“Ecco
sono 350 anni che noi e i nostri antenati abitiamo in questa che
è la più bella delle terre, e mai prima d’ora la Britannia è
stata percorsa da un’ondata di terrore simile a quella che siamo
costretti a subire da una razza pagana, né si riteneva possibile
che tanta disgrazia potesse arrivare dal mare...” Con queste
parole il monaco Alcuino da Lindisfarne descrisse nel 793 la furia
devastatrice delle incursioni vichinghe lungo le coste della
Britannia dopo che lo stesso monastero di Lindisfarne era stato
completamente distrutto e gran parte dei monaci uccisi. Ma chi
erano i Vichinghi? Questo insieme di tribù di ceppo germanico
settentrionale che abitavano le coste della Scandinavia comparve
sulla scena europea nel periodo compreso tra l’800 e il 1000,
invadendola con una prorompente espansione che si spinse fino al
Mar Nero, a Costantinopoli, attraverso la Russia. Circondata
l’Europa occidentale, i Vichinghi si infiltrarono nel
Mediterraneo, invasero e occuparono ampie zone della Francia,
dell’Inghilterra, dell’Irlanda e della Scozia, fondarono
colonie in Islanda e in Groenlandia, e ampliarono i confini del
mondo conosciuto stabilendo per breve tempo un insediamento sulle
rive del continente nordamericano.
In
quel periodo sembrò che all’improvviso i mari del nord
pullulassero di navi predatrici dalla linea sottile e dagli scafi
bassi, dalle polene raffiguranti teste di drago. Gli equipaggi
erano dotati di spietato coraggio e invincibile ferocia. Il loro
cammino era segnato da saccheggi, incendi e stragi. La Chiesa, in
particolare, divenne l’obiettivo della loro inusitata violenza,
e i tesori ecclesiastici, trafugati in grandi quantità da chiese
e monasteri fluirono verso le terre scandinave. Il terrore e le
proteste degli ecclesiastici oltraggiati contribuirono a creare la
fama dei Vichinghi come selvaggi assetati di sangue. Il clero e
gli ordini religiosi ne adombrarono persino la natura satanica: il
“pericolo vichingo” fu ritenuto un vero e proprio castigo
divino.
|
Regioni
della Scandinavia con l'ubicazione dei principali
luoghi in cui sono stati rinvenuti i reperti
archeologici appartenenti alle culture pre-vichinga
e vichinga |
Attualmente
questa valutazione storica nei confronti dei Vichinghi sta
mutando. La storiografia moderna è giunta a un’interpretazione
più obiettiva del “fenomeno” vichingo. Oggi si tende a
sottolineare maggiormente la loro importanza in termini di
politica europea, di commercio, di pensiero, di esplorazione,
colonizzazione e arte. Ovviamente i Vichinghi non furono santi, ma
è chiaro che non furono nemmeno quei demoni contro i quali la
Chiesa medioevale tuonava. Queste
popolazioni acquistarono gran fama per l'abilità nella
navigazione, anche attraverso mari infidi e pericolosi quali
erano quelli artici. La navigazione non era limitata ai
tragitti lungo la costa: i drakkar, le loro navi, si
spingevano anche in mare aperto dove gli unici
"strumenti" per orientarsi erano il Sole, la Luna
e le stelle. Per questo potremmo aspettarci che i Vichinghi
fossero depositari di una rilevante competenza nel campo
dell'astronomia. L'analisi dei reperti archeologici e dei
testi scritti, per lo più di redazione islandese, ha
confermato questa aspettativa. Per
quanto riguarda i reperti, alcuni sono davvero singolari. Il primo
è una ruota in legno con infisso un ago perpendicolare al piano
del disco; alla base di quest'ultimo era incernierato un ago
libero di ruotare sul piano della ruota. L'archeologo danese
Bertil Almgren, che studiò alcuni esemplari rinvenuti negli anni
Sessanta, è stato in grado di ricostruirne l'uso. Si trattava di
un dispositivo per la misura della lunghezza dell'ombra proiettata
dall'ago verticale, uno gnomone, che permetteva di stabilire
l'altezza del Sole a mezzogiorno. L'ago orizzontale indicava la
rotta che la nave doveva seguire sulla base della posizione del
Sole in cielo. E' improbabile che i Vichinghi avessero il concetto
di latitudine, ma certo si erano accorti che navigando verso sud
la lunghezza dell'ombra tendeva ad accorciarsi.
Poiché l'ombra
proiettata dallo gnomone a mezzogiorno varia di giorno in giorno
per la diversa declinazione del Sole, l'uso di un dispositivo come
quello descritto richiedeva alcune nozioni che evidentemente chi
navigava doveva possedere.
Un
altro interessante dispositivo erano le "pietre da
Sole", rinvenute negli scavi archeologici e spesso citate
nella letteratura antica, per cui sappiamo esattamente come
venivano usate. Si tratta di grossi cristalli di cordierite
giallo-grigia che, posti in controluce, assumono una colorazione
azzurra a causa della rifrazione e della polarizzazione della
luce. Il cristallo assume tinte azzurre quando la luce vi incide
con un certo angolo, e il colore è tanto più vivace quanto più
la luce è intensa e diretta. Anche quando il cielo era coperto,
il cristallo permetteva di stimare la posizione del Sole
sfruttando la maggiore luminosità del settore di cielo dove il
Sole si trovava: con il cristallo orientato in quella posizione il
riflesso azzurro diveniva particolarmente intenso. L'archeologo
danese Torkild Ramskov ha rinvenuto svariate "pietre da
Sole" durante le campagne di scavo. È documentato che i
comandanti delle navi erano tenuti a conoscere questi metodi di
navigazione astronomica per poter condurre le imbarcazioni e,
considerando quale fosse l'abilità marinara dei Vichinghi, si può
concludere che tali metodi, che pure lasciano perplessi, dovevano
essere efficaci.
Oltre
alla navigazione, esistono tre direzioni in cui indagare al fine
di rendersi conto di quanto di astronomico fosse comunemente noto
presso i Vichinghi. La prima è rappresentata dai testi scritti,
redatti intorno all'anno 1000, che contengono un corpus di
leggende e miti. La seconda fonte è il calendario, che è
perfettamente noto e documentato e che nelle sue linee
fondamentali era usato ancora in Islanda nella prima metà del
nostro secolo. La terza direzione, usuale per l'archeoastronomia,
riguarda l'analisi dell'orientazione degli insediamenti, delle
fortezze e dei complessi funerari, con l'obiettivo di mettere in
evidenza eventuali direzioni astronomicamente significative.
Inizieremo
con l'analisi dei testi scritti, occupandoci del sistema
cosmologico vichingo. "All'inizio del tempo non c'era nulla:
né sabbia, né mare, né freschi marosi; non c'era terra, né
alto cielo, né fili d'erba: solo il grande vuoto." Così
leggiamo nel Voluspà ("Profezia della Sibilla"),
uno dei testi antichi che ci permettono, assieme all'Edda di
Snorri, di conoscere quali fossero le credenze dei
Vichinghi.
In
principio, dunque, esisteva soltanto il Ginnungagap, cioè
il "Grande Vuoto", il caos. Il termine vichingo ci
rivela che quel vuoto era un'illusione, un'apparenza, un qualcosa
impregnato di una forza magica superiore. I Vichinghi ovviamente
non intendevano la creazione dell'Universo come un processo di
evoluzione predestinata: la vita era scaturita in tempi
antichissimi dall'interazione cataclismica delle forze del fuoco e
del gelo, della luce e del buio, e alla fine anche del bene e del
male.
Ricostruire
una visione sistematica della cosmologia vichinga è molto
difficile, in quanto i miti della Creazione che sono descritti
negli antichi testi non costituiscono una narrazione coerente ed
equilibrata, tanto più che non esiste una fonte sicura e
affidabile alla quale attingere. Gli antichi testi contengono una
grande quantità di concetti simbolici, a volte contraddittori e
difficili da interpretare, ai quali è stata data espressione nei
racconti mitici; eppure vi traspare una certa familiarità con la
scienza del cielo. Purtroppo molto è andato perduto prima che
venisse trascritto; la scrittura arrivò in Scandinavia in epoca
tarda, solo con l'avvento del Cristianesimo.
In
Islanda si manifestò una cura tutta particolare nella
conservazione delle tradizioni religiose degli antenati pagani e
si tramandarono i racconti degli dei e degli eroi mitologici per
via orale finché, nel XIII secolo, vennero messi per iscritto. La
fonte principale dei racconti mitologici ed eroici è nota come Edda
poetica. Il manoscritto fu redatto attorno all'anno 1270, ma
vari indizi linguistici e letterari indicano che alcuni segmenti
di poesia erano stati composti secoli addietro, prima della
colonizzazione dell'Islanda avvenuta durante il X secolo. Molti
racconti hanno spesso la forma di dialogo drammatico, nel quale
alle domande relative alla creazione dell'Universo e alla sua
futura distruzione rispondono gli dei. Il più significativo dei
poemi mitologici è il Voluspà, composto in Islanda
durante la fase terminale del periodo pagano, forse addirittura
dopo la conversione al Cristianesimo; in questo poema, una sibilla
narra a Odino, il principe degli dei, il destino degli dei e
quindi la formazione e la distruzione dell'Universo secondo la
concezione vichinga.
L’unico
tentativo di fornire un'esposizione sistematica della cosmologia
vichinga è rappresentato dalla cosiddetta Edda in prosa
(per distinguerla dall'Edda poetica), redatta verso l'anno
1220 dal grande storiografo islandese Snorri Sturluson
(1178-1241). Quest'opera è in realtà un manuale di poetica,
ideato per insegnare le tecniche tradizionali degli antichi poeti
e le allusioni letterarie pagane reperibili nella loro
poesia.
Il
materiale mitologico è contenuto nell'opera narrativa Gylfaginning
("L'inganno di Gylfì"), nella quale Snorri si avvale
della tecnica letteraria impiegata in alcuni degli originari
racconti mitologici, creando la figura del leggendario re svedese
Gylfì e facendolo viaggiare in incognito verso una mitica
cittadella abitata dagli dei; qui egli interroga il Grande Padre
Odino (sotto forma di trinità: l'Altissimo, l'Egualmente
Altissimo e il Terzo) sull'inizio del mondo e sul destino degli
dei e degli uomini. Le fonti di Snorri erano i racconti
mitologici, molti dei quali conservati nella Edda poetica;
ma parte di questo materiale non è sopravvissuta in nessun'altra
opera. Tuttavia è importante sottolineare che lo scopo originale
di Snorri era di aiutare i lettori a comprendere la poetica degli
antenati e i loro miti, e che il suo interesse per i miti era
essenzialmente "da antiquario"; per quanto fosse uno
studioso coscienzioso, egli non può aver fatto a meno di
razionalizzare questi miti e di localizzarli per renderli
comprensibili. Anche noi, come Snorri, siamo costretti a fondere
notizie provenienti da varie fonti per chiarire le linee generali
della cosmologia vichinga.
Il
Ginnungagap, il "Grande Vuoto", consisteva in due
regioni nettamente distinte: una di scure e gelide nebbie al nord
(Niflhel o Niflheim, noto in seguito come il regno
della morte), e una di fuoco e fiamme al sud (Muspell o Muspellsheim),
che divenne la patria dei futuri distruttori del mondo, governata
dal gigante di fuoco Surtr. Appare evidente che la
cosmologia vichinga è basata sui due grandiosi fenomeni naturali
comuni nei territori scandinavi: i ghiacci e i vulcani.
Gli
undici fiumi di Niflheim congelarono; strati di nebbia si
alzarono e si diffusero fino a coprire l'intero Ginnungagap.
"E Ginnungagap, che si trova a nord, fu riempito da
una massa di ghiaccio e brina, con all'interno piogge scroscianti;
mentre la regione meridionale di Ginnungagap era tutta un
bagliore di scintille e fuochi che eruttavano da Muspell."
Quando l'infernale calore del sud incontrò le distese ghiacciate
del nord, il ghiaccio salato di Niflheim si sciolse, e le
gocce si fusero dando forma alla prima creatura vivente, il
terribile gigante Ymir, antenato di tutte le razze cattive
di giganti che, a loro volta, diedero origine all'Umanità. Il
cielo era tenuto ai quattro angoli da quattro nani: Nord, Sud,
Est e Ovest, ostili sia agli dei che ai mortali.
Questi nani erano larve formatesi all'interno del cadavere di Ymir
dopo la sua morte, erano artigiani superbi, le cui opere erano
molto ricercate dagli dei. Le brillanti scintille e gli ardenti
tizzoni che fuoriuscivano da Muspell diedero origine alle
stelle, ai pianeti e alla Luna, i cui movimenti venivano regolati
dagli dei: "Da questa fatica, nacque la divisione di notte e
giorno, e la misurazione degli anni".
Secondo
un'altra tradizione tramandataci da Snorri, gli dei affidarono a
una gigantessa, che rappresentava la Notte, e a suo figlio, il
Giorno, due cavalli, coi quali trainare la Terra in circolo, una
volta ogni ventiquattro ore. Snorri riporta: "La notte viene
prima, con il cavallo Hrimfaxi (Criniera Ghiacciata) che
spruzza rugiada sulla Terra ogni mattina dal suo morso; il cavallo
del giorno, Skinfaxi (Criniera Lucente), illumina tutta la
Terra e il cielo con la luce radiosa del suo mantello".
In
un altro mito, il Sole e la Luna sono due bambini che corrono per
tutto il cielo inseguiti dal lupo Fenrir, che vive in una
caverna degli inferi e che periodicamente li cattura e li ingoia.
Questa era la spiegazione vichinga delle eclissi, che tra l'altro
è molto simile all'idea diffusa nel mondo celtico. Su una moneta
degli Unelli, coniata durante il I secolo a.C., è infatti
raffigurata l'immagine di un lupo che morde il Sole riducendolo a
forma di falce. Chiaro il riferimento all'eclisse del marzo del 78
a.C.
“Da
dove sono venuti gli uomini che popolano il mondo?” questa, nel Gylfaginning,
la domanda di Gylfì agli dei. La risposta di Odino è che gli
dei, passeggiando un giorno in riva al mare, inciamparono in due
tronchi d'albero venuti alla deriva, li raccolsero e li
modellarono fino a creare la forma umana. Odino diede loro vita e
spirito; il dio Vili conferì loro la facoltà di comprendere e di
provare sentimenti; il dio Ve diede loro un aspetto, la parola,
l'udito e la vista. All'uomo venne dato il nome di Askr
(frassino) e alla donna il nome di Embla (una pianta
rampicante).
Il
mondo era raffigurato come un disco piatto, circondato da un vasto
oceano (qualcosa di simile all'Okeanos della mitologia
greca). Sulle rive più lontane di questo oceano gli dei
sistemarono un pezzo di terra dove far vivere i giganti e lo
chiamarono Jotunheim. Al centro del mondo collocarono una
roccaforte per gli uomini, Midgard ("Zona di
Mezzo"), circondandola con una palizzata per proteggerla dai
giganti. Alla fine, gli dei costruirono Asgard ("Dimora
degli Dei"), una cittadella alla sommità di un dirupo al
centro di Midgard, fortificata da un'alta muraglia e
collegata alla Terra dall'arcobaleno, che fungeva da ponte.
Il
quadro che emerge è quello di un disco strutturato a fasce
concentriche: al centro Asgard, dimora degli dei, poi Midgard,
per gli uomini, poi l'Oceano e, all'esterno, Jotunheim,
patria dei giganti. Sebbene fosse concepito come piatto,
l'Universo vichingo aveva anche tre livelli: Asgard in
cima, Midgard in mezzo e, al disotto, Niflheim, il
regno dei morti. Tutti questi regni erano tenuti insieme dal Yggdrasil
("Albero del Mondo"), “il più grande e il migliore di
tutti gli alberi", un gigantesco frassino, attorno al quale
gli dei stavano seduti in consiglio: era il centro dell'Universo
vichingo. I suoi rami raggiungevano il cielo e si piegavano sulla
Terra, le sue radici si allungavano nel sottosuolo di tutti i
regni. Alla base si trovava la Sorgente, o Pozzo del Destino, la
fonte di tutta la saggezza, accudita da tre divinità che
decidevano il destino di tutte le creature viventi. Un'aquila con
un falco tra gli occhi stava appollaiata sui rami più alti del
grande frassino le cui radici venivano costantemente rosicchiate
dal serpente Nidhoggr, con il quale l'aquila era in perenne
lotta. È singolare che la scena prevedesse uno scoiattolo, Ratatoskr,
che, correndo su e giù lungo il tronco, seminava discordia tra
l'aquila e il serpente. Infine, quattro cervi brucavano il
fogliame dell'albero e ne staccavano pozzetti di corteccia.
Il
grande frassino teneva insieme il tessuto dell'Universo, che, per
i Vichinghi, era un essere vivente e pensante, sottoposto a
terribili sofferenze a causa dei cervi, dell'aquila e del
serpente, mentre i Fati continuavano a spruzzarlo di acqua
risanatrice, attinta dalla Sorgente del Fato. Yggdrasil era
la rappresentazione simbolica della pericolosa condizione di un
mondo contenente, sin dall'inizio, il seme della distruzione,
secondo il fatalismo tipico del modo di pensare vichingo.
L'Universo
vichingo era un luogo precario e vulnerabile, sconvolto da
terribili forze distruttive. Lo stesso mare che i vichinghi
percorsero in lungo e in largo era un luogo pericoloso in quanto
abitato da una mitica e spaventosa creatura, il Midgardsorm
(Serpente del Mondo), che giaceva, sempre pronto all'attacco, nei
profondi abissi dell'Oceano. Il Voluspà è la sola fonte
che ha risentito in qualche modo del Cristianesimo: infatti è
l'unico testo che prevede una rinascita dopo la distruzione
dell'Universo e degli dei. In altre fonti coeve questo non si
rileva. L'annientamento finale è luogo comune delle profezie
religiose; la cosmologia vichinga è però la sola che nel mondo
antico e medievale destinasse alla distruzione anche gli dei,
condannati anch'essi a perire di morte violenta nelle epiche
battaglie combattute poco prima della completa distruzione
dell'Universo. Può darsi che il Voluspà sia stato
influenzato dalle visioni dell'Apocalisse di Giovanni, ma è anche
possibile che rispecchi soltanto il carattere essenzialmente
nichilista delle prime tribù germaniche, ben lontano dalle
credenze mitologiche celtiche.
Il
mondo vichingo, nonostante la fiducia in sè stesso e il
prorompente vigore, mancava alla base di radici solide in quanto
sembra che il concetto di eternità gli fosse completamente
estraneo. L'atteggiamento dei Vichinghi nei confronti della vita e
della morte era improntato a un fatalismo estremo che si
estendeva, oltre la tomba, non verso un'altra vita, di eterna
felicità o di dannazione, ma verso una lotta ancora più aspra e
già perduta in partenza, verso una battaglia finale alla quale
nessuno sarebbe sfuggito o sopravvissuto, compresi gli dei. Il
fatto che i Vichinghi avessero una simile visione dell'esistenza,
che non lasciava adito ad alcuna speranza, può forse giustificare
il loro carattere bellicoso e sprezzante di ogni pericolo.
Veniamo
ora al calendario in uso tra le popolazioni vichinghe. Le notizie
più affidabili ci giungono nuovamente dall'Islanda, colonizzata
dai Vichinghi intorno all'870 d.C., mentre il Cristianesimo vi
giunse solamente verso il 1000 portato dai monaci giunti
dall'Irlanda. Ari Frodi Thorgilsson (1067-1148) riporta nei suoi
scritti che intorno al 930 l'isola era già uno stato indipendente
dotato di una struttura politica relativamente stabile, basata su
una specie di parlamento, l’Althing.
I
Vichinghi portarono in Islanda il loro calendario lunare
sviluppato su base empirica. La settimana, di sette giorni, era
basata sull'intervallo tra una fase lunare e la successiva. I nomi
dei giorni erano: Sunnudagur, Manudagur, Tyrsdagur, Odinsdagur,
Thorsdagur, Frjadagur, Laugardagur.
L'etimologia si collega al Sole (Sunnudagur), alla
Luna (Manudagur), ma anche alle divinità principali Odino
e Thor. L'anno, formato da 12 mesi lunari, era diviso in due
stagioni (misseri): l'estate e l'inverno. In mezzo alle
stagioni erano poste le due più grandi feste per i Vichinghi,
quella del solstizio d'estate e quella del solstizio d'inverno;
quest'ultima consisteva in 12 giorni di festeggiamenti.
Questo
era il calendario utilizzato dalle tribù stanziate sotto il
Circolo Polare Artico. In molte parti della Scandinavia, in
Islanda e in generale in tutti i luoghi posti oltre il Circolo
Polare, un calendario lunare presenta parecchi problemi di
utilizzo in quanto la Luna può non essere visibile per vari
giorni, producendosi la sua culminazione superiore al di sotto
dell'orizzonte astronomico locale. Altre volte, invece, il nostro
satellite non tramonta per diversi giorni consecutivi, giungendo
solamente a lambire la linea dell'orizzonte e risalendo
successivamente in cielo. Anche il Sole durante la notte polare
non sale mai sopra l'orizzonte astronomico locale, mentre durante
il giorno artico non tramonta per circa sei mesi, divenendo un
astro circumpolare. Durante questo lungo periodo di luce continua,
la Luna era difficile da vedere in cielo e quindi l'uso del
calendario lunare empirico diventava piuttosto difficoltoso.
Gli
islandesi modificarono il calendario originale, trascurando
l'osservazione della Luna durante l'estate e contando in maniera
sequenziale le settimane trascorse dall'ultima fase lunare
effettivamente osservata. Durante l'inverno, invece, la mancanza
del Sole li obbligò al conteggio formale, "al buio", di
mesi lunari standard formati da 30 giorni ciascuno, con
un'approssimazione per eccesso della lunghezza effettiva della
lunazione media.
Le
esigenze amministrative richiedevano, in seno all'Althing,
la pianificazione di taluni eventi di carattere politico e sociale
secondo date prefissate. Si ebbe quindi una riforma del calendario
secondo una struttura formata da 52 settimane organizzate in 12
mesi (lunazioni) da 30 giorni ciascuno, più 4 aukenoetr,
ossia giorni epagomeni che portarono il conteggio annuale
complessivo a 364 giorni. La stagione estiva era composta da 26
settimane, comprendenti 2 aukenoetr, ed era obbligo
iniziasse di martedì; il resto dell'anno faceva parte della
stagione invernale. In Islanda la pratica peculiare di contare le
settimane in estate e i mesi in inverno rimase in uso fino a tempi
recenti.
Nonostante
la semplicità e una certa eleganza numerica, la struttura a 52
settimane da 7 giorni ciascuna portava a un anno più corto di
1,2422... giorni rispetto alla vera lunghezza dell'anno solare
tropico; ciò provocava una discordanza progressiva rispetto alle
stagioni e quindi uno slittamento dei mesi rispetto alle
condizioni climatiche. Per porre rimedio a questa situazione, nel
955 d.C. Thorstein Surt riformò nuovamente il calendario
introducendo il sumarauki, cioè una settimana
supplementare intercalata periodicamente a metà dell'estate, ogni
7 anni. In questo modo l'anno medio del calendario era diventato
di 365 giorni esatti. Ovviamente, l'errore progressivo dovuto alla
differenza di circa un quarto di giorno ogni anno tra l'anno del
calendario e l'anno tropico portò presto a un nuovo sfasamento
rispetto alle stagioni. Dopo un secolo, un proprietario terriero
locale, tale Oddi Helgason, noto in letteratura con il soprannome
di Star Oddi, dotato di ottime capacità astronomiche e
matematiche che gli consentirono di misurare accuratamente la
lunghezza dell'anno tropico, propose una nuova riforma del
calendario. L'idea di Star Oddi fu di aggiustare la regola di
intercalazione dei sumarauki in modo che le 52 settimane
annuali risultanti rimanessero in fase con il calendario giuliano
correntemente utilizzato dai monaci irlandesi, giunti verso l'anno
1000 in Islanda, dove fondarono numerosi monasteri. Purtroppo, il
metodo con cui Star Oddi operò la riforma del calendario è
spiegato in maniera troppo oscura nei suoi scritti: è chiaro solo
che l'intercalazione della settimana sumarauki fu operata
in modo che l'estate dovesse cominciare un martedì tra il 9 e il
15 aprile del calendario giuliano e che probabilmente era previsto
un samarauki addizionale ogni 28 anni.
E
veniamo ai reperti archeologici. Gli insediamenti abitativi di
tipo civile avevano un'orientazione studiata essenzialmente per
favorire al massimo l'insolazione, piuttosto scarsa nei profondi
fiordi scandinavi. Stupisce invece la metodologia di costruzione
delle fortezze e degli insediamenti di tipo militare, i cosiddetti
trelleborger, dal nome del più famoso di essi riportato
alla luce dagli archeologi nei pressi di Trelleborg, in Svezia.
I trelleborger
vichinghi erano fortezze delimitate da un muraglione di terra
circolare, alto 6 m e spesso 17 m alla base; il diametro poteva
arrivare a 200 m. Lo spazio interno era quadripartito da due vie
che si incrociavano ad angolo retto esattamente nel centro del
cerchio e le cui direzioni erano rigorosamente corrispondenti a
quella meridiana e a quella equinoziale; alle estremità delle due
vie vi erano quattro porte ricavate nel terrapieno di cinta.
All'interno di ciascuno dei quattro settori, quattro caserme erano
disposte secondo i lati di un quadrato orientale come le direzioni
cardinali. Il
più famoso trelleborger è, appunto, quello scavato nei
pressi di Trelleborg, ma se ne conoscono altri a Firkat, a
Nonnebakken presso Odense in Danimarca e in altri luoghi; il più
grande è quello di Aggesborg, che, con un diametro di 200 m,
contiene 48 caserme.
Ciascuno dei 4 settori principali era diviso
in 4 sottosettori da altre vie incrociate, sempre parallele alle
direzioni cardinali. Quasi tutti i trelleborger noti
risalgono circa all'anno 980, periodo del regno di Harold
Dente-Azzurro. Fa eccezione il grande complesso di Aggesborg, che
è stato datato alla prima metà dell'XI secolo. Gli elementi che
stupiscono sono l'esattezza dell'orientazione (l'errore è sempre
inferiore a 1°) e la regolarità geometrica, che presuppongono
buone capacità teoriche e pratiche.
Quanto
ai complessi funerari, i Vichinghi onoravano i defunti con il rito
della cremazione e la successiva sepoltura delle ceneri sotto
tumuli di terra, oppure con l'inumazione in camere tombali in
legno a forma di nave, con la deposizione del defunto,
accompagnato dal cadavere di una o più persone a lui molto
vicine, che sceglievano liberamente di essere uccise per
accompagnarlo nel Walalla, su una vera nave che poteva essere data
alle fiamme oppure seppellita sotto un grande tumulo di terra e
pietre. Era fondamentale che la nave funeraria fosse stata in
grado di tenere il mare.
Gli
archeologi hanno portato alla luce tre magnifici esempi di navi
utilizzate a scopo funerario nella Norvegia meridionale, a Oseberg,
a Gokstad e a Tune, tre località del fiordo di Oslo. Tutte e tre
sono attualmente esposte al Museo delle Navi Vichinghe di Oslo,
anche se soltanto quella di Tune è stata completamente
restaurata. La nave di Oseberg, superbamente decorata e in grado
di navigare solo in acque costiere, risale alla prima metà del IX
secolo e di fatto può essere definita come un'elegante chiatta di
stato, usata per la sepoltura della regina Asa, che si pensa fosse
la terribile nonna di Harold I Bella-Chioma, unificatore della
Norvegia sotto un'unica corona verso la fine del IX secolo. La
salma della regina venne accompagnata alla sepoltura da una
giovane schiava; nella tomba furono collocati tutti i mobili e gli
oggetti che l'avevano circondata in vita: un carro in legno,
alcune slitte, letti, arazzi, telai per tessere, barili, una serie
completa di utensili da cucina, finimenti per cavallo, varie paia
di scarpe, svariati oggetti personali, e perfino un bue.
|
Una
delle testimonianze archeologiche vichinghe più importanti della
Svezia: Ale Stenar (Le pietre di Ale), monumento funebre a
forma di nave eretto per onorare un defunto capo vichingo. La
"nave" è lunga 67 m e presenta alle estremità di poppa
e di prua due monoliti alti circa 3 m. Il monumento megalitico
sorge sulla cima di una collina a strapiombo sul mare, sulla costa
meridionale della Scania. Il profilo ovale della "nave"
fu ottenuto disponendo accuratamente 59 grosse pietre. Un'altra
pietra è posta all'interno, esattamente sul segmento
nord-occidentale dell'asse mediano, lungo la direzione che va dal
punto di levata del Sole al solstizio d'inverno a quello di
tramonto al solstizio d'estate. |
Un'altra
usanza, riservata a quei contadini che avevano navigato e
combattuto per mare, era di seppellire il defunto entro navi
simboliche costituite da strutture megalitiche a grosse pietre
fitte, disposte secondo una forma ovale che simulava una nave. Il
defunto era sepolto presso una pietra posta all’interno della
struttura. Un esempio molto interessante
è costituto da Ale Stenar (Nave di Ale), un complesso
megalitico nel sud della Svezia, nella regione dello Scania,
costituito da 60 grosse pietre, 59 delle quali disegnano il
profilo della nave, mentre una è posta sul segmento
nord-occidentale dell'asse mediano, disposto lungo la direzione
che va dal punto di levata del Sole al solstizio d'inverno a
quello di tramonto al solstizio d'estate. La "nave" è
dunque orientata in accordo con le configurazioni del Sole alle
due più importanti feste vichinghe. Secondo i ricercatori Vincent
H. Malmstrom, James T. Carter e Curt Roslund, che negli anni
Settanta studiarono il complesso megalitico di Ale, il numero, la
posizione e la spaziatura delle pietre sono tutt'altro che
casuali. Tra l'altro, il numero dei monoliti coincide con quello
dei giorni compresi entro due lunazioni complete: 30+29,
approssimato all'intero più prossimo; forse Ale Stenar
aveva anche qualche funzione calendariale, oltre alla pura e
semplice rappresentazione simbolica della nave funeraria.
La
conclusione che possiamo trarre da quanto detto è che i Vichinghi
possedevano discrete conoscenze astronomiche soprattutto riferite
alle posizioni e ai cicli del Sole e della Luna. Tali conoscenze
erano per lo più finalizzate alla navigazione e al calendario,
mentre Ale Stenar potrebbe forse suggerire anche un
utilizzo simbolico, più sofisticato e archeoastronomicamente
interessante. Di osservazioni e miti relativi a stelle e pianeti
non sappiamo per ora assolutamente nulla. La struttura e
l'orientazione dei trelleborg e delle navi funerarie ci
fanno capire che queste popolazioni nordiche avevano una certa
propensione tanto per la geometria quanto per l'astronomia e che
erano in grado di applicare praticamente le due discipline con
notevole perizia.
|
Planimetrie
di due trelleborger, fortificazioni risalenti al periodo
del re Harold Dente Azzurro, intorno al 980. I trelleborger
erano fortezze delimitate da un terrapieno rigorosamente circolare
alto 6 m, largo 17 m alla base con un diametro variabile dai 50 ai
200 m. Lo spazio interno era quadripartito da due vie che si
incrociavano ad angolo retto nel centro, con direzioni meridiana
ed equinoziale, a cui corrispondevano quattro porte ricavate nel
terrapieno. All'interno di ciascuno dei quattro settori erano
poste quattro caserme disposte secondo i lati di un quadrato
orientale parallelamente alle direzioni cardinali astronomiche.
Nelle figure, i bastioni sono disegnati in nero.
A) Complesso di
Trelleborg, nello Sjalland occidentale. Il suo diametro è di
circa 130 m. Con un cerchietto rosso è identificata l'ubicazione
di alcune tombe cristiane, poste in posizione separata rispetto
alle altre pagane. All'esterno della fortezza sono poste 15 grandi
abitazioni, per lo più caserme.
B) Grande complesso di Aggersborg, sul fiordo Lim, nello Jutland
settentrionale (Danimarca). Con il suo diametro di 200 m è il più
grande di tutti i trelleborger noti e contiene ben 48
caserme. Ciascun settore fu diviso in altri quattro sottosettori
da altre vie incrociate e parallele alle direzioni cardinali in
modo che la geometria delle caserme potesse essere ancora quella a
quadrato astronomicamente orientato.
|
Scheda
autore
Adriano
Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio
Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente
svolge l'attività di system manager presso il
locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del
GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da
molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo
inaugurato l'applicazione di tecniche di
ricognizione e analisi computerizzata di siti
preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali
Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare
riferimento ai reperti risalenti alla cultura
celtica. |
|

|

|
Sommario |
Pianvalle,
un tempio proto-celtico |
|