Il diavolo

Tra i fenomeni erosivi che si trovano a monte della valle di S. Bonfilio il più grande ha la forma di un manico che al culmine si allarga in un’incisione a forma di mestolo; questa conformazione, nel dialetto locale, prende il nome di “ripa del ramaiolo” ma è conosciuta anche come la "mano del diavolo". Secondo una diceria, una vecchietta di Panicali, conosciuta con il nome di Filò, fino a pochi anni fa, su richiesta dei genitori spazientiti, minacciava di gettare i bambini cattivi nel dirupo (1).

In merito alla formazione della "mano del diavolo" (ma' de u diaulu) esistono diverse tradizioni orali (2).

La prima sostiene che, nei primi secoli dell'era cristiana, il diavolo dovette fuggire dal territorio di Cingoli perché i suoi abitanti, abbandonati i culti pagani, avevano abbracciato la fede cristiana. Egli nel disperato tentativo di rimanere ancora presente, diede un'ultima rampata con una mano lasciando impresse nella montagna le scanalature simili a quelle delle dita. 

La seconda afferma che, nel periodo in cui era Vescovo di Cingoli S. Esuperanzio e non riuscendo egli a convertire appieno la popolazione alla nuova fede per la persistenza del diavolo, venne dal nostro patrono scacciato. Il maligno, come ultimo disperato gesto di resistenza, attanagliò e segnò la montagna del Monte Nero prima di scomparire definitivamente dal nostro territorio.

La terza versione narra che San Bonfilio prima di poter vivere in modo eremitico, in contemplazione e preghiera (quindi necessitava di pace e tranquillità, cose che il diavolo non gli permetteva) scacciò il maligno che dimorava in quella vallata. Il demonio nel fuggire precipitosamente, appoggiò la mano al fianco della montagna lasciando impresse le enormi dita della sua mano.

Secondo un'altra versione, la fuga del demonio si attribuisce alla mancata conquista di un anima che si era spinta nel suo nascondiglio, per l’ira egli batté la mano sulla montagna lasciandovi le impronte. Nelle notti di plenilunio, nei pressi del dirupo, si sentirebbe il prolungato lamento del diavolo che ancora si cruccia del suo insuccesso (3).
 

 

La mano del diavolo (foto del 27/4/2012)

 

Sulle cose che si vedono in cielo...

Strani fenomeni vennero osservati nei cieli  al di sopra della chiesa di S. Flaviano nell'omonima frazione cingolana: “una pia tradizione narra che dopo la venuta della S. Casa di Loreto si vedevano nella notte stellata dei lumi che da S. Flaviano si dirigevano a Loreto e viceversa” (4)

Una tradizione cui fa riferimento lo stesso Avicenna: "Moltissimi anni sono furono da pie, e religiose Anime, e da più sorte di genti spesse fiate veduti spiccar in grande quantità lumi splendentissimi dalla Santissima Casa di Loreto, e per lo Notturno Ciel Cristallino velocissimamente volando, venire a posarsi sopra questo Santo Tempio, rendendolo con sommo stupore dei rimiranti per qualche spazio di tempo, fiammeggiante appunto, come un sole lucidissimo" (5).

Di un fenomeno simile ci riferisce anche lo Zibaldone“1586 - Li. 30. Ottobre. Per ordine del Vescovo di Osimo si adunò una Processione generale per andare a visitare la Chiesa di S. Flaviano, ove da persone pie e degne di fede si vidde di notte più volte certi globi di fuoco, o Lumi provenienti dal cielo sopra detta Chiesa ove vi è una miracolosa Immagine di Maria SSma; perciò la Comune fa riattare la strada che dalla Città và in detta Chiesa in Campagna…” (6).

 

Spiriti e fantasmi

A Cingoli sarebbero numerose le case infestate dagli spiriti; di solito, queste manifestazioni avvengono in abitazioni o antichi palazzi in stato di degrado. Oltre ai classici fenomeni uditivi e visivi (colpi sui muri, movimenti di oggetti, sparizione degli stessi, incendi improvvisi) che caratterizzano l'estrinsecarsi di simili manifestazioni merita ricordare il caso di una "presenza" che per molto tempo abitò a stretto contatto con una famiglia cingolana. I fatti iniziarono a manifestarsi in una vecchia casa nella frazione di S. Maria del Rango intorno al 1940. In questa abitazione si udivano spesso dei colpi secchi nei muri, fruscii e "strani rumori". In un'occasione venne anche vista una figura eterea a cavallo di una botte. Lo stato fatiscente della casa fece decidere al proprietario la demolizione della stessa. La nuova abitazione venne costruita lì vicino riutilizzando parte del materiale risultante dalla demolizione della vecchia casa. Con sorpresa, i proprietari constatarono che i fenomeni continuavano a manifestarsi (7).

Le strane "presenze" del territorio cingolano non sono passate inosservate a Dario Spada che in un suo libro (8) ci ricorda un caso che si verificò nella frazione di S. Flaviano. In una casa di detta località uno spirito avrebbe impresso su un mobile l'impronta di fuoco della sua mano.

In una zona attualmente invasa dalle acque del lago di Castreccioni si racconta questa storia: "quando mia nonna era piccola, alcune signore anziane raccontavano delle storie su streghe e paure. Questa storia parla di un’anima tormentata che di notte, secondo la posizione in cui dormivi, si appoggiava su di te per riposarsi ed in quel breve periodo di tempo non ti potevi muovere proprio a causa di questo fatto. Quest’anima era chiamata “u limu”. Mia nonna dice di aver provato questa sensazione" (9).

 

La paura

Con il termine paura si indica generalmente un'entità disincarnata, uno spirito di carattere maligno la cui presenza era attestata in numerose zone di Cingoli e del suo territorio (10). Anche sul Monte Alvello, a pochi chilometri da Cingoli, sarebbero frequenti gli incontri con la paura e le apparizioni di una processione di frati, monache e devoti che scenderebbe salmodiando lungo il sentiero che dal Briacu conduce alla sottostante strada della Cervara per dileguare poi prima che si possano riconoscere i partecipanti (11). In quella località, nel XIII sec., venne eretto il complesso monastico-ospitaliero dei SS. Antonio e Bartolomeo (sito medievale n. 12) che venne poi trasformato in lebbrosario. La nascita della leggenda è da mettere in relazione con il ricordo tramandatosi di questo "malsano" luogo.

E’ credenza che anche nei dintorni della chiesa di S. Esuperanzio ci sia la paura. Questo il racconto tramandatoci: "Una volta in inverno, tanto tempo fa, un uomo di cui non mi ricordo il nome, sfidò i propri amici dichiarando di non aver paura di nulla e che sarebbe andato in piena notte davanti al portale della chiesa. Come prova dell’impresa avrebbe infisso un grosso chiodo nel portone. All’alba gli amici andarono a S. Esuperanzio per vedere se c’era il segnale e trovarono il loro amico, morto, avvolto nel proprio mantello che aveva un lembo inchiodato al portone. L’uomo, piantando il chiodo in fretta e furia al buio, aveva fissato il suo mantello al legno. Nell’atto di andarsene, si sentì trattenere alle spalle e, credendo di essere stato ghermito dalla “Paura” morì proprio di paura" (12).

Una vicenda simile accadde anche a Troviggiano: una scommessa fra amici, una prova di coraggio che prevedeva l'infissione di un chiodo sul portone del cimitero portò allo stesso tragico risultato (13).


Il lupo mannaro

Sul Monte Carcatora esisterebbero alcune rovine guardate da un lupo mannaro che inseguiva i disturbatori. Tuttavia, se si riusciva a raggiungere il pantano di Marcucci, il lupo vi si gettava dentro (14).

Anche a San Vittore si tramanda una storia che vede come protagonista il lupo mannaro. Secondo il racconto "lui, quando sentiva il male che lo assaliva, andava fuori di casa; gli crescevano su tutto il corpo peli come quelli della testa, diventava un animale, si gettava nell’acqua e se non c’era l’acqua raspava la terra, la breccia, e si feriva tutto come un animale. Se aveva fortuna, poiché abitava a San Vittore, si gettava nella fonte e starnazzava come le anatre. Gli durava due o tre ore, era pericoloso, se incontrava un cristiano se lo mangiava. Quando bussava alla porta di una casa, alla gente dentro diceva: “Se ho la mano pelosa non mi aprite”. Metteva allora la mano nella gattaiola, nella finestrella della porta, e se la mano era pelosa nessuno gli apriva" (15).

Svariate persone riportano la testimonianza della presenza, a Troviggiano, del lupo mannaro. Una di esse ricorda che: "quando usciva la sera alla moglie le diceva: quando torno e busso tu non aprire, io metto la mano nella 'gattaiola' se è normale apri se è piena di peli non aprire".

Una simile storia si racconta anche a Castel Sant'Angelo: "l'uomo abitava nella valle fra Castello e Aliforni, di giorno era normale ma in alcune notti diventava lupo mannaro. Sua moglie quando lui ritornava a casa gli chiedeva di mettere il braccio attraverso la 'gattaiola', pertugio nella porta per far passare il gatto, se il braccio era irto di peli e con lunghe unghie non lo faceva entrare e così l'uomo vagava per le macchie ululando fino alla mattina. Tornato normale poteva rientrare in casa".

Altre testimonianze della presenza o il ricordo del lupo mannaro vengono segnalate a Capo di Rio, a Piacavallino e nel centro storico di Cingoli (via Filati e via Polisena) (16).

Anche nella valle di S. Bonfilio viene ricordata la presenza, oltre che del demonio, del lupo mannaro. Non è da escludere inoltre l'ipotesi che alcuni racconti inerenti al demonio facciano invece riferimento alla seconda creatura. Si racconta infatti che nelle notti di plenilunio, nei pressi del dirupo (cosiddetta "mano del diavolo"), si sentirebbe il lamento del demonio per non essere riuscito a conquistare l'anima di una persona (17). Il plenilunio è sempre associato al lupo mannaro e non al demonio, secondo la leggenda e i racconti popolari, infatti, la persona vittima di questa maledizione si trasforma in una bestia feroce proprio a ogni plenilunio.

Nella valle di S. Bonfilio esistono alcuni toponimi di certa origine germanica che attestano, nel passato, la presenza di comunità longobarde; ricordo qui solo “fara”, un termine di matrice longobarda che indica “l’insieme dei parenti che derivano da un progenitore comune”. Prima della costruzione della chiesa di S. Bonfilio si ha testimonianza dell’esistenza di una “S. Maria de Fara”, un edificio sacro che fu edificato da un gruppo di stirpe longobarda in un periodo compreso tra VI e IX secolo.
Secondo la mitologia e la storiografia germanica (si veda anche Paolo Diacono e la sua Historia Langobardorum) esistevano varie categorie di guerrieri nel mondo germanico: i Berserkir (“che ha una pelle d’orso”), gli úlfhedhnar (“che ha una pelle di lupo”) e i cynocephali, che indossavano maschere rituali, di tipo totemico, a forma di testa di cane.
Questi guerrieri, votati in particolare al culto di Odino, usavano coprirsi con le pelli degli animali da loro stessi uccisi, assorbendone così il potere; caduti in una sorta di trance che consentiva loro di sentirsi posseduti dal dio e trasformati in orsi o in lupi infuriati, si scagliavano sui nemici con una forza sovrumana.
In battaglia mostravano una ferocia e uno sprezzo del pericolo senza pari, e non c’è dubbio che il loro minaccioso aspetto, così come l’abitudine di lanciare urla selvagge, mordere lo scudo e scuotere le armi, riuscisse letteralmente a terrorizzare i nemici.
Alla luce di queste considerazioni, secondo me esiste una relazione fra la presenza a S. Bonfilio di comunità longobarde, con i loro “uomini-lupo” e “uomini-cane”, e la leggenda del lupo mannaro che si aggirerebbe in quei luoghi.
E’ verosimile pensare che questa leggenda rappresenti, al pari di altre, l’ennesima testimonianza di un lontano ricordo, un vissuto che riporta al mondo germanico e longobardo. Con il passare del tempo il ricordo di questi feroci guerrieri che indossavano pelli di lupo o maschere di cane e i racconti della mitologia nordica hanno finito per trasformarsi in un altro genere di racconto che ha come protagonista un’entità immaginaria con caratteristiche simili, cioè il lupo mannaro
(18).
 

Animali bizzarri

Tra Colcerasa e Santo Stefano c’era un cavallo gigantesco che poggiava le zampe anteriori sul Colle di S. Maria e quelle posteriori sul colle di Colcerasa. Era “pauroso” passarci sotto perché con la pancia poteva schiacciare i viandanti (19).

Lungo la strada di S. Maria del Rango, di notte ci si poteva imbattere in un piccolo agnello (o capretto). Se lo si afferrava con l’intenzione di portarlo a casa, cresceva talmente che non lo si poteva più sostenere finché scompariva con una grande fiammata (20).

Un giorno un cacciatore, dopo aver rincorso la preda attraverso i boschi della Valle delle Laque, tra Monte Acuto, il Monte di S. Angelo e il Monte Carcatora, si trovò improvvisamente in uno spiazzo erboso mai visto prima di allora, nonostante conoscesse quei luoghi fin da bambino. Nel mezzo della radura, acciambellato, c'era il "regolo", il re dei serpenti, che somiglia un po' al ramarro ma ha piccole orecchie ed è notevolmente più grosso di qualsiasi serpente che viva alle nostre latitudini. Quando si muove genera un rumore metallico, simile a quello prodotto da un barattolo che rotoli. È color d'oro ed emana vivi bagliori. Dopo un attimo di stupore il cacciatore imbracciò il fucile e prese la mira ma il serpente, sibilando assordantemente, si alzò in volo in uno splendore abbagliante; accecato dalla luce, frastornato dal sibilo penetrante, il cacciatore perse i sensi. Quando si riebbe del "regolo" non c'era più traccia, c'erano soltanto, nel punto dal quale si era sollevato, tanti piccoli serpenti di varie specie (21).

Spesso, di notte, presso la vasca della "fonte del Bagno" a San Vittore appaiono sette maialetti accompagnati dalla matrana (scrofa) che nessuno è mai riuscito a catturare (22).  

Chi si avventura di notte per i campi di Pian della Pieve ode un rumore di ferri trascinati. Si tratta di una grossa lecca (scrofa) che si tira dietro pesanti catene. Nessuno è mai riuscito ad afferrarla (23).

Sotto la chiesa del Torrone (chiesa di S. Vitale), in direzione degli ulivi, si apre una stanza sotterranea che non molto tempo fa alcuni del luogo tentarono di esplorare. Si inoltrarono per un po’, poi furono impensieriti per le continue correnti d’aria che minacciavano di spegnere le candele finché desistettero di fronte all’apparizione di una mosca che via via diventava sempre più grande (24).

 

Streghe

Scendendo dal Colle di S. Maria, tra Colcerasa e S. Stefano, verso il fosso sottostante, si raggiungevano, in fondo, alcuni alberi di noce sui quali spesso convenivano streghe che, dopo aver rapito i bambini, se li scambiavano da un albero all’altro o nello stesso albero come giocassero a pallone. Se ci si accorgeva e si aveva il coraggio di conficcare nel tronco dell’albero un coltello con il taglio rivolto in alto, le streghe non potevano più scendere. Qualcuna, nuda, fu vista il giorno dopo (25).

Si racconta che anche nel cosiddetto "vicolo della Chioca", cioè via delle Filande a Cingoli, c'era una strega che nella notte di San Giovanni, dopo essersi trasformata in gatta, andò sotto le finestre del suo amante a miagolare. La moglie dell’uomo le tirò una ciabatta colpendola alla zampa destra e la gatta fuggì zoppicando. La mattina dopo, la moglie dell’uomo incontrò una sua conoscente che zoppicava dalla gamba destra (26).

Nel territorio di Villa Strada è confermata da molti la presenza delle streghe in alcuni quadrivi nei pressi di Villa Battaglia. Lo stesso Pennacchioni scriveva che "in alcuni quadrivi nei pressi di Villa Battaglia in certe sera d'estate si danno convegno le streghe, di cui molti hanno udito le grida agghiaccianti" (27).

Sempre a Villa Strada si ricorda una storia che ha come protagonisti alcuni cavalli (28); si racconta che per numerosi consecutivi giorni d'estate, furono trovati all'alba, con la criniera completamente intrecciata in un numero enorme di piccoli nodi. La soluzione fu quella di tagliare la criniera a tali sventurati cavalli, si da sottrarli a questi notturni diabolici scherzi; ma all'indomani di tale rasatura nella stalla non rimanevano che le ombre di questi animali, i quali furono poi trovati a molta distanza dalla stalla, stesi a terra nel mezzo di un campo, stremati, ansimanti e sudatissimi (29).

Un giorno d'estate una vecchia donna di Villa Strada nell'entrare in chiesa per assistere alla liturgia che sarebbe di lì a poco iniziata, ebbe il presentimento della presenza all'interno di alcune streghe;, così, uscita subito fuori, prese una bacinella la riempì d'acqua, vi mise un pettine dentro, e pose tale riempito contenitore dinanzi all'ingresso della chiesa, a mo' di talismano. All'improvviso le streghe si accorsero della bacinella che impedendo ad esse di uscire le costringeva all'interno dell'edificio, e iniziarono a gridare e ad inveire contro la donna, minacciandola e invitandola immediatamente a togliere il pettine dall'acqua. Eseguita la volontà di tali maliarde, esse se ne fuggirono via, dileguando come il vento (30).

 

Regine

In riferimento alla leggenda del "bagno della regina" di S. Vittore esistono numerose versioni. La più conosciuta dice che una regina barbara regnava su Civitella (in altre si dice che fosse solo di passaggio) ed era solita bagnarsi nuda nella fonte detta “Fonte del Bagno” (in una delle versioni si parla solo della visita sgradita alla popolazione e non del bagno). Un giorno i bambini di Civitella (altrove l’intera popolazione), indignati da questa strana abitudine della donna, presero a sassate la regina e la cacciarono dal paese insultandola. Costei, mentre fuggiva, si volse e maledisse la città, che di lì a poco fu distrutta (in altri casi la regina ordinò ai suoi soldati, per rappresaglia, di radere al suolo ogni cosa) (31).

Ancora oggi, di notte, si odono i colpi cadenzati del suo telaio d'oro e il canto con il quale accompagna la tessitura (32).

La stessa regina di S. Vittore sarebbe stata capace di far erigere in soli tre notti dai suoi schiavi il rilievo boscoso denominato La Selva (33).

In una grotta che si apre sulle pendici di Monte Acuto, il rilievo lungo il quale corrono i confini dei territori di Cingoli, Treia e S. Severino, una "Signora" tesse da tempo immemorabile con un telaio d'oro. Per impossessarsi del telaio occorre salire sul monte, a mezzanotte, denudarsi, sostenere un bicchiere pieno d'acqua e attendere che un grosso serpente, dopo aver avvolto il nostro corpo nelle sue spire senza che un gesto o una parola tradiscano la nostra emozione, si protenda verso il bicchiere e ne beva l'acqua. Soltanto allora avremo libero accesso ai gradini scavati nella roccia che conducono alla grotta e al telaio. Nessun cercatore di tesori, però, è mai riuscito a giungere fino alla "Signora": sopraffatti dalla paura, rotto irrimediabilmente il silenzio, tutti si sono ritrovati a molti chilometri di distanza, trasportati da un vento improvviso, privi di sensi, abbandonati in mezzo a cespugli di rovo (34).

La regina di Civitella (Civitello) ebbe un insanabile diverbio col fidanzato che l'abbandonò e, qualche tempo dopo, le scrisse una laconica lettera così concepita: "Tornerò alla Civitella quando la vacca diventa vitella" (35).

A Pian della Pieve c'era un'importante sorgente d'acqua salutare con cui una "regina" affetta da rogna era solita lavarsi giornalmente (36).

"Già ognuno è informato particolarmente de nostri Paesi, che varie sono state l’opinioni sopra la nostra nobile città di Cingoli, affermando alcuni essere stato edificato antichissimamente dalla regina Circe" (37).

 


(1) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 40

(2) S. Matellicani, S. Bonfilio. Vescovo ed eremita compatrono di Cingoli, Cingoli 2002, p. 7

(3) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 40

(4) G. Malazampa, Breve guida religiosa di Cingoli e territorio, Cingoli 1925, p. 63  

(5) O. Avicenna, Memorie della città di Cingoli", Jesi 1644, pp. 256-257

(6) Zibaldone storico della Marca Anconetana, ms Biblioteca Bernardi, p. XXXIX, P. Appignanesi (a cura di), Vicende cingolane del secolo XVI, in P. Appignanesi – D. Bacelli (a cura di), La Liberazione di Cingoli, 13 luglio 1944, e altre pagine di storia cingolana, Cingoli, 1986, p. 374. Lo Zibaldone è un manoscritto anonimo scritto nel XIX sec.; il compilatore, attingendo dai testi di Nicolò Vannucci e di Giovan Battista Onori, ha raccolto le notizie inerenti la storia e l'attività amministrativa di Cingoli dei secoli XV, XVI e XVII.

(7) Tradizione orale raccolta dall'autore del sito

(8) D. Spada, Guida ai fantasmi d'Italia, Armenia, Milano 2000, p. 180

(9) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 35

(10) Secondo un'altra versione, la “Paura” sarebbe la personificazione di qualcosa di misterioso e inspiegabile che si manifesta nei luoghi dove in tempi passati fu compiuto un delitto. Spesso però questi luoghi sono dei tratti di strada, delle fonti, delle chiese o delle località che apparentemente non hanno alcun nesso con i fatti di sangue, G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 34

(11) P. Appignanesi, Testimonianze medievali nel territorio cingolano, AA.VV., Cingoli dalle origini al sec. XVI. Contributi e ricerche, "Studi Maceratesi", 19, Macerata 1986, p. 146

(12) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 36

(13) Tradizione orale raccolta dall'autore del sito

(14) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 34

(15) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., pp. 35-36

(16) Le testimonianze di Troviggiano, Castel Sant'Angelo, Piancavallino, Capo di Rio e Cingoli centro sono state raccolte dall'autore del sito attraverso due messaggi scritti nel gruppo Facebook "Sei di Cingoli se...": "Il lupo mannaro a San Bonfilio?" del 3/9/2019 e "Lupi mannari e Longobardi" del 5/9/2019. Si ringraziano tutti coloro che hanno fornito queste utili informazioni.

(17) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 40

(18) "Lupi mannari e Longobardi", gruppo Facebook "Sei di Cingoli se...", 5/9/2019

(19) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., pp. 34-35

(20) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 36

(21) P. Appignanesi, Il serpente e la tessitrice, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p, 389

(22) P. Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p. 422

(23) P. Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p. 422

(24) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 35

(25) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 35

(26) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 36

(27) L. Pernici, Lungo una antica via. Studio storico su un vetusto edificio sacro del Cingolano: la chiesa di San Giovanni in Villa Strada, Tipolito Ilari, Cingoli 2011, p. 19, nota 37

(28) Una simile storia viene raccontata anche ad Apiro; riferisce il narratore "la madre di mia madre trasportava la posta da Apiro a Cupramontana con una cavalla attaccata ad un 'volantino'. Diceva che le streghe durante la notte si prendevano la cavalla. Al mattino, l'animale era trovato con la criniera tutta piena di treccine che non si riusciva a sciogliere e completamente ricoperta di sudore", G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 37

(29) L. Pernici, Lungo una antica via. Studio storico su un vetusto edificio sacro del Cingolano: la chiesa di San Giovanni in Villa Strada, Tipolito Ilari, Cingoli 2011, p. 19, nota 37

(30) L. Pernici, Lungo una antica via. Studio storico su un vetusto edificio sacro del Cingolano: la chiesa di San Giovanni in Villa Strada, Tipolito Ilari, Cingoli 2011, p. 19, nota 37

(31) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 61

(32) P. Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p. 422

(33) G. Marchegiani - A. Massaccesi, Guida ai luoghi fantastici della Comunità Montana del San Vicino, Edizioni PU.MA., p. 61

(34) Le varianti di questa storia sono: i cercatori sono due, uno dei quali è addetto unicamente a scavare il tesoro; il cercatore che attende l'apparizione del serpente ha denudato soltanto il braccio destro; i cercatori che rompono il silenzio sono "scaraventati così lontano" che di loro non si sa più nulla; manca la menzione della tessitrice. P, Appignanesi, Il serpente e la tessitrice, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p, 389

(35) P. Appignanesi, Testimonianze medievali nel territorio cingolano, AA.VV., Cingoli dalle origini al sec. XVI. Contributi e ricerche. Atti del XIX convegno di Studi Maceratesi, Cingoli 15-16 ottobre 1983, "Studi Maceratesi" 19, Macerata, Centro di Studi Storici Maceratesi, 1986, pp. 133-134, nota 6

(36) P. Appignanesi, Sulla fondazione leggendaria di Cingoli, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, p. 422

(37) O. Avicenna, Memorie della città di Cingoli, Jesi, 1644, p. 43

 

 


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