Coordinate
(google maps):
43°22'24.19"N 13°13'5.23"E
Le prime notizie certe della chiesa
risalgono al 1325. Della originaria struttura duecentesca, presumibilmente
in stile romanico, non restano che scarse tracce. Nella prima
metà del XVI secolo la chiesa fu oggetto di importanti
modificazioni, che comportarono l'adeguamento sia delle
strutture esterne (costruzione di una nuova torre campanaria e
di un fabbricato destinato a biblioteca, nel 1519, a spese,
quest'ultimo, di mons. Giovan Pietro Simonetti come ricordano le
due iscrizioni poste sulle pareti laterali del primo altare a
sinistra) che interne (ampliamento e abbellimento degli altari e
costruzione ex novo o restauro di ben dieci cappelle da parte
delle più facoltose famiglie della nobiltà cingolana). Durante
questa ristrutturazione fu collocata sull'altare maggiore la
tela Madonna del Rosario e Santi di Lorenzo Lotto.
Il convento di S. Domenico di
Cingoli fu annesso
alla Provincia domenicana della Lombardia Inferiore
dopo la riforma amministrativa dell’Ordine
dei Padri Predicatori del 1564. Colpito dalle soppressioni
innocenziane nel 1652, fu poi ripristinato
due anni dopo.
Nel 1727, secondo un documento dell’Archivio Capitolare
della Cattedrale di Cingoli, il tempio “in
rovina” fu demolito per ordine del priore Giuseppe
Maria Piazza, Vicario del Sant’Uffizio, e ricostruito
su disegno dell’architetto arceviese Arcangelo Vici
(1698-1762). Nel 1759 la fabbrica era quasi conclusa,
e nel 1761, anno precedente la morte di Arcangelo,
le sepolture gentilizie a terra erano già state
messe in opera. In base alle fonti documentarie è
riferibile dunque ad Arcangelo la redazione del progetto
e la quasi totalità del progresso della fabbrica,
mentre il completamento dell’interno, a partire dal
1762, è da attribuirsi in base alle evidenze stilistiche
al figlio Andrea (1743-1817), allievo del Murena e
del Vanvitelli, accademico di S. Luca e architetto
della Fabbrica di S. Pietro.
L’interno del S. Domenico fu profondamente modificato,
mentre la facciata, al pari di tanti altri edifici
costruiti o riadattati al linguaggio architettonico tra
Seicento e Settecento, restò incompiuta. Dell’antico
impianto venne mantenuto lo sviluppo longitudinale, conservando la parete sinistra prospiciente
via Foltrani, dilatandolo però internamente in un
invaso ellittico preceduto da una sorta di endonartece
e concluso con un profondo presbiterio a terminazione
semicircolare, assai più ampio di quello
originario.
L’articolato spazio è scandito da paraste a fascio con
capitelli corinzi, su cui imposta una trabeazione
non troppo aggettante che percorre l’intero perimetro.
Al di sopra della trabeazione, in corrispondenza
delle paraste, si dipartono le nervature della
volta. Nei lati lunghi dell’ellisse si aprono, due per
lato, quattro nicchie in spessore di muro, contenenti
altari minori dai ricchi dossali decorati. Il coronamento
architravati delle cappelle è elemento tipico
del linguaggio di Andrea Vici, derivante dalla chiesa
vanvitelliana del Gesù di Ancona e riproposto dallo
stesso Andrea in altri esempi di sua paternità come
a Camerino, Treia e Foligno.
Il presbiterio, leggermente sopraelevato e voltato con
un alto catino absidale emisferico, è separato dalla
navata da una balaustra mistilinea. Nelle pareti laterali
sono posti due coretti dai balconcini lignei mistilinei
con decorazioni dorate entro specchiature.
La copertura a volta dell’aula, a sesto ribassato, è
rinforzata all’estradosso da un sistema di archi e
nervature meridiane in laterizio: una lunga trave di
colmo collega due capriate lignee di sostegno poste
in corrispondenza dei punti di tangenza dell’aula
con il presbiterio e l’endonartece.
Sopra il
portale, nella controfacciata, si trova il dipinto San Vincenzo Ferrer
consegna la divina assoluzione a una giovane morente, opera
del XVIII secolo, di Pasquale Ciaramponi, affiancato da due
dipinti del XVIII secolo di autori ignoti: Pietà con Madonna
dei sette dolori e Transito di San Giuseppe. Al di
sopra di questi due dipinti ci sono rispettivamente il dipinto
del 1771 di Jacopo Calvi, Pentecoste (originariamente
posto nell'altare maggiore della chiesa di S. Spirito, in
sostituzione del precedente quadro, Immacolata Concezione,
del Vanneccioni, ora in Pinacoteca) e un dipinto del XVIII secolo di ignoto, Martirio dei Santi Crispino e
Crispiano.
Nella cappella di sinistra è
collocato l'affresco di Giovanni Antonio Bellinzoni da
Pesaro, Madonna della Misericordia, realizzato intorno al
1445. Originariamente
l'opera si trovava nella chiesa di S. Maria Maggiore, detta
Madonna del Gonfalone, posta fuori Porta Montana
(attuale Porta Piana) e parzialmente demolita, insieme all'annesso
ospedale, il 12 agosto 1827. Successivamente, il 19 luglio 1900,
il dipinto venne spostato nella chiesa di S. Marco, nei
pressi di S. Domenico. Alla base sono raffigurati
confratelli e consorelle del Gonfalone, così come si usava
dividersi nei banchi delle Chiese durante la messa. Al centro
del ventre della Madonna è raffigurato il Bambino, racchiuso
nella mandorla, con una palese difformità tra la parte destra
del corpo, perfetta, che ne simboleggia la natura divina (guance
colorate, corpo proporzionato e ben formato) e la parte
sinistra, imperfetta, che ne simboleggia la natura umana (guance
scolorite, occhio strabico, corpo non proporzionato e mano con
sei dita).
Nella stessa cappella è collocato
il dipinto, di autore ignoto, della prima metà del XVII secolo
Santa Maria della Vittoria raffigurante S. Pio V, S.
Tommaso d'Aquino, S. Antonino Pierozzi e la vittoria sui turchi
nella battaglia di Lepanto del 1571 e il dipinto del XVII secolo di autore ignoto, Santa Rosa da Lima
e Sant'Agnese da Montepulciano, originariamente collocato
nella stessa chiesa, sul vecchio e demolito altare di
giuspatronato della famiglia Simonetti Franceschini.
Sempre nella stessa cappella di
sinistra vi è l'affresco di Lorenzo e Jacopo Salimbeni,
Cristo Crocefisso, la Madonna e San Giovanni Evangelista,
realizzato intorno al 1420.
Il dipinto era originariamente collocato nella parete sinistra
dell'abside della chiesa ed è stato rinvenuto, per caso, avendo
la corda della campanella della messa tolto una porzione
dell'intonaco che lo ricopriva.
Nella cappella di destra sono
presenti un dipinto del XVII secolo di autore ignoto, Lo
Spirito Santo e i Santi Vincenzo Ferrer, San Carlo Borromeo e
Sant'Antonio da Padova e l'Apparizione della Vergine a S.
Giacinto attribuito al pittore cingolano Giuseppe Vanneccioni
(1564-1639).
Lo spazio centrale della chiesa è
costituito da un'area ellittica in cui si aprono quattro
cappelle con quattro altari e altrettanti dipinti. Nel primo
altare di sinistra c'è un dipinto realizzato intorno al 1790, I Santi
Pietro e Paolo affidano a San Domenico il compito di predicare
il Vangelo, di Giannandrea Lazzarini. L'autore ha illustrato
un episodio della "Legenda Aurea", secondo la quale mentre
Domenico era assorto in preghiera, gli apparvero i Santi Pietro
e Paolo: il primo gli consegnò una verga, il secondo un libro.
Il Santo ha una stella al di sopra del capo perchè, secondo una
fonte contemporanea, la sua fronte irradiava una sorta di luce
soprannaturale; un'altra versione vuole che la sua madrina
vedesse una stella scendere sopra il suo capo al momento del
battesimo. Il cane bianco e nero con una torcia accesa in bocca
si riferisce al sogno avuto dalla madre del Santo, nel quale le
fu preannunciato che avrebbe dato alla luce una creatura simile,
la spiegazione piùà plausibile di questa visione sembra essere
quella del gioco di parole che si faceva col nome Domenicani
latinizzandolo in Domini-canes e scomponendolo in "Domini canes"
(cani del Signore). Il libro ed il giglio posti sulla predella
dell'altare, con i quali il santo è solitamente raffigurato,
simboleggiano rispettivamente la predicazione del vangelo e la
castità.
Nel secondo altare di sinistra il
Cristo
Crocefisso, la Madonna, San Giovanni Evangelista e le tre Marie
realizzato intorno al 1789 da Nicola Monti. Nel dipinto sono
raffigurati: alla destra della Croce la
Vergine Maria, con alle spalle Salome e Maria di Cleofa; ai
piedi della Croce Maria Maddalena; alla sinistra della Croce San
Giovanni Evangelista.
Nel primo altare di destra c'è un'altra opera di Giannandrea Lazzarini, anch'essa del 1790 circa,
San Vincenzo Ferrer in atto di predicare, e nell'altare
successivo un altro dipinto di Nicola Monti,
Gloria di Santi domenicani, realizzato intorno al 1790.
Nell'area presbiteriale, accanto
all'opera di Lorenzo Lotto, si trovano, alla sinistra il San
Giacinto attribuito a Giuseppe Vanneccioni e l'Educazione
della Vergine di autore ignoto del XVIII secolo. Sulla destra, il San
Antonino Pierozzi attribuito a Giuseppe Vanneccioni e La
Maddalena di autore ignoto del XVIII secolo.
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Vista
del complesso da via Pietro Leoni (foto di S. Mosca) |
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Chiesa di
S. Domenico (foto di S. Mosca)
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Chiesa di
S. Domenico, Madonna del Rosario e Santi |
Una tradizione molto radicata nella storiografia
cingolana fa risalire la realizzazione della Madonna del Rosario alla volontà di Sperandia Franceschini, sposata con Gabriele Simonetti, nobile di Cingoli. Nel 1980 lo studioso B. J. Aikema pubblicò una lettera autografa del
pittore, datata 14 ottobre 1539 e inviata da Macerata, dove si chiede alla
Compagnia del Rosario di Cingoli il pagamento per l'opera, atteso da quattro
mesi. Da questo documento risulta chiaro quindi che il committente non fu un
privato ma la Confraternita del Rosario che già nel 1537 chiede al Comune
contributi in vista dell'ordinazione del dipinto. Tutto ciò non esclude comunque
la partecipazione al progetto della famiglia Simonetti legata all'Ordine
domenicano. E' possibile dunque che sia stata la stessa Sperandia a suggerire
alla Compagnia, come uno dei suoi membri più influenti, la commissione della
pala; non è da escludere che sia stata anche l'intermediaria con il pittore e
che per questo la tradizione locale ha ricordi come proprietaria del quadro.
Il dipinto, un olio su tela di cm. 384 x 264, fu
portato a termine dal pittore veneziano nel 1539, come si legge nella
faccia frontale del basamento lapideo su cui poggia il trono della Madonna: ".L.LOTUS.MDXXXIX."
L'opera è impostata sullo schema della Sacra Conversazione, tipo di pala
d'altare di origine quattrocentesca che a Venezia era già obsoleto da tempo,
inserita in un ambito spaziale preciso delimitato da un muretto di campagna su
cui l'erba cresce spontanea tra i mattoni e da un roseto sullo sfondo e trova
composizione geometrica nella forma piramidale imposta alle figure.
La parte inferiore della rappresentazione ha come protagonisti i Santi che rendono omaggio alla
Vergine. Da sinistra, sul primo
ordine, possiamo notare la figura di San Domenico che riceve la corona del
rosario dalla Madonna, mentre a destra troviamo Sant’Esuperanzio, patrono di
Cingoli, in abiti vescovili, che offre alla Vergine e al Bambino un modellino
della città. Un gesto, questo, che simboleggia la sottomissione di Cingoli alla
protezione della Madonna del Rosario che ufficialmente avverrà nel 1631. La rappresentazione
della città non è ideale, come era in uso all’epoca,
ma realistica, una vera e propria fotografia del paese risalente al biennio
1537-1539 in cui l’artista visse a Cingoli. Sempre a destra,
opposta a Maria Maddalena (elegantemente vestita in fogge tipicamente
cinquecentesche; secondo la tradizione il Lotto vi avrebbe raffigurato la
nobildonna cingolana
Sperandia Franceschini Simonetti) vi è Santa Caterina da Siena, figura femminile
fondamentale per l’Ordine Domenicano, cui si aggiungono sul terzo livello San
Pietro Martire, corredato dall’attributo iconografico della mannaia conficcata
nella testa, con cui subì il martirio, e dalla parte parte opposta San Vincenzo Ferrer, caratterizzato dall’indice alzato, che, in
questo caso, è funzionale allo spettatore in quanto indica l’ordine di lettura
della parte superiore della pala.
In una composizione che va letta dal basso verso
l'alto e da sinistra a destra, trovano luogo: i cinque Misteri gaudiosi
(Annunciazione, Visitazione, Natività, Presentazione al tempio, Cristo bambino
che insegna ai dottori), i cinque Misteri dolorosi (Cristo nell’orto degli
ulivi, Flagellazione, Incoronazione di spine, Ascesa al Calvario, Crocifissione)
e i cinque Misteri gloriosi (Resurrezione, Ascensione, Pentecoste, Assunzione
della Vergine, Incoronazione della Vergine).
In basso, al centro, Giovanni Battista bambino che indica il Cristo, e due
puttini, uno dei quali lancia con entrambe le mani petali di rose tratti a piene
mani dal cestone di vimini che ha dinanzi; gesto che, al di là dell’indubbio
valore simbolico e metaforico, accenna alla vetusta tradizione popolare di
gettare fiori al passaggio dell’immagine della Vergine durante le festività
religiose.
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Lorenzo Lotto,
Madonna del Rosario e Santi |
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Schema
della chiesa e collocazione delle opere (tratto da: Chiesa di San
Domenico, di G. Pecci, p. 3) |
Fonte:
P. Appignanesi, Guida della città e del territorio, in Cingoli. Natura Arte Storia
Costume, Cingoli 1994, p. 105
F.
Mariano (a cura di),
Cingoli. Chiesa di S. Caterina D'Alessandria, in Lo spazio del
sacro. Chiese barocche tra '600 e '700 nella provincia di Macerata, Carima
Arte srl, Macerata 2009, pp. 42-44
G.
Lavagnoli, La Madonna del Rosario di Lorenzo Lotto a Cingoli, Lamusa,
Teramo 2006
G.
Pecci, Chiesa di San Domenico, Cingoli 2013 (dispensa ad uso delle guide
turistiche della Pro Loco), pp. 3, 4, 9-10, 16-17