Il
diavolo
Tra i fenomeni erosivi che si
trovano a
monte della valle di S. Bonfilio il più grande ha la forma di un manico
che al culmine si allarga in un’incisione a forma di mestolo; questa
conformazione, nel dialetto locale, prende il
nome di “ripa del ramaiolo” ma è conosciuta anche come la "mano del diavolo".
Secondo una diceria, una vecchietta di Panicali, conosciuta con
il nome di Filò, fino a pochi anni fa, su richiesta dei genitori
spazientiti, minacciava di gettare i bambini cattivi nel dirupo
(1).
In merito alla formazione della "mano del diavolo"
(ma' de u diaulu) esistono diverse tradizioni orali
(2).
La prima sostiene che, nei primi secoli dell'era cristiana,
il diavolo dovette fuggire dal territorio di Cingoli perché i suoi
abitanti, abbandonati i culti pagani, avevano abbracciato la fede
cristiana. Egli nel disperato tentativo di rimanere ancora presente,
diede un'ultima rampata con una mano lasciando impresse nella montagna
le scanalature simili a quelle delle dita.
La
seconda afferma che, nel periodo in cui era Vescovo di Cingoli S.
Esuperanzio e non riuscendo egli a convertire appieno la popolazione
alla nuova fede per la persistenza del diavolo, venne dal nostro patrono
scacciato. Il maligno, come ultimo disperato gesto di resistenza,
attanagliò e segnò la montagna del Monte Nero prima di scomparire
definitivamente dal nostro territorio.
La terza versione narra che San
Bonfilio prima di poter vivere in modo eremitico, in contemplazione e
preghiera (quindi necessitava di pace e tranquillità, cose che il
diavolo non gli permetteva) scacciò il maligno che dimorava in quella
vallata. Il demonio nel fuggire precipitosamente, appoggiò la mano al
fianco della montagna lasciando impresse le enormi dita della sua mano.
Secondo un'altra versione, la fuga del demonio si attribuisce alla mancata
conquista di un anima che si era spinta nel suo nascondiglio,
per l’ira egli batté la mano sulla montagna lasciandovi le
impronte. Nelle notti di plenilunio, nei pressi del dirupo, si
sentirebbe il prolungato lamento del diavolo che ancora si
cruccia del suo insuccesso
(3).
|
La
mano del diavolo (foto del 27/4/2012) |
Sulle
cose che si vedono in cielo...
Strani fenomeni vennero osservati
nei cieli al di sopra della
chiesa di S.
Flaviano nell'omonima frazione cingolana: “una pia tradizione narra che
dopo la venuta della S. Casa di Loreto si vedevano nella notte stellata
dei lumi che da S. Flaviano si dirigevano a Loreto e viceversa”
(4).
Una
tradizione cui fa riferimento lo stesso Avicenna: "Moltissimi anni
sono furono da pie, e religiose Anime, e da più sorte di genti spesse
fiate veduti spiccar in grande quantità lumi splendentissimi dalla
Santissima Casa di Loreto, e per lo Notturno Ciel Cristallino
velocissimamente volando, venire a posarsi sopra questo Santo Tempio,
rendendolo con sommo stupore dei rimiranti per qualche spazio di tempo,
fiammeggiante appunto, come un sole lucidissimo"
(5).
Di un fenomeno simile ci
riferisce anche lo Zibaldone: “1586 - Li. 30. Ottobre. Per
ordine del Vescovo di Osimo si adunò una Processione generale per andare
a visitare la Chiesa di S. Flaviano, ove da persone pie e degne di fede
si vidde di notte più volte certi globi di fuoco, o Lumi provenienti dal
cielo sopra detta Chiesa ove vi è una miracolosa Immagine di Maria SSma;
perciò la Comune fa riattare la strada che dalla Città và in detta
Chiesa in Campagna…”
(6).
Spiriti e fantasmi
A Cingoli sarebbero numerose le case infestate dagli spiriti; di solito,
queste manifestazioni avvengono in abitazioni o antichi palazzi in stato
di degrado. Oltre ai classici fenomeni uditivi e visivi (colpi sui muri,
movimenti di oggetti, sparizione degli stessi, incendi improvvisi) che
caratterizzano l'estrinsecarsi
di simili manifestazioni merita ricordare il caso di una
"presenza" che per molto tempo abitò a stretto contatto con
una famiglia cingolana. I fatti iniziarono a manifestarsi in una vecchia
casa nella frazione di S. Maria del Rango intorno al 1940. In questa
abitazione si udivano spesso dei colpi secchi nei muri, fruscii e
"strani rumori". In un'occasione venne anche vista una figura
eterea a cavallo di una botte. Lo stato fatiscente della casa fece
decidere al proprietario la demolizione della stessa. La nuova
abitazione venne costruita lì vicino riutilizzando parte del materiale
risultante dalla demolizione della vecchia casa. Con sorpresa, i
proprietari constatarono che i fenomeni continuavano a manifestarsi
(7).
Le
strane "presenze" del territorio cingolano non sono passate
inosservate a Dario Spada che in un suo libro
(8)
ci ricorda un caso che si verificò nella frazione di S. Flaviano. In una
casa di detta località uno spirito avrebbe impresso su un mobile
l'impronta di fuoco della sua mano.
In una zona attualmente invasa dalle acque
del lago di Castreccioni si racconta questa storia: "quando mia nonna
era piccola, alcune signore anziane raccontavano delle storie su streghe
e paure. Questa storia parla di un’anima tormentata che di notte,
secondo la posizione in cui dormivi, si appoggiava su di te per
riposarsi ed in quel breve periodo di tempo non ti potevi muovere
proprio a causa di questo fatto. Quest’anima era chiamata “u limu”. Mia
nonna dice di aver provato questa sensazione"
(9).
La paura
Con
il termine paura si indica generalmente un'entità
disincarnata, uno spirito di carattere maligno la cui presenza era
attestata in numerose zone di Cingoli e del suo territorio
(10).
Anche
sul
Monte Alvello, a pochi chilometri da Cingoli, sarebbero frequenti gli incontri
con la paura
e le apparizioni di una processione di frati,
monache
e devoti che scenderebbe salmodiando lungo il sentiero che dal Briacu
conduce alla sottostante strada della Cervara per dileguare poi prima
che si possano riconoscere i partecipanti
(11).
In
quella località, nel
XIII sec., venne eretto il complesso monastico-ospitaliero dei SS.
Antonio e Bartolomeo (sito
medievale n. 12) che venne poi trasformato in lebbrosario. La
nascita della leggenda è da mettere in relazione con il ricordo tramandatosi di questo "malsano" luogo.
E’ credenza che anche nei dintorni della
chiesa di S. Esuperanzio ci sia la paura. Questo il racconto
tramandatoci: "Una volta in inverno, tanto tempo fa, un uomo di cui non
mi ricordo il nome, sfidò i propri amici dichiarando di non aver paura
di nulla e che sarebbe andato in piena notte davanti al portale della
chiesa. Come prova dell’impresa avrebbe infisso un grosso chiodo nel
portone. All’alba gli amici andarono a S. Esuperanzio per vedere se
c’era il segnale e trovarono il loro amico, morto, avvolto nel proprio
mantello che aveva un lembo inchiodato al portone. L’uomo, piantando il
chiodo in fretta e furia al buio, aveva fissato il suo mantello al
legno. Nell’atto di andarsene, si sentì trattenere alle spalle e,
credendo di essere stato ghermito dalla “Paura” morì proprio di paura"
(12).
Una vicenda simile accadde anche a Troviggiano:
una scommessa fra amici, una prova di
coraggio che prevedeva l'infissione di un chiodo sul portone del
cimitero portò allo stesso tragico risultato
(13).
Il lupo mannaro
Sul Monte Carcatora esisterebbero alcune
rovine guardate da un lupo mannaro che inseguiva i disturbatori.
Tuttavia, se si riusciva a raggiungere il pantano di Marcucci, il lupo
vi si gettava dentro
(14).
Anche a San Vittore si tramanda una storia
che vede come protagonista il lupo mannaro. Secondo il racconto "lui, quando sentiva il male che lo assaliva,
andava fuori di casa; gli crescevano su tutto il corpo peli come quelli
della testa, diventava un animale, si gettava nell’acqua e se non c’era
l’acqua raspava la terra, la breccia, e si feriva tutto come un animale.
Se aveva fortuna, poiché abitava a San Vittore, si gettava nella fonte e
starnazzava come le anatre. Gli durava due o tre ore, era pericoloso, se
incontrava un cristiano se lo mangiava. Quando bussava alla porta di una
casa, alla gente dentro diceva: “Se ho la mano pelosa non mi aprite”.
Metteva allora la mano nella gattaiola, nella finestrella della porta, e
se la mano era pelosa nessuno gli apriva"
(15).
Svariate persone riportano la
testimonianza della presenza, a Troviggiano, del lupo mannaro. Una di esse ricorda che: "quando usciva la
sera alla moglie le diceva: quando torno e busso tu non aprire, io metto
la mano nella 'gattaiola' se è normale apri se è piena di peli non
aprire".
Una simile storia si racconta anche a
Castel Sant'Angelo: "l'uomo abitava nella valle fra Castello e Aliforni,
di giorno era normale ma in alcune notti diventava lupo mannaro. Sua
moglie quando lui ritornava a casa gli chiedeva di mettere il braccio
attraverso la 'gattaiola', pertugio nella porta per far passare il
gatto, se il braccio era irto di peli e con lunghe unghie non lo faceva
entrare e così l'uomo vagava per le macchie ululando fino alla mattina.
Tornato normale poteva rientrare in casa".
Altre testimonianze della presenza o il
ricordo del lupo mannaro vengono segnalate a Capo di Rio, a Piacavallino
e nel centro storico di Cingoli (via Filati e via Polisena)
(16).
Anche nella valle di S. Bonfilio viene
ricordata la presenza, oltre che del demonio, del lupo mannaro. Non è da
escludere inoltre l'ipotesi che alcuni racconti inerenti al demonio
facciano invece riferimento alla seconda creatura. Si racconta infatti che
nelle notti di plenilunio, nei pressi del dirupo (cosiddetta "mano del
diavolo"), si sentirebbe il lamento del demonio per non essere riuscito
a conquistare l'anima di una persona
(17).
Il plenilunio è sempre associato al lupo mannaro e non al demonio,
secondo la leggenda e i racconti popolari, infatti, la persona vittima
di questa maledizione si trasforma in una bestia feroce proprio a ogni
plenilunio.
Nella valle di S. Bonfilio esistono alcuni
toponimi di certa origine germanica che attestano, nel passato, la
presenza di comunità longobarde; ricordo qui solo “fara”, un termine di
matrice longobarda che indica “l’insieme dei parenti che derivano da un
progenitore comune”. Prima della costruzione della chiesa di S. Bonfilio
si ha testimonianza dell’esistenza di una “S. Maria de Fara”, un
edificio sacro che fu edificato da un gruppo di stirpe longobarda in un
periodo compreso tra VI e IX secolo.
Secondo la mitologia e la storiografia germanica (si veda anche Paolo
Diacono e la sua Historia Langobardorum) esistevano varie
categorie di guerrieri nel mondo germanico: i Berserkir (“che ha una
pelle d’orso”), gli úlfhedhnar (“che ha una pelle di lupo”) e i
cynocephali, che indossavano maschere rituali, di tipo totemico, a forma
di testa di cane.
Questi guerrieri, votati in particolare al culto di Odino, usavano
coprirsi con le pelli degli animali da loro stessi uccisi, assorbendone
così il potere; caduti in una sorta di trance che consentiva loro di
sentirsi posseduti dal dio e trasformati in orsi o in lupi infuriati, si
scagliavano sui nemici con una forza sovrumana.
In battaglia mostravano una ferocia e uno sprezzo del pericolo senza
pari, e non c’è dubbio che il loro minaccioso aspetto, così come
l’abitudine di lanciare urla selvagge, mordere lo scudo e scuotere le
armi, riuscisse letteralmente a terrorizzare i nemici.
Alla luce di queste considerazioni, secondo me esiste una relazione fra
la presenza a S. Bonfilio di comunità longobarde, con i loro
“uomini-lupo” e “uomini-cane”, e la leggenda del lupo mannaro che si
aggirerebbe in quei luoghi.
E’ verosimile pensare che questa leggenda rappresenti, al pari di altre,
l’ennesima testimonianza di un lontano ricordo, un vissuto che riporta
al mondo germanico e longobardo. Con il passare del tempo il ricordo di
questi feroci guerrieri che indossavano pelli di lupo o maschere di cane
e i racconti della mitologia nordica hanno finito per trasformarsi in un
altro genere di racconto che ha come protagonista un’entità immaginaria
con caratteristiche simili, cioè il lupo mannaro
(18).
Animali bizzarri
Tra Colcerasa e Santo Stefano c’era un
cavallo gigantesco che poggiava le zampe anteriori sul Colle di S. Maria
e quelle posteriori sul colle di Colcerasa. Era “pauroso” passarci sotto
perché con la pancia poteva schiacciare i viandanti
(19).
Lungo la strada di S. Maria del Rango, di
notte ci si poteva imbattere in un piccolo agnello (o capretto). Se lo
si afferrava con l’intenzione di portarlo a casa, cresceva talmente che
non lo si poteva più sostenere finché scompariva con una grande
fiammata
(20).
Un giorno un cacciatore, dopo aver
rincorso la preda attraverso i boschi della Valle delle Laque, tra Monte
Acuto, il Monte di S. Angelo e il Monte Carcatora, si trovò
improvvisamente in uno spiazzo erboso mai visto prima di allora,
nonostante conoscesse quei luoghi fin da bambino. Nel mezzo della
radura, acciambellato, c'era il "regolo", il re dei serpenti, che
somiglia un po' al ramarro ma ha piccole orecchie ed è notevolmente più
grosso di qualsiasi serpente che viva alle nostre latitudini. Quando si
muove genera un rumore metallico, simile a quello prodotto da un
barattolo che rotoli. È color d'oro ed emana vivi bagliori. Dopo un
attimo di stupore il cacciatore imbracciò il fucile e prese la mira ma
il serpente, sibilando assordantemente, si alzò in volo in uno splendore
abbagliante; accecato dalla luce, frastornato dal sibilo penetrante, il
cacciatore perse i sensi. Quando si riebbe del "regolo" non c'era più
traccia, c'erano soltanto, nel punto dal quale si era sollevato, tanti
piccoli serpenti di varie specie
(21).
Spesso, di notte, presso la vasca
della "fonte del Bagno" a San Vittore appaiono sette maialetti
accompagnati dalla matrana (scrofa) che nessuno
è mai riuscito a catturare
(22).
Chi si avventura di notte per i campi di Pian della Pieve ode un rumore
di ferri trascinati. Si tratta di una grossa lecca (scrofa)
che si tira dietro
pesanti catene. Nessuno è mai riuscito ad afferrarla
(23).
Sotto la chiesa del Torrone (chiesa di S.
Vitale), in direzione degli ulivi, si apre una stanza sotterranea che
non molto tempo fa alcuni del luogo tentarono di esplorare. Si
inoltrarono per un po’, poi furono impensieriti per le continue correnti
d’aria che minacciavano di spegnere le candele finché desistettero di
fronte all’apparizione di una mosca che via via diventava sempre più
grande
(24).
Streghe
Scendendo dal Colle di S. Maria, tra
Colcerasa e S. Stefano, verso il fosso sottostante, si raggiungevano, in
fondo, alcuni alberi di noce sui quali spesso convenivano streghe che,
dopo aver rapito i bambini, se li scambiavano da un albero all’altro o
nello stesso albero come giocassero a pallone. Se ci si accorgeva e si
aveva il coraggio di conficcare nel tronco dell’albero un coltello con
il taglio rivolto in alto, le streghe non potevano più scendere.
Qualcuna, nuda, fu vista il giorno dopo
(25).
Si racconta che anche nel cosiddetto
"vicolo della Chioca", cioè via delle Filande a Cingoli, c'era una
strega che nella notte di San Giovanni, dopo essersi trasformata in gatta,
andò sotto
le finestre del suo amante a miagolare. La moglie dell’uomo le tirò una
ciabatta colpendola alla zampa destra e la gatta fuggì zoppicando. La
mattina dopo, la moglie dell’uomo incontrò una sua conoscente che
zoppicava dalla gamba destra (26).
Nel territorio di Villa Strada è
confermata da molti la presenza delle streghe in alcuni quadrivi nei
pressi di Villa Battaglia. Lo stesso Pennacchioni scriveva che "in
alcuni quadrivi nei pressi di Villa Battaglia in certe sera d'estate si
danno convegno le streghe, di cui molti hanno udito le grida
agghiaccianti"
(27).
Sempre a Villa Strada si ricorda una
storia che ha come protagonisti alcuni cavalli
(28);
si racconta che per numerosi consecutivi
giorni d'estate, furono trovati all'alba, con la criniera completamente
intrecciata in un numero enorme di piccoli nodi. La soluzione fu quella
di tagliare la criniera a tali sventurati cavalli, si da sottrarli a
questi notturni diabolici scherzi; ma all'indomani di tale rasatura
nella stalla non rimanevano che le ombre di questi animali, i quali
furono poi trovati a molta distanza dalla stalla, stesi a terra nel
mezzo di un campo, stremati, ansimanti e sudatissimi
(29).
Un giorno d'estate una vecchia donna di
Villa Strada nell'entrare in chiesa per assistere alla liturgia che
sarebbe di lì a poco iniziata, ebbe il presentimento della presenza
all'interno di alcune streghe;, così, uscita subito fuori, prese una
bacinella la riempì d'acqua, vi mise un pettine dentro, e pose tale
riempito contenitore dinanzi all'ingresso della chiesa, a mo' di
talismano. All'improvviso le streghe si accorsero della bacinella che
impedendo ad esse di uscire le costringeva all'interno dell'edificio, e
iniziarono a gridare e ad inveire contro la donna, minacciandola e
invitandola immediatamente a togliere il pettine dall'acqua. Eseguita la
volontà di tali maliarde, esse se ne fuggirono via, dileguando come il
vento
(30).
Regine
In riferimento alla leggenda del "bagno della regina"
di S. Vittore esistono numerose versioni. La
più conosciuta dice che una regina barbara regnava su Civitella (in
altre si dice che fosse solo di passaggio) ed era solita bagnarsi nuda
nella fonte detta “Fonte del Bagno” (in una delle versioni si parla solo
della visita sgradita alla popolazione e non del bagno). Un giorno i
bambini di Civitella (altrove l’intera popolazione), indignati da questa
strana abitudine della donna, presero a sassate la regina e la
cacciarono dal paese insultandola. Costei, mentre fuggiva, si volse e
maledisse la città, che di lì a poco fu distrutta (in altri casi la
regina ordinò ai suoi soldati, per rappresaglia, di radere al suolo ogni
cosa) (31).
Ancora oggi, di notte, si
odono i colpi cadenzati del suo telaio d'oro e il canto con il quale
accompagna la tessitura
(32).
La stessa regina di S. Vittore sarebbe
stata capace di far erigere in soli tre notti dai suoi schiavi il
rilievo boscoso denominato La Selva
(33).
In una grotta che si apre sulle pendici di
Monte Acuto, il rilievo lungo il quale corrono i confini dei territori
di Cingoli, Treia e S. Severino, una "Signora" tesse da tempo
immemorabile con un telaio d'oro. Per impossessarsi del telaio occorre
salire sul monte, a mezzanotte, denudarsi, sostenere un bicchiere pieno
d'acqua e attendere che un grosso serpente, dopo aver avvolto il nostro
corpo nelle sue spire senza che un gesto o una parola tradiscano la
nostra emozione, si protenda verso il bicchiere e ne beva l'acqua.
Soltanto allora avremo libero accesso ai gradini scavati nella roccia
che conducono alla grotta e al telaio. Nessun cercatore di tesori, però,
è mai riuscito a giungere fino alla "Signora": sopraffatti dalla paura,
rotto irrimediabilmente il silenzio, tutti si sono ritrovati a molti
chilometri di distanza, trasportati da un vento improvviso, privi di
sensi, abbandonati in mezzo a cespugli di rovo
(34).
La regina di Civitella (Civitello) ebbe un
insanabile diverbio col fidanzato che l'abbandonò e, qualche tempo dopo,
le scrisse una laconica lettera così concepita: "Tornerò alla Civitella
quando la vacca diventa vitella"
(35).
A Pian della Pieve c'era un'importante sorgente d'acqua salutare con cui
una "regina" affetta da rogna era solita lavarsi giornalmente
(36).
"Già ognuno è informato particolarmente de
nostri Paesi, che varie sono state l’opinioni sopra la nostra nobile
città di Cingoli, affermando alcuni essere stato edificato
antichissimamente dalla regina Circe"
(37).
(1) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 40
(2)
S.
Matellicani, S. Bonfilio. Vescovo ed eremita compatrono di
Cingoli, Cingoli 2002, p. 7
(3)
G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 40
(4) G. Malazampa, Breve guida religiosa di Cingoli e territorio,
Cingoli 1925, p. 63
(5)
O. Avicenna, Memorie della città di Cingoli", Jesi
1644, pp. 256-257
(6)
Zibaldone storico della Marca
Anconetana, ms Biblioteca Bernardi, p. XXXIX,
P. Appignanesi (a cura di), Vicende cingolane del secolo
XVI, in P.
Appignanesi
– D. Bacelli (a cura di), La Liberazione di Cingoli, 13
luglio 1944, e altre pagine di storia cingolana, Cingoli,
1986, p. 374.
Lo
Zibaldone è un manoscritto anonimo scritto nel XIX sec.; il
compilatore, attingendo dai testi di Nicolò Vannucci e di Giovan
Battista Onori, ha raccolto le notizie inerenti la storia e
l'attività amministrativa di Cingoli dei secoli XV, XVI e XVII.
(7) Tradizione
orale raccolta dall'autore del sito
(8)
D. Spada, Guida ai fantasmi d'Italia, Armenia, Milano 2000,
p. 180
(9)
G. Marchegiani - A.
Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana
del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 35
(10) Secondo
un'altra versione,
la “Paura” sarebbe la personificazione di qualcosa di misterioso
e inspiegabile che si manifesta nei luoghi dove in tempi passati
fu compiuto un delitto. Spesso però questi luoghi sono dei
tratti di strada, delle fonti, delle chiese o delle località che
apparentemente non hanno alcun nesso con i fatti di sangue, G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 34
(11) P. Appignanesi, Testimonianze medievali nel
territorio cingolano, AA.VV., Cingoli dalle origini al sec.
XVI. Contributi e ricerche, "Studi
Maceratesi", 19, Macerata 1986, p. 146
(12)
G. Marchegiani - A.
Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana
del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 36
(13)
Tradizione orale raccolta
dall'autore del sito
(14) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana
del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 34
(15) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana
del San Vicino, Edizioni PU.MA., pp. 35-36
(16) Le testimonianze di
Troviggiano, Castel Sant'Angelo, Piancavallino, Capo di Rio e
Cingoli centro sono state raccolte dall'autore del sito
attraverso due messaggi scritti nel
gruppo Facebook "Sei di Cingoli se...": "Il lupo
mannaro a San Bonfilio?" del 3/9/2019 e "Lupi mannari e
Longobardi" del 5/9/2019. Si ringraziano tutti
coloro che hanno fornito queste utili informazioni.
(17) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana
del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 40
(18) "Lupi mannari e Longobardi",
gruppo Facebook "Sei di Cingoli se...", 5/9/2019
(19) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., pp. 34-35
(20) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 36
(21) P. Appignanesi, Il
serpente e la tessitrice, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione
di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p, 389
(22) P.
Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in
P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana,
Cingoli 1986, p. 422
(23) P.
Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in
P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana,
Cingoli 1986, p. 422
(24) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 35
(25) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 35
(26) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 36
(27) L. Pernici, Lungo
una antica via. Studio storico su un vetusto edificio sacro del
Cingolano: la chiesa di San Giovanni in Villa Strada, Tipolito
Ilari, Cingoli 2011, p. 19, nota 37
(28) Una simile storia viene
raccontata anche ad Apiro; riferisce il narratore "la madre di
mia madre trasportava la posta da Apiro a Cupramontana con una
cavalla attaccata ad un 'volantino'. Diceva che le streghe
durante la notte si prendevano la cavalla. Al mattino, l'animale
era trovato con la criniera tutta piena di treccine che non si
riusciva a sciogliere e completamente ricoperta di sudore", G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 37
(29) L. Pernici, Lungo una antica via.
Studio storico su un vetusto edificio sacro del Cingolano: la chiesa di
San Giovanni in Villa Strada, Tipolito Ilari, Cingoli 2011, p. 19,
nota 37
(30) L. Pernici, Lungo una
antica via. Studio storico su un vetusto edificio sacro del Cingolano:
la chiesa di San Giovanni in Villa Strada, Tipolito Ilari, Cingoli
2011, p. 19, nota 37
(31) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 61
(32) P.
Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in
P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana,
Cingoli 1986, p. 422
(33) G.
Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della
Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 61
(34) Le varianti di questa storia
sono: i cercatori sono due, uno dei quali è addetto unicamente a
scavare il tesoro; il cercatore che attende l'apparizione del
serpente ha denudato soltanto il braccio destro; i cercatori che
rompono il silenzio sono "scaraventati così lontano" che di loro
non si sa più nulla; manca la menzione della tessitrice. P, Appignanesi,
Il
serpente e la tessitrice, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione
di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p, 389
(35)
P. Appignanesi, Testimonianze medievali nel
territorio cingolano, AA.VV., Cingoli dalle origini al sec.
XVI. Contributi e ricerche. Atti del XIX convegno di Studi
Maceratesi, Cingoli 15-16 ottobre 1983, "Studi
Maceratesi" 19, Macerata, Centro di Studi Storici Maceratesi,
1986,
pp.
133-134, nota 6
(36)
P.
Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in
P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana,
Cingoli 1986, p. 422
(37) O.
Avicenna, Memorie della città di
Cingoli, Jesi, 1644, p. 43
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ominidi di Colcerasa |
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