Produzione
laterizia in epoche successive
In relazione alla totale assenza
di informazioni provenienti da scavi archeologici di centri
produttivi e di impianti fornacali è sembrato opportuno
sottolineare come la zona in questione, sia stata anche in
epoche successive a quella romana, interessata da un’intensa
attività di vasai e di produttori di laterizi.
Per quanto concerne l’età
medievale e rinascimentale pochi sono gli studi specifici
riguardo alla produzione di laterizi nelle Marche (96) e
tuttavia documenti medievali d’archivio testimoniano la
presenza nel territorio di numerosi vasai e fornaciai.
La produzione di laterizi era
un’attività molto sviluppata e diffusa, grazie
all’abbondanza di argilla e di acqua (i due elementi
fondamentali per la fabbricazione) ed al largo utilizzo, nelle
abitazioni marchigiane, di tegole, coppi e mattoni (97).
La lavorazione di questi
manufatti avveniva in età medievale e rinascimentale, in
maniera assai simile all’epoca romana.
Dopo aver prelevato l’argilla
dalla cava ed averla mondata accuratamente dalle impurità, la
si lavorava a lungo per renderla un amalgama uniforme.
L’argilla veniva in seguito
modellata e sagomata, nella forma e nelle dimensioni volute
mediante stampi di legno cavi, quindi con un raschiatoio, sempre
di legno, si asportava l’argilla in eccesso.
Il passo successivo consisteva
nell’“ingricciare” i mattoni, cioè nel porli ad essiccare
sotto tettoie di tavole o di tegole, disposti in maniera tale da
evitare il contatto fra di loro e da consentire nello stesso
tempo un’asciugatura accurata ed uniforme (98).
Il manufatto fittile veniva poi
cotto nelle fornaci che non differivano in maniera sostanziale
da quelle di epoca romana: si trattava infatti di costruzioni
all’aperto, circolari e seminterrate, nelle quali venivano
impilati i mattoni da cuocere.
In un vano posto inferiormente al
piano di cottura veniva inserito il combustibile che doveva
bruciare per tre o quattro giorni; quindi si lasciava
raffreddare la fornace e si procedeva allo “sfornaciamento”.
I mattoni erano quindi
classificati a seconda del loro grado di cottura: quelli che
erano stati a contatto diretto con il fuoco ed erano stati fusi
da esso, perdendo la forma originaria, erano inutilizzabili e
venivano chiamati “colaticci” (99).
Le misure, le forme, i prezzi e
la qualità di mattoni, pianelle, coppi e tegole dovevano essere
uniformati ai modelli stabiliti da ogni Comune e ben visibili
nel Palazzo Pubblico (100).
Nel XIV secolo in molte località
i fornaciai si riunirono in corporazione di mestiere.
Nello Statuto Sforzesco del 1436
(101), quando vengono indicate le “Municipales Sanctiones
Ordines et Leges Fabrianensis”, si ordina in un passo dal
titolo “Ut nullus habeat fornacem infra muros”, il seguente
provvedimento: “Ordinamus nullus habeat, nec alicui liceat
habere fornacem infra muros terre Fabriani; contrafaciens solvat
comuni pro banno decem libras et predicta locum habeat vicinis
contradicentibus licitum sit fornaces infra muros factas habere
sed non de novo construere” (102) che sembra ricalcare la
normativa esistente in età romana.
Al 1821 risale un Editto
promulgato dal Camerlengo per porre un freno alla crisi della
produzione laterizia, dovuta alla bassa qualità dei manufatti;
tale provvedimento è molto interessante per un possibile
confronto con le problematiche di epoca romana (103).
Nel decreto si ordina che
“affinchè ciascun fabbricatore sia costretto a garantire il
Materiale ch’esce dalla propria Fornace, in ogni pezzo dovrà
essere impresso un bollo a similitudine de’ bolli figulini
degli Antichi, il quale dimostri in lettere majuscole la
iniziale del Nome, e la prima sillaba almeno del Cognome del
Fabbricatore, e l’anno in cui è stato fatto. Restano in
arbitrio de’ Fornacciari la figura, e la dimensione di questi
bolli, purché la loro situazione non si opponga all’uso che
dee farsi del Materiale, e le lettere siano almeno
dell’altezza di mezz’oncia di passetto romano, con una tale
profondità da poter essere ben distinte”. (104)
La tecnica di produzione di
laterizi, con l’utilizzo della fornace “a fuoco
intermittente”, rimase invariata fino alla fine
dell’Ottocento, quando venne introdotto un nuovo tipo di
fornace, detta “a fuoco continuo” o “all’americana”
(105); essa consentiva di infornare e sfornare mattoni senza
dover attendere il raffreddamento del forno e di aumentare
quindi di molto le capacità produttive con un notevole
risparmio di energia ed una migliore qualità del prodotto
(106).
Le fornaci “a fuoco
intermittente” conobbero un’inesorabile decadenza e vennero
abbandonate del tutto solo dopo la seconda guerra mondiale
(107).
Con tali premesse, e considerata
la continuità della produzione, sarebbe importante, attraverso
una serie di ricognizioni archeologiche di superficie e di
campagne di scavo, individuare fornaci e centri produttivi
d’epoca romana per accertare e integrare i dati fin qui
presentati.
(96) Studi specifici sui laterizi
in età medievale hanno invece interessato altre regioni
d’Italia, in particolare la Toscana e la Liguria.
(97) Gatella 1988, pp. 239, 240; Paciaroni
1987, pp. 205, 208.
(98) Gatella 1988, p. 241 (nota 51).
(99) Paciaroni 1987, p. 208.
(100) Paciaroni 1987, p. 208.
(101) Meloni-Alianello-Senigagliesi 1992, p. 42.
(102)
ASCF, Statuto
Sforzesco, libro IV, rubrica 40 c.297. “Ordiniamo che nessuno
abbia, né sia lecito avere la fornace entro le mura della città
di Fabriano; chi non osserva tale norma e venga denunciato dai
vicini, paghi una tassa di dieci libbre, se i vicini accettano
la cosa e non sono contrari, sarà lecito tenere le fornaci già
costruite entro le mura, ma non è lecito costruirne di
nuove”.
(103) Manacorda 1993, pp. 40-43.
(104)
L’editto dell’Ecc.mo
e Rev.mo Sig. Card. Bartolomeo Pacca Camerlengo di Santa Chiesa.
In data dei 25 Settembre 1821. Sulla fabbricazione dei materiali
laterizi delle fornaci di Roma, è conservato presso
l’Archivio di Stato di Roma, Bandi, Coll. I, vol. 180 (inv.
127).
(105) Il primo progetto di forno
continuo fu elaborato da Friedrich Hoffmann (da cui il nome
fornace “Hoffmann”) nel 1856. In Italia la fornace
“Hoffmann” si diffuse dopo la sua presentazione
all’Esposizione di Parigi del 1867.
(106) Monti 2001, pp. 45-59.
(107) Paciaroni 1987, p. 213.
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