Fra gli anni venti e cinquanta del XIX secolo alcuni studiosi, fra gli altri O. Gerhard e E. Westphal, facenti capo alle istituzioni pontificie o all'Istituto di Corrispondenza Archeologica, gettarono le basi per le prime vere e proprie carte archeologiche. Al centro degli interessi di questi primi "topografi" vi era la ricostruzione di uno schematico paesaggio antico, basato sulla raffigurazione dei monumenti antichi, delle strutture idrauliche, delle strade e dei confini territoriali. Gli studi degli archeologi del tempo costituirono inoltre la base per studi topografici di sintesi mirati soprattutto ai dintorni di Roma, all'Etruria e al Lazio. Nacquero così opere di storia regionale come l'Etruria Marittima di Luigi Canina (1849-1852), la Topography di Roma e dintorni di W. Gell (1834-1846) e i Dintorni di Roma di A. Nibby (1837) nelle quali giunsero ad una sintesi i progressi cartografici tardo-settecenteschi e l'obiettività nel comparare diversi tipi di fonti (letterarie e monumentali). Carte archeologiche analitiche erano state fino ad allora redatte soltanto per centri urbani o per unitari complessi monumentali. Una notevole eccezione è rappresentata dalla carta della Campagna romana di Pietro Rosa, destinata però a rimanere inedita e sconosciuta: essa costituisce il primo esempio di un rilevamento analitico della topografia archeologica di un vasto territorio (1).

Nella seconda metà del XIX secolo furono realizzate delle fondamentali carte topografiche che traducevano i risultati di studi storici ed epigrafici ed offrivano ottime sintesi circa le identificazioni di centri, strade e fiumi noti dalle fonti. Nel 1881, accanto alla pubblicazione a cura del Kiepert della Carta archeologica dell'Italia centrale in scala 1:250.000, Gamurrini, Cozza e Pasqui, cui si aggiunse in seguito Mengarelli, iniziarono la redazione della Carta archeologica d'Italia che prevedeva la restituzione cartografica in scala 1:50.000 di tutte le testimonianze archeologiche rinvenute in Italia, partendo dall'Etruria e dalla Sabina. Di questa iniziativa, purtroppo di breve durata, sono stati pubblicati soltanto due volumi, uno relativo all'Etruria e alla Sabina e l'altro all'agro Falisco (2). La caratteristica fondamentale del programma della Carta archeologica d'Italia consiste in «un'impostazione nettamente archeologica della ricerca topografica, in quanto è sui dati archeologici che si pone il fondamento della ricostruzione storica dei territori. In ciò si coglie la profonda differenza dall'allora dominante indirizzo della topografia antica intesa come studio storico-geografico, in cui i dati delle fonti trovano una precisazione topografica con l'ausilio di una limitatissima utilizzazione delle testimonianze archeologiche» (3). Altra fondamentale caratteristica, che segna anch'essa una cesura metodologica con i precedenti studi a carattere monografico, è l'integralità della ricerca, cioè la copertura sistematica di un territorio e l'utilizzo di qualsiasi tipo di documentazione (4). I criteri di lavoro (5) che erano alla base della Carta archeologica furono ripresi nel 1926 da G. Lugli con la pubblicazione del primo volume della "Forma Italiae", una sorta di catasto archeologico del territorio nazionale sulla base delle tavolette dell'IGM. 

Con l'opera di Lugli l'interesse che fino a quel momento comprendeva sia gli aspetti monumentali che quelli del paesaggio si concentrò sempre più verso una topografia monumentale e delle tecniche costruttive. Tuttavia, i caratteri della grande topografia ottocentesca continuarono a manifestarsi in Rodolfo Lanciani (Wanderings in the Roman Campagna, 1909), Thomas Ashby  (The Roman Campagna in Classical TImes, 1927) e Giuseppe Tomassetti (La Campagna Romana antica, medioevale e moderna, 1910-1913). Nel 1927 in occasione del I° Convegno Nazionale di Studi Etruschi e Italici, R. Bianchi Bandinelli e O. Marinelli presentarono la proposta di una Carta d'Italia - Edizione archeologica su fogli IGM 1:100.000 (6), un'opera innovativa per l'epoca e  attuale per i numerosi aspetti metodologici. Tra i motivi di attualità c'è innanzitutto la visione storica, cui deve essere finalizzata la carta, e l'importanza di essa come strumento conoscitivo ed operativo per le Soprintendenze; la previsione di possibili carte tematiche anche a varie scale, e sovrapponibili; la problematica relativa alla toponomastica archeologica, al trattamento dei siti con rinvenimenti indeterminati, al valore indicativo e immediato del simbolo; l'insistenza sulla necessità della ricognizione mirata; il concetto di quella che oggi si definisce "banca dati", in continuo aggiornamento, mediante una semplice scheda cartacea (7). In quegli anni andava diffondendosi l'agricoltura meccanizzata mentre erano ancora molte le rovine da identificare e documentare. Era questo il momento più adatto per intraprendere delle ricognizioni ad ampio raggio. Ma purtroppo i principi indicati nella Carta archeologica di Gamurrini, Cozza e Pasqui e degli altri studiosi di fine ottocento-inizio novecento non ebbe in Italia un gran seguito. «La sensibilità di Ashby per il paesaggio antico si tradusse in una vocazione sempre più accentuata della British School at Rome per le ricerche sugli aspetti ambientali, l'eredità di Lanciani fu invece raccolta dai soliti studiosi dei monumenti e dell'urbanistica delle città antiche» (8). Ad eccezione di alcuni studiosi, fra i quali R. Bianchi Bandinelli, Paolo Orsi e Plinio Fraccaro, fu in questo periodo che la topografia antica finì per divenire esclusivo studio dei monumenti, degli edifici e dell'urbanistica dell'antichità.

Fino intorno al 1960, quindi, in Italia l'archeologia si era generalmente «identificata con la Storia dell'Arte Antica, ispirandosi ad un'ottica monumentalista, concentrando la propria attenzione unicamente sui grandi edifici pubblici e trascurando perfino la dimensione della città. In questa prospettiva, non vi era spazio per l'archeologia del paesaggio. Anche la normativa di tutela emanata nel 1939 (legge 1497) ignorava questa dimensione: unico oggetto del suo interessamento erano le "bellezze panoramiche", i "quadri naturali", definiti in relazione a precisi "punti di vista" da cui rimirarli. Aprirsi alla "archeologia del paesaggio", al concetto di territorio, avrebbe presupposto un interesse per il lavoro umano, per la vita delle comunità, per le strategie di sussistenza, argomenti che non erano certamente in voga» (9). Il primo segno di interesse in questa direzione si deve nel 1955 a Emilio Sereni e alla sua Storia del paesaggio agrario italiano. Il paesaggio, in particolare il "paesaggio agrario", viene visto come il prodotto di una serie di situazioni storiche, cioè come la combinazione di eventi che fanno la storia di un comprensorio. 

Anche nel settore più propriamente archeologico si muovevano i primi passi verso una definizione di studio del paesaggio. L'uso della fotografia aerea per l'individuazione delle evidenze antiche venne avviato da Bradford (Ancient Landscapes, 1957) con l'analisi della documentazione ripresa dall'aviazione britannica (RAF) durante la seconda guerra mondiale. Questo filone di ricerca venne seguito da Adamesteanu nelle sue esperienze condotte in Sicilia e in Basilicata. Attraverso la foto aerea lo studio del territorio si rivolgeva alla scoperta del paesaggio agrario: in primo luogo, naturalmente, la centuriazione romana. 

L'ambito culturale in cui fu più vitale lo studio topografico dell'Italia e del Mediterraneo fu quello britannico. Nel dopoguerra si formò una vera e propria comunità scientifica comprendente sia le Università e le diverse istituzioni inglesi sia le scuole e le accademie dislocate in varie parti del mondo. In Italia ebbe un fondamentale ruolo la British School at Rome e in particolare le ricerche di John Ward-Perkins, direttore della scuola dal 1946 al 1974. Nell'arco di un ventennio, nell'ambito del progetto "South Etruria Survey", quasi tutta la campagna a nord di Roma fu sottoposta a ricognizione, più di duemila siti archeologici vennero censiti e furono intrapresi degli scavi, in alcuni casi per ottenere le sequenze stratigrafiche dei tipi locali di ceramica coi quali datare i materiali rinvenuti in superficie. «Dai risultati di queste ricerche, oltre che una mole impressionante di dati, sorsero anche anni di dibattito storiografico su questioni centrali della storia passata: la formazione delle città, lo sviluppo dell'insediamento etrusco, la romanizzazione e di conseguenza il tema delle piccole proprietà contadine, delle ville, dei latifondi, e ancora l'assetto del paesaggio altomedievale, la nascita dei villaggi fortificati, l'incastellamento. Con Ward Perkins può dirsi nata l'archeologia dei paesaggi come "disciplina nel senso moderno"» (10).

Secondo Barker l'archeologia dei paesaggi (o Landscape Archaeology) può essere definita come lo «studio archeologico del rapporto tra le persone e l’ambiente nell’antichità, e dei rapporti tra la gente e la gente nel contesto dell’ambiente in cui abitava» (11). I paesaggi infatti sono delle vere e proprie stratificazioni, il prodotto di una serie di situazioni storiche in cui le azioni umane svolgono la funzione principale. «Il paesaggio è al tempo stesso uno spazio di varia estensione per un tempo di varia durata, prodotto dalla storia. Le opere durature dell’uomo, ovvero le strutture e le infrastrutture necessarie alla sua vita, al suo agire economico, culturale e spirituale, si sovrappongono al substrato naturale e si inseriscono in una eredità storica in via di progressivo arricchimento» (12)

«Naturalmente vi sono delle specificazioni da fare, per non ridurre il significato del paesaggio a uno schema semplicistico e per riportarlo sul piano concreto della archeologia dei paesaggi. In questa prospettiva, l'uomo che per definizione ha maggiori effetti sul paesaggio è l'uomo "economico", quello che abita, produce e consuma e quindi, per forza di cose, costruisce case, coltiva e fabbrica, traffica per avere merci. Sarebbe tuttavia controproducente circoscrivere alla pura "economia" il complesso gioco di fattori che genera i paesaggi storici. Su di un comprensorio possono stratificarsi i paesaggi anche per cause diverse: per fattori non propriamente o non direttamente economici. 

Si pensi ai casi di alcuni fra i più importanti santuari dell'Italia preromana, rimasti ai margini delle aree coltivate ed abitate, talvolta lontani dalle grandi vie di comunicazione e dalle grandi città, magari situati nei boschi o nei pressi di un piccolo villaggio di poche decine di abitanti. Quantunque "marginali", questi luoghi erano "centrali": erano spesso i centri religiosi, culturali e sociali di ampi comprensori. Indirettamente essi finivano per essere anche i centri del potere politico ed economico, mutuato attraverso i villaggi e gli abitati del fondovalle.

Il paesaggio è per molti versi il luogo in cui si incontrano l'archeologia dell'archeologo dei paesaggi e quella dello stratigrafo. Occorre sforzarsi di pensare che i soggetti umani e sociali che costruirono muri, stesero pavimenti, scavarono fosse, accumularono rifiuti, ovvero fecero tutte quelle azioni che l'archeologo-stratigrafo chiama Unità stratigrafiche, sono da identificare nei medesimi soggetti, umani e sociali, che recinsero i campi, tracciarono centuriazioni, cambiarono il corso dei fiumi, costruirono villaggi, case, capanne e città, ovvero operarono sull'ambiente tutte quelle trasformazioni che l'archeologo dei paesaggi chiama, quando ne identifica i minimi comuni denominatori, Unità topografiche. Una villa romana può essere vista come prestigiosa residenza e manufatto architettonico, con le sue parti lussuose e le parti per la produzione (questo è il punto di vista dell'archeologo-stratigrafo), oppure come avanzata azienda/residenza situata al centro di una proprietà a sua volta inserita in uno splendido paesaggio/giardino, il paesaggio delle ville appunto (è questo il punto di vista dell'archeologo dei paesaggi). Il luogo dell'incontro e del contatto fra stratigrafia e paesaggio è ancora più evidente nell'archeologia urbana, ovvero nell'archeologia che studia i paesaggi stratificatisi nelle città. L'archeologia urbana va a identificare non soltanto le azioni dell'uomo che hanno dato vita alle case e alle manifatture, ma anche i progetti alla base delle grandi e piccole realizzazioni urbanistiche, quelle che hanno formato i paesaggi storici delle città (paesaggi urbani) nelle varie epoche» (13).

 


(1) F. Castagnoli, La Carta Archeologica d'Italia e gli studi di topografia antica, in Ricognizione archeologica e documentazione cartografica, "Quaderni dell'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma", VI, De Luca 1974, p. 7

(2) G. F. Gamurrini et al., Carta archeologica d'Italia (1881-1897). Materiali per l'Etruria e la Sabina, Firenze 1972; A. Cozza - A. Pasqui, Carta archeologica d'Italia (1881-1897): materiali per l'agro Falisco, Firenze 1981

(3) F. Castagnoli, La Carta Archeologica d'Italia e gli studi di topografia antica, cit., p. 8

(4) Fino ad allora la ricognizione topografica dei territori era polarizzata sulla ricerca del materiale epigrafico; esempio in tal senso è il Viaggio nell'Etruria meridionale di H. Nissen e C. Zangemeister (Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1864, pp. 97 ss.)

(5) Questi criteri si possono così riassumere: esplorazione archeologica diretta del territorio; presa in esame di tutti i dati, e cioè non solo dei monumenti ma anche del materiale mobile e di ogni indizio atto a testimoniare una presenza in ogni singolo luogo; catalogo, in brevi schede numerate, di queste presenze, localizzate in carte topografiche; documentazione grafica e fotografica; interpretazione dei singoli dati ai fini di una sintesi storico-topografica, F. Castagnoli, La Carta Archeologica d'Italia e gli studi di topografia antica, cit., p. 8, nota 4

(6) R. Bianchi Bandinelli - O. Marinelli, Carta archeologica d'Etruria - Proposta di una edizione archeologica della Carta d'Italia al 100.000, in Studi Etruschi, I, Firenze 1927, pp. 449-470

(7) G. de Marinis, La "Carta Archeologica: un doveroso ricordo, in La Carta Archeologica della Provincia di Firenze (I. 1), Aprile 1995, pp. 23-24

(8) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, pp. 27-28

(9)  B. D'Agostino, Introduzione, in M. Bernardi (a cura di), Archeologia del paesaggio, IV ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in Archeologia. Certosa di Pontignano (Siena), 14 - 26 gennaio 1991, Edizioni All’Insegna del Giglio, Firenze 1992

(10) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., pp. 35-36

(11) G. Barker, L'archeologia del paesaggio italiano: nuovi orientamenti e recenti esperienze, in "Archeologia Medievale", XIII, 1986, p. 7

(12) F. Cambi - N. Terrenato N., Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., p. 102

(13) F. Cambi - N. Terrenato N., Introduzione all’archeologia dei paesaggi, cit., pp. 102-105

 

 


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