elsa a tre stami e fodero finestrato, tre lance, un'ascia con immanicatura a sezione quadrata) e in bronzo (due schinieri e un
elmo di bronzo a calotta composita di "tipo Fabriano"
caratterizzato da una raffinata decorazione, che orna la parte
inferiore della tesa, con un fregio di animali fantastici o reali
rappresentati stanti, in posizione araldica o in movimento) (27).
La tomba, grazie alla presenza delle
già citate kotylai viene datata negli ultimi decenni del VII secolo
a.C.
Per
la ricchezza e la varietà dei materiali conservati anche le tombe
n. 14 e 15 costituiscono un altro straordinario esempio che ben
qualifica il ruolo svolto da alcuni personaggi all'interno delle
comunità orientalizzanti. La posizione contigua e i ricchi
corredi pressoché coevi, pertinenti l'uno a un personaggio
maschile (tomba n. 14) e l'altro a uno femminile (tomba n. 15)
lasciano supporre che ci si trovi di fronte a una coppia coniugale
(28). Anche in questo caso non sono stati rinvenuti i resti
dei defunti che molto probabilmente venivano posti al di sopra del corredo.
La tomba n. 15 è connotata come femminile per la presenza di una
pisside eburnea intagliata con raffigurazioni di animali e uomini
e di un pettine, anch'esso di avorio. Piuttosto significativo si
presenta il corredo della tomba n. 14; esso è caratterizzato da
oggetti, provenienti dall'Etruria, di particolare rilevanza come
le appliques d'avorio, costituite da quattro piedi a zampa di
leone e quattro teste di animali (cavallo e grifo), pertinenti ad
uno scranno (una sorta di sella curule ?) realizzato in materiali
deperibili e non conservati.
Straordinario è un uovo di
struzzo finemente intagliato e inciso con decorazioni raffiguranti
animali ed esseri fantastici alati (leoni, tori, sfingi, grifoni)
tipici del bestiario orientalizzante; rivestito di lamina aurea il
guscio costituiva il corpo di un'oinochoe di tipo fenicio al quale
erano applicati l'ansa e l'orlo in avorio intagliato e rivestito
in lamina aurea. La bocca trilobata del vaso è costituita da un
viso femminile in avorio che stringe le mani intorno alle trecce
dei capelli. Il collo e il piede del vaso erano realizzati in
materiale organico deperibile. L'oggetto, datato tra la fine del
VII e gli inizi del VI sec. a.C., viene attribuito a maestranze
etrusche di Vulci con rimandi a modelli elaborati in ambiente
fenicio-cipriota (29).
A
sinistra: uovo di struzzo, tomba 14, loc. Pitino,
San Severino Marche (immagine da: pagina
facebook del "Museo Archeologico Nazionale delle
Marche", post del 7 aprile 2017). A destra:
uovo di struzzo, particolare, tomba 14, loc. Pitino,
San Severino Marche (immagine da: museoarcheologicomarche.wordpress.com/2014/09/18/loinochoe-di-pitino-di-san-severino-al-metropolitan-museum/) |
La presenza di quattro placche bronzee di
varie dimensioni, decorati da denti di lupo traforati, e numerose
lastrine in osso testimoniano l'originaria presenza di scrigni e
cofanetti in materiale deperibile. Il rango principesco del
defunto si evince anche dalla presenza dei resti di un carro in
ferro, di due scudi circolari da parata in bronzo (noti soltanto
dalle impronte lasciate sul terreno) del "tipo 3" di
Geiger e d'importazione etrusca e da due coppie di dischi corazza,
di produzione locale, l'una con decorazione geometrica e l'altra
con raffigurazioni di animali. Il vasellame di bronzo,
proveniente dall'Etruria, comprende una situla "tipo Kurd",
due bacili a orlo perlato del "tipo Brolio", due ciotole
emisferiche con anse applicate, due kotylai ombelicate, un
tripode e una coppa ionica in argento (30). Pertinente a una delle
due situle è un coperchio di bronzo laminato con eccezionale
decorazione plastica; di forma circolare a calotta riproduce
la danza armata e rituale di due coppie di guerrieri nudi, due
muniti di lancia e scudo e gli altri di arco e frecce, attorno ad
un "totem" centrale sormontato da protome umana inserita
tra quattro protomi di animale (lupo o cavallo ?) (31). Viene
attribuito a maestranze locali e datato tra la fine del VII e gli
inizi del VI sec. a.C. (32). Il corredo si completa con gli
oggetti tipici del banchetto e per la cottura delle carni: un
calderone di bronzo con sostegno in ferro, spiedi e tre coltelli
in ferro, uno dei quali con il manico in osso, e un mestolo di
bronzo per la somministrazione del vino.
L'orientalizzante
di Matelica
Il
territorio di Matelica appare caratterizzato, tra l'VIII e il VI
sec. a.C., da un modello di insediamento di tipo vicano con
abitati e necropoli disposti ad intervalli abbastanza regolari
tanto da far pensare ad una sorta di pianificazione territoriale.
Alla luce dei dati disponibili sembra inoltre che gli abitati
fossero privi di un qualsiasi apparato difensivo e ciò
attesterebbe un completo controllo del territorio circostante e
dei vicini passi appenninici (33). Le necropoli (in particolare
quelle di Crocefisso, Brecce e Cavalieri) testimoniano
chiaramente l'esistenza di
comunità floride e ricche che dovevano basare la loro prosperità
sulle risorse agricole e pastorali nonché sul controllo delle
direttrici commerciali sia verso le aree appenniniche sia verso
l'Adriatico. Sin dalla fine dell'VIII sec. a.C. compaiono
personaggi eminenti, sia maschili che femminili, i cui corredi si
distinguono per la ricchezza dei materiali e per valenze
simboliche particolari. Vengono qui presentati tre notevoli esempi di sepolture
orientalizzanti: la tomba di Villa Clara, la tomba n. 53 di
Brecce e la tomba n. 1 di Passo Gabella.
La
tomba di Villa Clara (34), individuata nel 1998 nell'area
condominiale di Via Rossini a Matelica, era originariamente
racchiusa da un fossato circolare e probabilmente coperta da un
tumulo di terra. La sepoltura, entro fossa terragna di forma
rettangolare, ha restituito i resti di un guerriero e il suo ricco
corredo. Il defunto era deposto sul lato nord-ovest della fossa in posizione
supina e con il volto orientato a nord-est; dello scheletro si
conservano solo alcuni frammenti delle tibie e dei peroni,
delle ossa dell'avambraccio sinistro, un frammento dell'omero,
sedici denti e alcune corone e radici di altri. L'esame dei
denti ha consentito di fissare l'età del defunto tra i 20 ed i
30 anni, probabilmente entro i 25.
Il
corredo personale era posto accanto e sopra all'inumato (ad eccezione dell'elmo bronzeo rinvenuto nei
pressi del corredo fittile); sul lato destro due lance in ferro
ed una coppia di spade corte
in ferro mentre ai piedi del defunto erano stati collocati due morsi di
cavallo in ferro e due elementi in ferro ad omega,
probabilmente pertinenti alla bardatura del cavallo. Sempre sul
fianco destro, altri tipici elementi del "rango
principesco": due "scettri" costituiti da un fusto
in legno guarnito da fascette in lamina di bronzo con motivo
vegetale a traforo; un altro "scettro", analogo agli
altri due ma privo del motivo a giorno, era collocato presso le
punte di lancia con accanto una testa di mazzocchio in calcare bianco con
calotta emisferica in ferro, erede quest'ultimo delle mazze da
guerre litiche di tradizione protostorica. Tra gli oggetti di
ornamento erano presenti tre fibule in ferro, due grandi
armille a tubolare di lamina di bronzo, una sorta di
affibbiaglio a cerniera composto da due placchette rettangolari in lamina
bronzea e rivestite da placchette in avorio. Nel lato sud-est della fossa era deposto il resto del corredo e delle offerte:
oltre venti vasi in ceramica di varia foggia (biconico, holmos,
anforetta, olletta, kantharos ed altre forme da mensa e
simposio) disposti verticalmente e tre oggetti in lamina di
bronzo: un bacile, posto presso i piedi del defunto e contenente oltre 200 vinaccioli di uva, una situla e un elmo
entrambi con decorazione a sbalzo.
|
Scettro, tomba di Villa Clara, Matelica
(immagine da museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12143/) |
La
tomba di Villa Clara si pone come l'equivalente, per il Piceno
centrale interno, delle grandi tombe che segnano, in Etruria, il
massimo apogeo della tarda età del Ferro ma che contengono già i
primi segni dell'Orientalizzante (35). Alcuni reperti, come la
situla e l'elmo, costituiscono dei veri e propri unica che
aprono un'interessante problematica sulla loro origine e di
conseguenza sull'identificazione del personaggio. Anche se sono
evidenti gli stretti legami culturali con l'area etrusca, laziale,
padana e falisca (i motivi decorativi della situla e dell'elmo, ad
esempio, presentano confronti con il Villanoviano II
etrusco-laziale e nelle corrispondenti facies di Bologna,
Verucchio e Fermo) per nessun oggetto si può parlare con
sicurezza di importazione; per questo motivo resta incerto se si
tratti di produzioni locali che rielaborano motivi e prototipi
esterni oppure di elaborazioni originali avvenute all'esterno e
realizzate su precisa committenza (36). Per altri oggetti è
invece chiara la rielaborazione locale da prototipi esterni come
è il caso del biconico su piede con quattro anse verticali e
dell'holmos, simili, rispettivamente, agli esemplari di
Bisenzio e ad un vaso di Narce (37). Piuttosto
interessanti sono le valenze rituali-religiose che propone la
presenza dei vinaccioli di uva domestica (38), delle tracce di
latte in almeno uno dei biconici e dei resti di un giovane suino
con accanto un coltello di ferro; tutti elementi che farebbero
parte di rituali ben codificati ma che purtroppo sono di incerta e
difficile interpretazione. Sulla base dei materiali rinvenuti la
tomba viene datata fra gli ultimi decenni dell'VIII e primi anni
del VII sec. a.C.
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L'autore del sito durante lo scavo della tomba n. 53
di loc. Brecce, Matelica, 30 luglio 2000. A destra i due cerchioni in ferro relativi alle ruote
di un carro |
La
tomba n. 53 di Brecce (39), di tipo a fossa entro un fossato a circolo,
pur non avendo restituito il corredo personale e probabilmente
l'armamento individuale dell'inumato, del quale tra l'altro è
assente lo scheletro, attesta ugualmente il prestigio e la
ricchezza dell'inumato stesso. Nel corredo erano presenti oltre
trenta vasi fittili, i cerchioni ed altri elementi in ferro
pertinenti ad un carro da guerra, un elmo e una situla in bronzo.
Fra il vasellame fittile merita particolare attenzione il grande holmos,
con bacino e piede tronco-conico, caratterizzato da sei anse
verticali in posizione alterna e con anelloni pendenti in ceramica.
Sull'holmos poggiava il lebete
sulla cui spalla sono impostate tre protomi stilizzate di grifo,
con busto conico, teste rastremate e becco a profilo superiore
continuo; gli occhi, dei quali resta solamente la cavità, erano
in origine composti, come testimoniato dall'unico conservato, da
anellini in osso o avorio, con una pietruzza scura al centro. A
due delle protomi corrispondono, sul lato opposto della spalla,
elementi conici ricurvi verso l'interno (code dei grifi?), al
terzo una sorta di presa a piattello. All'interno del lebete
è stata rinvenuta una ciotola carenata ad anse cornute. Sia l'holmos
che il lebete erano decorati con la tecnica del "red on white"
che conferma lo stretto legame fra questa sepoltura e il mondo
falisco e visentino.
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Holmos e lebete, tomba n. 53, loc. Brecce, Matelica
(immagine da museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12142/ |
L'elmo, a calotta e tesa continua, è del
tutto analogo come struttura a quello rinvenuto nella tomba di
Villa Clara. Presenta una decorazione a sbalzo con una doppia fila
di borchiette sul bordo d'attacco della tesa al coppo mentre sulla
parte anteriore della fascia centrale è presente un mascherone
umano, inquadrato da una cornice rettangolare, con occhi
costituiti da bugne emisferiche, naso a triangolo isoscele e bocca
digrignante con denti formati da tratti verticali paralleli.
Come la precedente tomba di Villa Clara anche la n. 53 di Brecce
viene datata fra gli ultimi decenni
dell'VIII e primi anni
del VII sec. a.C. (40).
Particolari dell'elmo, tomba n. 53, loc. Brecce, Matelica
(immagine da museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12139/) |
La tomba n. 1 di Passo Gabella (41), scoperta nel 2004 e
databile intorno all'ultimo quarto del VII sec. a.C.,
rappresenta una delle più ricche sepolture mai individuate
nell'area di Matelica. Si caratterizza per un corredo
strettamente legato alla sfera del banchetto-simposio. Presenta,
infatti, oltre ad offerte funebri di carni (arti interi e
porzioni di arti di maiale e pecora), un ricco corredo
caratterizzato da un apparato da mensa e da cucina in ceramica,
bronzo e ferro con oggetti arricchiti da inserti di materiali
preziosi (argento, ambra e oro).
L'elemento più innovativo, in
relazione al banchetto nelle tombe di Matelica, è l'holmos
in una delle versioni più originali e per la prima volta
riferibile ad un contesto femminile. L'esemplare appare unico
per la sua funzione di reggivasi che non trova al momento dei
confronti. Unico al momento, e non soltanto in area picena, è
anche il calice bronzeo che insieme al coperchio assume una
funzione assimilabile a quella delle pissidi con la presenza di
quattro anse orizzontali sulla carena e di altre tre sul
coperchio. La preziosità dell'oggetto è rimarcata dalla presenza
di inserti in argento, oro e ambra.
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Holmos e olla
con elementi decorativi, tomba
1, loc. Passo Gabella, Matelica (immagine da:
museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12149/) |
Calice tetransato con
coperchio, tomba
1, loc. Passo Gabella, Matelica (immagine da: museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12148/) |
L'oggetto probabilmente più
pregiato è l'oinochoe polimaterica, del quale resta
soltanto l'uovo di struzzo e il bocchello in avorio a testa
femminile con braccia ripiegate e mani che stringono le trecce.
E' finora attestato solo in altre due zone del piceno, a Pitino
di San Severino Marche e Fabriano. A differenza dell'esemplare
di Pitino, il pezzo di Matelica doveva anche presentare l'ansa,
il piede e il collo, in materiale deperibile, probabilmente di
legno.
L'unicità di questo oggetto
risiede nel fregio figurato che decora l'uovo nella parte
centrale e che presenta una scena di carattere narrativo, una
particolarità che rende questo esemplare un unicum non solo
nelle Marche e più in generale in Italia centrale ed in Etruria,
ma in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale. Ben
conservate e riconoscibili sono le fasce di decorazione
accessoria superiore ed inferiore con motivi ad archetti,
palmette e fiore di loto delimitate in basso da registri a
metope rettangolari.
Nella fascia centrale, quella più
interessante ma anche la più danneggiata, sono visibile tre
scene principali. Quella meglio conservata mostra una figura
maschile volta a destra con corazza anatomica "a thorax",
elmetto o altro genere di copricapo apicato, nuda e, con un'arma
nella mano destra, in atteggiamento aggressivo verso una figura
femminile stante, contrapposta, con una lunga veste stretta in
vita che trova confronti con quelle raffigurate nella ceramica
corinzia dalla metà del VII sec. a.C. La figura femminile ha
un'acconciatura a polos ricadente sulle spalle, tiene nella mano
destra un'anforetta e nella sinistra, protesa in avanti, una
grande coppa abbellita da un'incisione sull'orlo. L'uomo armato
sembra trattenere per il collare un cane anch'esso avventato
verso la donna e dietro di lei una figura femminile abbigliata
allo stesso modo ma mutila nel torso e nella testa. Nella scena
a destra, la più danneggiata, sono riconoscibili un guerriero
con corazza anatomica ed elmo crestato che colpisce con una
lancia un altro guerriero. Dopo un ampia zona vuota si vedono i
quarti posteriori di due cavalli sui quali sembrano salire e
scendere due figure di cani. Alla loro destra due figure
maschili con grandi mantelli a balze verticali ed orizzontali
decorate, calzari a punte rialzate e grandi copricapi a tesa, la
prima delle quali sembra tenere al guinzaglio un grande
quadrupede con lunghe zampe.
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A
sinistra,
oinochoe, particolare, scene figurate dell'uovo,
tomba 1, loc. Passo Gabella, Matelica
(immagine da: Potere e splendore. Gli
antichi piceni a Matelica, Catalogo
della mostra, p. 192); a destra,
oinochoe, tomba 1, loc. Passo Gabella, Matelica
(immagine da:
museibologna.it/archeologico/percorsi/48649/id/8994/oggetto/12147/)
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Revisione articolo 23 luglio 2021
(1)
A.
Naso, I Piceni. Storia e archeologia delle Marche in epoca
preromana, Longanesi, Milano 2000, p. 95
(2)
M. Landolfi, I Piceni, in AA.VV., Italia. Omnia terrarum
alumna, Libri Scheiwiller, Milano 1988, pp. 328-329
(3)
E. Percossi, Alla scoperta della civiltà picena, in
“Città ideale. Cultura, ambiente e turismo nelle Marche”,
Recanati 2001, p. 18
(4)
E. Percossi, Alla scoperta della civiltà picena, cit., p.
18
(5)
D.
Lollini, La civiltà picena, in AA.VV., Popoli e
civiltà dell'Italia antica, Roma 1976, p. 130
(6)
D.
Lollini, La civiltà picena, cit., pp. 136-137
(7)
T. Sabbatini, Le
necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi contributi, in AA.VV.,
I Piceni e l'Italia medio-adriatica, Atti del XXII Convegno
di Studi Etruschi ed Italici. Ascoli Piceno · Teramo · Ancona,
9-13 aprile 2000, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali,
Pisa · Roma 2003, pp. 182-183
(8)
T. Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 195
(9)
Per
gli oggetti del corredo: T.
Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., pp. 193-206; A.
Naso, I Piceni., cit., pp. 103-108
(10)
T.
Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 185
(11)
T.
Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 186
(12)
Lo scudo venne erroneamente attribuito da Pirro Marconi, che curò
l'unica edizione complessiva delle tombe nel 1933, alla sepoltura
del Tumulo 3, T.
Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., pp. 181, 185
(13)
T.
Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 190, nota 37
(14)
A.
Naso, I Piceni., cit., pp. 104-105
(15)
T. Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 192
(16)
T. Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 192
(17)
T. Sabbatini, Le necropoli orientalizzanti di Fabriano: nuovi
contributi, cit., p. 192
(18)
A causa della dispersione del materiale ceramico e ad eccezione di
una testa di mazza litica e di un lebete bronzeo si conoscono
esclusivamente i materiali metallici sia in bronzo (elmo
di tipo corinzio, due schinieri) sia in ferro (testa di mazza, due
cerchioni pertinenti a ruote di carro, una coppia di morsi di
cavallo, frammenti di spiedi e una coppia di alari), A.
Naso, I Piceni., cit., p. 110
(19)
A.
Naso, I Piceni., cit., p. 112
(20)
A.
Naso, I Piceni., cit., p. 112
(21)
A.
Naso, I Piceni., cit., p. 120
(22)
Tale esclusività rimanda "forse a un modello sociale nel
quale il banchetto era riservato agli uomini, nell'ambito di una
sorta di comunità maschile (eteria o Männerbund)", A.
Naso, I Piceni., cit., p. 121
(23)
M. Landolfi, Coppia di dischi (cat. 447-448), in AA.VV.,
Piceni. Popolo d’Europa, Catalogo della mostra (Francoforte
- Ascoli Piceno - Chieti, 1999-2000), De Luca, Roma 1999, p. 253
(24)
A.
Naso, I Piceni., cit., p. 113
(25)
M. Landolfi, Coppia di dischi (cat. 447-448), cit., p. 253
(26)
A.M. Sgubini Moretti, Pitino di San Severino Marche.
Tomba 31., in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit.,
p. 80
(27)
A.
Naso, I Piceni., cit., pp. 114-115; A.M. Sgubini Moretti, Pitino di San Severino Marche.
Tomba 31., in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit.,
pp. 80-81
(28)
A. Naso, Pitino di San Severino Marche. Tomba 14, in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit.,
p. 79
(29)
M. Landolfi, Oinochoe polimateica (scheda n. 343), in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit.,
p. 230; A. Naso, I Piceni, cit., p. 116
(30)
Allo stato attuale non è possibile stabilire se sia di
manifattura greca, come pare più probabile per il caratteristico
rosone interno, o etrusca, A.
Naso, I Piceni., cit., p. 118
(31)
cfr.
A.
Naso, I Piceni., cit., p. 117 e M.
Landolfi, Coperchio con figure plastiche (scheda n. 433),
in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit., p. 250
(32)
M. Landolfi, Coperchio con figure plastiche (scheda n. 433),
in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit., p. 250
(33)
G. Baldelli - G. de Marinis - M. Silvestrini, La tomba di Villa
Clara e il nuovo orientalizzante di Matelica, in AA.VV.,
I Piceni e l'Italia medio-adriatica, Atti del XXII Convegno
di Studi Etruschi ed Italici. Ascoli Piceno · Teramo · Ancona,
9-13 aprile 2000, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali,
Pisa · Roma 2003, p. 127
(34)
G. de Marinis - M. Silvestrini, La tomba di Villa Clara a
Matelica, in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit.,
pp. 76-78; G. Baldelli - G. de Marinis - M. Silvestrini, La
tomba di Villa Clara e il nuovo orientalizzante di Matelica,
in AA.VV.,
I Piceni e l'Italia medio-adriatica, cit., pp. 128-130; G.
de Marinis - M. Silvestrini, Matelica: addenda, in AA.VV.,
Eroi
e Regine.
Piceni Popolo d’Europa,
Catalogo della mostra (Roma, 12/4 - 1/7 2001), De Luca, Roma 2001,
p. 309;
E. Biocco - T. Sabbatini, La tomba
1 di Villa Clara in località Crecefisso, in M. Silvestrini -
T. Sabbatini (a cura di), Potere e splendore. Gli antichi
piceni a Matelica, Catalogo della mostra, 19 aprile-31 ottobre
2008 Palazzo Ottoni - Matelica, "L'Erma" di Bretschneider,
Torino 2008, pp. 72-81
(35)
Fra gli esempi più noti: la Tomba del Guerriero a Tarquinia, la
AA 1 ai Quattro Fontanili di Veio, la Benacci-Caprara 39 di
Bologna e la tomba a pozzo sotto il tumulo B del Prato di Rosello
ad Artimino, G. de Marinis - M. Silvestrini, La tomba di Villa
Clara a Matelica, in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit., p.
77
(36)
G. de Marinis - M.
Silvestrini, La tomba di Villa Clara a Matelica, in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit., p.
78
(37)
G. Baldelli - G. de Marinis - M. Silvestrini, La tomba di Villa
Clara e il nuovo orientalizzante di Matelica, in AA.VV.,
I Piceni e l'Italia medio-adriatica, cit., p. 128
(38)
La presenza dell'uva domestica deposta come offerta funebre
rappresenta la prima testimonianza del genere nelle Marche e una
delle più antiche in tutta l'Italia centrale. La presenza
dell'uva indica inoltre dei chiari e precoci rapporti con il mondo
mediterraneo anche se risulta difficile capire se si tratti di
rapporti diretti o mediati dall'Etruria, G. de Marinis - M.
Silvestrini, La tomba di Villa Clara a Matelica, in AA.VV., Piceni. Popolo d'Europa, cit., p.
78
(39)
G.
de Marinis - M. Silvestrini, Matelica: addenda, in
AA.VV.,
Eroi
e Regine.
Piceni Popolo d’Europa,
cit., pp. 309-315;
A. Coen - T. Sabbatini, La tomba 53
in località Brecce, in M. Silvestrini - T. Sabbatini (a cura di), Potere e splendore. Gli antichi
piceni a Matelica, Catalogo della mostra, 19 aprile-31 ottobre
2008 Palazzo Ottoni - Matelica, "L'Erma" di Bretschneider,
Torino 2008, pp. 81-88
(40)
Allo stesso periodo si data la sepoltura femminile n. 20 della necropoli dei
Cavalieri. La tomba, entro fossa terragna di forma rettangolare,
che risulta priva del corredo personale e dei resti scheletrici
dell'inumata, ha restituito venti vasi in ceramica di varia foggia
e misura e un coltello di ferro. Tra i vasi si ricorda un'olla
dauna, che si pone come una delle più antiche importazioni nelle
Marche di ceramica geometrica protodauna, databile entro la fine
dell'VIII sec. a.C. L'olla presenta due anse verticali a nastro
con piattello sovrastante leggermente inclinato verso il basso. Il
corpo del vaso ha una decorazione geometrica a fasce e linee
orizzontali con motivi "a tenda" mentre sui piattelli,
entro una fascia di cornice, c'è un motivo a croce formato da tre
linee. Tra il vasellame è presente anche una versione locale di
questa importazione, riprodotta in impasto e con quattro anse a
piattello, che dimostra ancora una volta la capacità, da parte di
artigiani locali, di recepire e rielaborare modelli esterni,
G.
de Marinis - M. Silvestrini, Matelica: addenda, in AA.VV.,
Eroi
e Regine.
Piceni Popolo d’Europa,
cit., pp. 310, 317
(41)
G. de
Marinis (a cura di), Cibo e sapori nelle Marche antiche,
Catalogo della mostra, Macerata 2005, p. 15; A. Coen - T.
Sabbatini, La principessa della tomba 1 in località Passo
Gabella a Matelica, in M. Silvestrini - T. Sabbatini (a cura di), Potere e splendore. Gli antichi
piceni a Matelica, Catalogo della mostra, 19 aprile-31 ottobre
2008 Palazzo Ottoni - Matelica, "L'Erma" di Bretschneider,
Torino 2008, pp. 155-196
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