Non
è difficile immaginare come il Piceno, per la sua posizione e per
la sua conformazione geografica, sia stato fin dall'età protostorica un luogo ottimale per gli scambi e i
traffici delle merci.
La costa che si affaccia sul mar Adriatico, ricca di agevoli
approdi, i corsi dei fiumi che tagliano in direzione
ovest-est il territorio regionale, circondati da ampie e fertili
vallate (la cosiddetta disposizione "a pettine"), i passi appenninici abbastanza accessibili per la loro
moderata altitudine (compresa fra i 600 ed i 900 metri s.l.m.), hanno costituito da sempre vie di
penetrazione e di transito di prodotti e di mercanzie (1).
I
traffici avvenivano secondo due distinti flussi commerciali dei
quali il primo, via terra e attraverso le antiche piste transappenniniche della transumanza, partiva dall'area villanoviana
tosco-laziale, mentre il secondo, via mare, muoveva dall'Europa
del Nord, dalla penisola balcanica, dalla Puglia e dal
Mediterraneo orientale.
Durante
l'età del Ferro l'area picena divenne il luogo di maggiore
concentrazione di manufatti in ambra di tutta Italia (2).
L'analisi della distribuzione del materiale nell'area adriatica
individua due principali punti, uno lungo le coste picene e
l'altro lungo le coste e le isole della Dalmazia a dimostrazione
del legame commerciale che esisteva fra le due sponde adriatiche.
Sembra che i Piceni acquistassero l'ambra dai mercanti della
Dalmazia e da quelli dell'area alle foci del Po, ambra
prevalentemente grezza che veniva poi lavorata da artigiani
locali. La “via dell’ambra”, la strada che questo materiale
percorreva dalle lontane regioni del nord fino alle regioni
adriatiche ed egee, è stata ricostruita grazie anche ai
ritrovamenti di depositi e di insediamenti lungo il percorso (3).
Nell'età del
Ferro i rapporti fra i popoli che si affacciavano sull'Adriatico
sono così evidenti da aver indotto a coniare
l'espressione di koiné adriatica "per indicare quell'insieme
di oggetti tipici e di costumanze che accomunano le popolazioni
sulle due sponde a partire dal VII secolo e almeno fino al V
secolo" (4).
Se
la comunanza di forme tra oggetti presenti in contesti piceni e
transadriatici è ben evidente non è tuttavia semplice stabilire
quale delle due aree culturali abbia influenzato l'altra. Ad una
posizione che vede una trasmissione di modelli tipologici e
culturali ad opera di genti provenienti dai Balcani (5) si
contrappone l'idea di un "processo selettivo di trasmissione
culturale" (6): "gruppi di genti transadriatiche, siano o no
esse illiriche, presenti più o meno temporaneamente sulla costa
italica in relazione ad una loro attività di mercenari, di
pirati, di commercianti o altro, avrebbero operato una scelta
degli elementi più congeniali alla propria cultura,
successivamente accolti ed anche sviluppati nella loro terra di
origine" (7).
Tuttavia,
l'origine italica di buona parte degli elementi in comune fra le
due sponde nella prima età del Ferro, postulata in base allo
scarto cronologico tra le datazioni, rimane comunque da dimostrare,
visto che le ultime scoperte archeologiche non hanno incrementato
il numero degli esemplari marchigiani che tra l'altro presentano
una diffusione concentrata in una singola località o limitata ai
centri costieri (8).
Gli
scambi quindi si concentrarono sulla costa dove si svilupparono
centri di una certa importanza che videro la presenza anche di
individui o gruppi allogeni. Le necropoli di questi centri, fra il
IX e l'VIII secolo, presentano infatti una certa disuguaglianza
nella composizione dei corredi; alcune tombe di Numana-Sirolo sono
deposte secondo un rituale istriano ma con corredo di provenienza
eterogenea. La tomba Quagliotti n. 52, ad esempio, comprende un
cinerario simile ad esemplari dauni ma decorato con motivi e
tecnica istriani, uno spillone tipo Sirolo, di distribuzione
circumadriatica, un rasoio riconducibile ad un tipo noto a Velika
Gorica e una cote, oggetto comune in Slovenia e in Bosnia ma
inusuale in un corredo funebre piceno.
E'
opinione diffusa che i Liburni, la popolazione stanziata sulle
sponde adriatiche orientali, detenessero il controllo
degli scambi commerciali in Adriatico tanto da impedirne la
frequentazione ai mercanti greci (9). I resti archeologici che
testimoniano questi scambi sono costituiti dalle ceramiche daunie
delle quali i Liburni sono considerati i "vettori
principali". Fra
l’VIII e il VI sec. a.C. è testimoniata la presenza di ceramica dipinta daunia di tipo
geometrico e subgeometrico sia nelle
tombe picene (Grottammare,
Cupra Marittima, Ancona, Numana, Belmonte, Matelica, Fabriano,
Novilara) che nelle coste
della ex-Jugoslavia e in Etruria.
Nel
corso del VII secolo a.C. molti dei centri sviluppatesi nella prima
età del Ferro (Novilara, Monte Roberto, San Costanzo, Porto Sant'Elpidio,
Ascoli-Campo Parignano), e soprattutto nella zona a nord di Ancona si
esauriscono; le stesse Ancona e Numana mostrano una
flessione nella documentazione; contemporaneamente fioriscono i
centri posti all'interno (Fabriano, Matelica, Pitino di San
Severino Marche, Tolentino), lungo le direttrici commerciali con
l'Etruria (10). E' proprio in questo secolo che la documentazione
archeologica attesta nel Piceno un notevole flusso commerciale di
impronta etrusca, ben documentato dalle ricche tombe
orientalizzanti di Fabriano, Matelica e Pitino di San Severino
Marche.
Le
vie naturali di comunicazione tra i territori adriatici e
tirrenici hanno permesso questi rapporti commerciali.
I collegamenti con il Piceno centrale erano assicurati attraverso
le valli del Tevere e del Nera, quelli con il Piceno meridionale
attraverso le valli del Velino, del Tronto e del Vomano secondo
percorsi che in epoca romana saranno ricalcati dalle vie Salaria e
Cecilia (11). E' attraverso la mediazione sabina e umbra che i
Piceni intrattennero rapporti con l'area adriatica. Il territorio
umbro, infatti, svolse un ruolo importante nella rete di traffici
commerciali, come attestano i materiali piceni rinvenuti a
Nocera Umbra, Sellano, Perugia, Terni e sui passi di Fossato
di Vico e Colfiorito. L'importazione di recipienti e di utensili
di bronzo di produzione etrusca, iniziata già nel VII sec. a.C.,
si intensificò nel tardo VI sec. per divenire poi
predominante nel V sec. a.C. I contatti con l'area tirrenica continuarono
anche nel IV sec. a.C. come dimostrano i manufatti di
produzione etrusca rinvenute in tombe galliche.
Piuttosto
stretti furono anche i rapporti con il territorio falisco-capenate.
Un primo livello di influenza di queste popolazioni riguarda la
produzione vascolare di impasto attraverso l'elaborazione di
tecniche e modelli propri delle botteghe falisco-capenati. L'area
picena rielaborò alcune forme chiuse (olle stamnoidi e biconici,
entrambi su piede) mentre vennero tralasciate le forme
specializzate legate al consumo del vino (holmoi, kantharoi
a pareti convesse). Ampiamente accettati furono le tecniche e i
repertori dell'incisione e dell'incavo: elementi plastici
teriomorfi (cavallini, affrontati e non) e complesse prese di
coperchio. L'abbigliamento rimane il campo dove i modelli
circolarono in modo diretto: pettorali a cerchi concentrici in
bronzo e placche di cinturone furono ampiamente adottati, dalla
seconda metà del VII sec. a.C., nel costume piceno (12).
L'area picena,
quindi, recepì e rielaborò non solo prodotti artigianali ma
anche idee e modelli di vita; basti pensare all'aristocrazia
picena del VII sec. a.C. che accumula e ostenta armi, vasellame da
mensa e oggetti di lusso proprio come la controparte
etrusca.
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Statuette eburnee, tomba
8, Pianello di Castelbellino, VII-VI sec. a. C. (immagine da:
academia.edu/4875717/I_Piceni._Storia_e_archeologia_delle_Marche_in_epoca_preromana_Biblioteca_di_Archeologia_29_Milano_2000) |
Il
dominio territoriale esercitato dagli Etruschi in vaste regioni
italiane e il loro crescente interesse per il bacino adriatico
(testimoniato dalle fondazioni di Adria e Spina) ebbe delle
importanti conseguenze in Adriatico. "L'atto di nascita della
talassocrazia etrusca sull'Adriatico", come sostiene G.
Colonna (13), si può individuare nella spedizione che gli
Etruschi, assieme a Dauni, Umbri e altri "barbari",
intrapresero contro la colonia greca di Cuma nel 524 a.C. Tale
circostanza, oltre la sconfitta dei Liburni, determinò
un'apertura completa dell'Adriatico ai mercanti greci. La data
tramandata dalla tradizione trova conferma nella documentazione
archeologica: è proprio nella prima metà del VI sec. a.C. che si
datano le prime importazioni di vasellame greco e il crollo della
diffusione in Adriatico della ceramica daunia (14).
Nel
corso del VI sec. a.C. gli scali piceni rivestirono un ruolo non
secondario nella diffusione di particolari manufatti; è il caso
delle idrie di bronzo provenienti dal Peloponneso. A differenza
delle oinochoai rodie in bronzo, presenti in territorio
piceno fin all'inizio del VI sec. a.C., le idrie (famose quelle di
Treia e di Belmonte Piceno), ad eccezione del Piceno, non trovano
una grande diffusione né in Italia né nel Mediterraneo. Sembra
che questi nuovi prodotti di importazione non solo servissero alle
"esigenze di prestigio delle élites locali, ma anche come
elementi di facilitazione dei rapporti oltre i confini del Piceno,
soprattutto in direzione nord" (15).
E' lecito ipotizzare che nel
corso del VI sec. a.C. il Piceno rappresentasse quindi un'area di
ricezione piuttosto significativa per le importazioni greche di
vasellame bronzeo di lusso e che una certa quantità venisse poi
smistata nelle aree dell'Europa centro-orientale (Grächwil in
Svizzera, Artánd in Ungheria) (16). Le idrie di Treia, di
Grächwil e di Artánd potrebbero essere attribuite ad un
itinerario commerciale, ipotizzato da Shefton, che "avviato nel
Peloponneso attorno al 550 a.C., le avrebbe fatte giungere in un
porto piceno (Numana?), da dove sarebbero state smistate
rispettivamente nell'entroterra a Treia, oltre le Alpi a Grächwil
e lungo la valle del Danubio sino ad Artánd attraverso il caput
Adriae e la via dell'ambra" (17).
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Hydria
di bronzo, particolare, da Treia, Museo Oliveriano di Pesaro, secondo quarto del VI sec.
a.C. (immagine da: stefanociocchetti.com/Documenti_sito/lavori/Museo_Oliveriano/Pesaro%20-%20Biblioteca%20Oliveriana_Il%20Museo%20Invisibile.pdf) |
Le
rotte commerciali che portavano i prodotti greci verso le coste
adriatiche sono ancora oggetto di studio e dibattito. A tal
proposito è importante sottolineare ciò che la tradizione
scritta ci ha tramandato. Nel periplo di Scilace (scritto fra il
VI e il V sec. a.C., con aggiunte di IV sec. a.C.) vengono fornite
le indicazioni per la navigazione in Adriatico seguendo una rotta
che partendo dalla Magna Grecia risale la penisola italiana fino
all'estremo nord per poi ridiscendere lungo la sponda dalmata
verso la Grecia. Nell'itinerario si incontra dapprima la costa
abitata dagli Iapigi (percorribile in tre giorni e 3 notti), poi
quella del territorio dei Sanniti (2 giorni e 1 notte), degli
Umbri (1 giorno e due notti), degli Enetoi (1 giorno), degli Istri
(1 giorno e 1 notte) e dei Liburni (2 giorni). In meno di una
settimana di navigazione senza soste poteva essere percorsa
l'intera rotta dall'estremo sud della penisola fino ai porti
padani (18).
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Stele
figurata, Selve di S. Nicola in Valmanente, circa
600 a.C. (immagine da: academia.edu/4875717/I_Piceni._Storia_e_archeologia_delle_Marche_in_epoca_preromana_Biblioteca_di_Archeologia_29_Milano_2000) |
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Stele figurata, Selve di S. Nicola in Valmanente,
circa 600 a.C. (immagine da:oliveriana.pu.it/index.php?id=28773) |
Testimone dei rapporti commerciali
fra i piceni e i territori egei è la stele figurata in arenaria
conservata nel Museo Oliveriano di Pesaro. Fu rinvenuta nel 1860
(o 1863) a Selve di S. Nicola in Valmanente. Sulla faccia
anteriore è incisa una scena piuttosto complessa: al
centro compare una grande nave a vela quadrata, con prua a
protome teriomorfa, quindici rematori e un personaggio in piedi
(capovoga) accanto all'albero; sotto ci sono due imbarcazioni
minori a prua incrociate, analoghe alla prima anche per il
timone di tipo moderno; le due imbarcazioni non hanno vele e
alberi e al posto dei rematori ci sono dei guerrieri con delle
lance e che sembra incorporino nella loro silhouette uno scudo
rotondo e un elmo conico. La scena è completata da altre figure:
uomini, pesci, quadrupedi e forme geometriche (19).
L'interpretazione avanzata vorrebbe tale scena come la
rappresentazione di un'impresa, abituale o occasionale, di un
notabile novilarese che curava gli scambi commerciali con genti
dell'area egea, proteggendone la navigazione, insidiata dai
pirati, lungo le coste nord-picene" (20).
A
metà del VI sec. a.C. il contatto fra il mondo greco e l'area del
medio-adriatico divenne più consistente e prolungato. Tra i
manufatti importati dai commercianti greci, oltre alle merci
deperibili (vino, olio, miele, tessuti), si segnalano numerosi oggetti
di marmo: segnacoli tombali, urne cinerarie, bacili e statue (le
statue di Atena-Minerva e della dea Cupra (?), rinvenute nella
stipe votiva di Villa Ruffi (nei pressi di Rimini), i "kouroi
Milani" provenienti dalla bassa valle del Musone (MC), il
piccolo kouros di Pioraco (MC). Testimonianze queste di una
"nuova fase, nella quale si nota ad esempio la presenza della
scrittura, di una certa evoluzione da strutture deboli a strutture
più forti della società indigena, con passaggio dal tradizionale
villaggio di capanne ad una esperienza insediativa più complessa
e con la formazione di alcuni insediamenti di consistenza maggiore
che in precedenza. Qui è possibile che nelle comunità
protostoriche si siano inseriti mercanti e artigiani greci e
levantini, portatori di nuove tecniche di fabbricazione di
manufatti, tali da incrementare e caratterizzare la produzione di
beni di prestigio" (21).
Kouros
Milani ("apollo Milani"), statua in marmo, VI secolo
a.C., proveniente dalla bassa valle del Musone (Montetorto
di Osimo ?), Museo Archeologico
Nazionale di Firenze (immagine da:
museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com/2016/03/14/il-kouros-milani-in-mostra-a-torino/) |
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Kouros
Milani B ("apollino Milani"), statua in marmo, VI
secolo a.C., proveniente dalla bassa valle del
Musone (Montetorto di Osimo ?), Museo
Archeologico Nazionale di Firenze (immagine da:
archeoblog.net/2008/mantova-a-palazzo-te-la-mostra-la-forza-del-bello-larte-greca-conquista-litalia/) |
Lo
stesso periodo segna anche l'inizio della grande importazione di
ceramica attica. Purtroppo "rispetto al molto che è stato
scavato, l'inedito è di gran lunga prevalente. Non è pertanto
possibile proporre nessun tipo di ricostruzione completa e
articolata e tanto meno elaborare statistiche riferibili alla
diffusione di tali ceramiche di importazione, alla loro tipologia
e alla loro articolazione per Pittori, Gruppi e Classi" (22).
La
quantità di ceramica attica deposta nei corredi funerari di
Numana consente di identificare in questo insediamento, dalla fine
del VI e fino al IV sec. a.C., il principale emporio
medio-adriatico, secondo soltanto a Spina e Adria. Da Numana i
prodotti si irradiavano verso l'entroterra attraverso le vie
fluviali fino e oltre l'Appennino; la ceramica attica è infatti
attestata a Tolentino, Pianello di
Castelbellino, San Vittore di
Cingoli, Fossombrone, Mergo, Macerata, San Ginesio, Fermo,
Ripatransone.
Tra
le più antiche importazioni si segnalano un'anfora con Ercole e
gli uccelli di Stinfalo attribuibile al Gruppo E da Numana-Sirolo
e il gruppo di vasi attici della tomba della principessa di Sirolo.
La presenza di questi manufatti testimonia che gli esordi del
commercio attico non fu per nulla di modesta entità. Alle prime
attestazioni di ceramica attica seguì un flusso continuo e
sistematico contraddistinto da un'omologazione nelle importazioni
con un abbassamento della qualità e una maggiore diffusione.
Molti di questi vasi della fine del VI sec. a.C. e soprattutto dei primi
decenni del V sec. a.C. sono di piccole forme, tipica della tarda
produzione attica a figure nere: coppe, cup-skiphoi,
oinochoai, olpai,
lekythoi.
Il vaso attico più diffuso è sicuramente la kylix
attestata in numerosi esemplari, di tipologie differenti con
attribuzioni e cronologie varie.
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Anfora
a figure rosse con Iris tra Zeus ed Era, tomba 64,
area Quagliotti, Sirolo, prima metà V sec. a.C., Museo
Nazionale delle Marche di Ancona (immagine da:
wikipedia.org/wiki/File:Museo_Archeologico_Nazionale_delle_Marche_-_Anfora_di_Iris.jpg) |
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Cratere a calice a figure rosse con amazzonomachia,
circa 450 a. C., da Numana, Metropolitan Museum of
Art di New York (immagine da: wikipedia.org/wiki/Museo_archeologico_nazionale_delle_Marche#/media/File:Terracotta_calyx-krater_(bowl_for_mixing_wine_and_water)_MET_DP116942.jpg) |
Alla
fine del V sec. a.C. l'area picena fu interessata per alcuni
decenni da prodotti magno-greci, lucani e apuli, che raggiunsero
Numana per essere poi smistati all'interno (come dimostrano il
cratere a campana con il giudizio di Paride del Pittore di Creusa
e il piccolo cratere dello Schwerin Group da Frustellano di Pitino
di San Severino Marche). Questa presenza lucana è piuttosto
significativa dal momento che non trova un analogo riscontro a
Spina e nell'alto Adriatico, a testimonianza probabilmente di
importanti intese commerciali e fatti storici tutti da scoprire
(23).
Nel
IV sec. a.C. le importazioni di ceramica attica, pur se in
sensibile calo, non si interrompono. Intorno alla metà di questo
secolo la presenza di ceramica attica a vernice nera e a figure
rosse importate nel Piceno si rivela di notevole consistenza
dimostrando che, come il delta del Po, anche l'area
medio-adriatica costituì per Atene un mercato di vitale
importanza. I prodotti di questa ultima fase sono attestati sia in
tombe picene (Tolentino, Camerino) sia in tombe galliche (Montefortino
di Arcevia, Santa Paolina di Filottrano, San Filippo di Osimo, Moscano di
Fabriano).
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Sommario |
Bibliografia |
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