Chiesa di Santa Sperandia

 

Indirizzo: Via S. Sperandia 

Coordinate (google maps): 43°22'41.12"N 13°12'48.26"E

 

 

La facciata settecentesca della chiesa di S. Sperandia (foto del 22/2/2014)

 

Nei documenti del XIII e XIV secolo (1) si parla espressamente di una chiesa e di un monastero dedicati a S. Sperandia. A partire dal 1482 accanto a S. Sperandia, compare, come titolare della chiesa, anche il nome di S. Michele: alma Ecclesia Monasterii Sancti Michaelis, nunc Sanctae Sperandeae nuncupata extra muros Cinguli (2)

Il 22 febbraio del 1560 fu consacrata dal Vescovo di Caorle Mons. Egidio Falcetta (Cingoli, 1496 – Bertinoro, 10 luglio 1564), sotto l’invocazione sia di S. Michele Arcangelo e sia della Beata Sperandia, come ricorda un'epigrafe che si trova nella sagrestia della chiesa: ...Consecrata f(uit) Ecc(lesia) S. Sperandeae / Cum Altarib(us) et sub invocatione S. / Michaelis Arcangeli et Beatae Spe(randeae)...

La chiesa subì numerosi e radicali cambiamenti se si presta fede alle monache del Monastero, le quali, intorno al 1602, secondo quanto riferisce il Franceschini, asserivano che essa era stata ingrandita tre volte. Un importante ampliamento avvenne nel 1525 quando, grazie alla munificenza di mons. Giovanni Pietro Simonetti, venne costruita l’attuale cappella dove fu trasferito il corpo incorrotto della Santa che dal 1278 era custodito nell’altare maggiore. Un ulteriore non specificato ampliamento sarebbe occorso attorno al 1553, per volontà del cardinale ravennate, Legato della Marca, Bernardo Accolti. Alla munificenza dello stesso Accolti erano rivolti uno scomparso stemma e un’iscrizione dedicatoria sull’antico portale della chiesa, sostituito poi dall’attuale nel 1697. La riconsacrazione del 1560, ad opera del vescovo Egidio Falcetta, potrebbe essere stata una solennizzazione in seguito a quest’ultimo rinnovamento dell’edificio.

Nel 1621 mons. Pietro Giacomo Cima fece restaurare la cappella di S. Sperandia e la fece adornare di stucchi ad altorilievo raffiguranti: la gloria di S. Sperandia nella volta; quattro statue, probabilmente espressioni della santa, nelle nicchie in fondo; S. Benedetto e S. Scolastica nelle nicchie laterali; nove lunette superiori con episodi della vita della santa. La cappella è a pianta quadrangolare, annunciata da un arco ribassato con all’intradosso una cassettonatura in stucco decorata; la volta a botte lunettata presenta una decorazione plastica strettamente fusa con le linee architettoniche. Sopra l'arco è raffigurato lo stemma della famiglia Cima con un cartiglio che recita: Non vidit corruptionem (non ha subito la corruzione), con riferimento al corpo incorrotto di S. Sperandia.

Annibale Ricca, facoltoso cingolano residente a Verona, nel 1633, volle esprimere la sua devozione alla santa provvedendo alla costruzione di una nuova e più degna sede per il suo corpo. Fece lavorare pregiati marmi a Verona e li fece trasportare a Cingoli, via mare, attraverso il porto di Senigallia, per la messa in opera. La nuova urna fu terminata il 9 dicembre 1639. In ricordo fu posta un'iscrizione al di sopra dell'arca.

La chiesa fu restaurata ed abbellita più volte nella seconda metà del Seicento: a partire da questo periodo l’edificio assunse le definitive forme architettoniche barocche. La facciata in laterizio presenta una superficie assai movimentata, dall’andamento sinuoso ed originale: suddivisa in due livelli sovrapposti, divisi orizzontalmente da una cornice modanata e piuttosto aggettante, essa è verticalmente scandita da paraste tuscaniche su basamento e caratterizzata da un avancorpo inquadrato dalle paraste più interne che aggetta da terra fino al coronamento timpanato. La soluzione di questo avancorpo dona alla facciata grande eleganza, conferendo a tutta la superficie un’impressione di movimento fluttuante.

Ai lati dell’avancorpo si aprono, nella fascia inferiore in alto, due nicchie in spessore di muro archivoltate a tutto sesto. Nella fascia superiore si apre invece, in alto, un oculo circolare. Il coronamento della facciata è timpanato, spezzato centralmente dall’aggetto dell’avancorpo, e presenta modanature classicheggianti sobrie e lineari.

Varcato il portale d’ingresso ci si immette in un nartece a pianta ottagonale con due pilastri cruciformi al centro, coperto con sei campate voltate a crociera; le pareti interne del nartece sono verticalmente scandite da paraste tuscaniche. L’interno è un’aula unica coperta con una volta a botte lunettata che imposta su una trabeazione classicheggiante. Il presbiterio è incorniciato da un arco a tutto sesto inquadrato da due paraste doriche su cui imposta la trabeazione con metope e triglifi ed un coronamento timpanato curvilineo.

La splendida orchestra in controfacciata, in legno policromo finemente intagliato e dorato, è attribuita a Cosmo Scoccianti (1642-1720) e alla sua bottega; nella cantoria è collocato l'organo del 1773 (opera n° 84) di Gaetano Antonio Callido. Nell'atrio della chiesa si nota una piccola edicola costruita per proteggere un affresco raffigurante la Madonna col Bambino che fu staccato, intorno alla metà del XIX secolo, da una abitazione di proprietà del monastero situata nel vicino Borgo Santa Maria, oggi Borgo Paolo Danti.

Nel periodo 1743-1748 furono effettuati lavori di rinnovamento edilizio del monastero per la ragguardevole spesa di 4402 scudi e sotto la direzione dell’architetto milanese Pietro Tadioli. In cinque anni vi si avvicendarono sei mastri con relativi operai e manovali: nel 1746 è documentato l’intervento dei “matelicani” che completarono i lavori delle “volte, mattonate, cornici, fasce, scale e stabilimenti”, mentre alla realizzazione dei cornicioni esterni e alla decorazione del refettorio attese lo stesso Tadioli. Nel 1871 fu rinnovata la pavimentazione della cappella di S. Sperandia e, nel corso del Novecento, sono stati eseguiti diversi lavori di restauro conservativo della chiesa e del monastero.

 

Monastero e Chiesa di S. Sperandia (n. 54). Particolare della pianta di O. Avicenna, Memoria della città di Cingoli, 1644

 

 

Nel 1683 fu collocato sull'altare maggiore il dipinto di Pier Simone Fanelli (1620-1703), raffigurante il Miracolo delle ciliege, che prese il posto della tavola di Antonio da Faenza, Madonna col Bambino e Santi, il quale fu trasferito in quella circostanza nel primo altare di destra, dove si trova tuttora. Nel dipinto è raffigurata Maria Vergine col Bambino in gloria, alla loro sinistra S. Benedetto da Norcia sorretto su una nuvola da un angelo, e ai loro piedi, genuflessa con abito benedettino, S. Sperandia mentre riceve da un angelo un cestino di ciliegie; sopra la santa un angelo che le porge un giglio, simbolo di purezza, e sotto un angelo che le porge due ciliegie cadute dal cestino (3).

Presumibilmente sono del Fanelli anche i dipinti nelle vele della cappella dell'altare maggiore, raffiguranti quattro virtù (Speranza, Umiltà, Purezza e Fede) e i due quadri ovali posti ai lati dell'altare, oggi poco leggibili e raffiguranti Santa Sperandia penitente in una grotta e l'Esaltazione del corpo di Santa Sperandia.

Appena fuori del presbiterio, alla destra dell'altare maggiore, è collocato un dipinto del XVII secolo, San Gaetano, di autore ignoto, mentre alla sinistra dell'altare c'è un dipinto del XVII secolo, San Benedetto, di autore ignoto.

L’altare di S. Francesca Romana, giuspatronato della famiglia Castiglioni, è sormontato da una grande pala inserita in una fastosa cornice in stucco posta all’interno di un nicchione archivoltato a tutto sesto con cornice classicheggiante. Sopra il coronamento del sovraltare, a timpano triangolare, sono due volute verso gli angoli ed una doppia arricciatura centrale al sommo. L’horror vacui nella zona alta è completato da tre putti posti ai vertici del timpano. Ai lati la tela è inquadrata da due paraste composite a base poligonale con capitelli pseudo-corinzi su cui impostano accenni di trabeazione con gocce e sorretta da due angeli in stucco, accanto ai quali in due scudi araldici dovevano essere gli stemmi degli oggi sconosciuti committenti. Il dipinto, Apparizione della Vergine con il Bambino e Santa Francesca Romana, riferito agli esordi di Giuseppe Ghezzi di Comunanza (1634-1721), raffigura Santa Francesca Romana, fondatrice delle Oblate di Monte Oliveto, alla quale appaiono la Vergine e il Bambino.

Nel secondo altare di destra, patronato del monastero, c'è un dipinto del XVII secolo, Crocefissione, di autore ignoto, copia di quello dipinta da Scipione Pulzone, detto il Gaetano, per la Cappella del Crocifisso nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. Nel dipinto sono raffigurati Cristo Crocefisso e alla sua destra la Madonna; ai piedi della croce la Maddalena e alla sua sinistra S. Giovanni Evangelista.

Nel primo altare di destra, giuspatronato della Compagnia del Rosario, è conservata un'opera realizzata nel 1526 di Antonio Liberi detto Antonio da Faenza (1456-1534), Madonna col Bambino e Santi. Nel dipinto è raffigurata la Vergine Maria in trono con il Bambino Gesù; alla destra: S. Michele Arcangelo che trafigge il demonio con una lancia e tiene con la mano sinistra una bilancia con due anime e S. Sperandia in preghiera che tiene nella mani una croce rossa, simbolo della sua ardente devozione alla Passione di Gesù. In basso è raffigurato S. Giovanni Battista con le braccia incrociate mentre alla sua sinistra ci sono S. Orsola con lo stendardo e S. Barbara che tiene in mano una torre e una palma. La predella del quadro è ornata da quattro pannelli che rappresentano, da sinistra, Angelo Annunciatore, San Benedetto e San Giuda Taddeo, San Marco Evangelista e Sant' Antonio Abate, La Vergine Annunciata. Nella base del pilastro di sinistra è incisa in cifre romane la data MDXXVI che si riferisce sia all'opera sia alla cornice.

 

Antonio da Faenza, Madonna col Bambino e Santi (foto del 3/1/2004)

Autore ignoto, Crocifissione (foto del 3/1/2004)

 

 

Schema della chiesa e collocazione delle opere (tratto da: Chiesa di Santa Sperandia, di G. Pecci, p. 5)

 

 


(1) Fra i principali si ricordano: l’Istrumento del 2 settembre 1278, manoscritto Vita Latina: actum Cinguli apud infrascripta sancta sonoris Spereindeo Ecclesia e lo Statuto di Cingoli del 1325, rubrica De eleemosynis: Ecclesii S. Marci, S. Amadei, S. Sperandeae cuilibet tres libras. Archivio di Stato di Macerata, Comune di Cingoli.

(2) F. C. Cavallini, Istoria della vita di S. Sperandia Vergine dell’Ordine Benedettino, Fermo 1752, pp. 87-91

(3) Il dipinto ricorda il miracolo delle ciliegie ad opera di S. Sperandia. La storia come è stata tramandata è la seguente: la chiesa e il convento avevano bisogno di riparazioni nel mese di gennaio, per cui la santa chiamò alcuni muratori per il restauro; preparò loro da mangiare e a fine pasto chiese loro se avessero bisogno di qualche cosa; uno dei muratori, per scherzo disse "O Madre, gradiremmo delle ciliegie". S. Sperandia si allontanò e, dopo aver fatto ricorso alla preghiera, le apparve un angelo in atto di porgerle un cesto di belle e fresche ciliegie che portò ai muratori, i  quali sbalorditi per il prodigio, si gettarono ai suoi piedi, chiedendole perdono per la scherzosa e irriverente richiesta.

 

Fonte:

T. Franceschini, Istoria della Vita della Gloriosa Santa Sperandia, Fermo 1602, pp. 12, 14

P. Appignanesi, Guida della città e del territorio, in Cingoli Natura Arte Storia Costume, Cingoli 1994, p. 112

G. Santarelli, Culto, chiesa e monastero di S. Sperandia, in AA.VV., Celebrazione VII Centenario della morte di S. Sperandia, Cingoli 1976, pp. 88, 92, 94

F. Mariano (a cura di), Cingoli. Chiesa di S. Sperandia, in Lo spazio del sacro. Chiese barocche tra '600 e '700 nella provincia di Macerata, Carima Arte srl, Macerata 2009, pp. 50-52

G. Pecci, Chiesa di Santa Sperandia, Cingoli 2013 (dispensa ad uso delle guide turistiche della Pro Loco), pp. 3, 5, 6, 13-15, 17

 

 


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