La scoperta dei resti delle Terme romane di San Vittore

"Il Popolo di Roma", 28 giugno 1933

 

Cingoli e il suo territorio era all’epoca romana uno dei più importanti luoghi di villeggiatura, come è attestato dai documenti e dai resti delle ville, templi, terme, acquedotti che in quei tempi vi furono costruiti e che a mano a mano sono venuti in luce.

Purtroppo però per incuria di tutti non sono stati mai presi gli opportuni provvedimenti per la conservazione di un così vasto materiale archeologico il quale appena tornava in luce durante l’esibizione dei lavori agricoli veniva ricoperto oppure distrutto.   

In questi ultimi 11 mesi il segretario capo don. Grasselli ha iniziato opportuni studi sulla base sia dei testi antichi sia delle iscrizioni romane, sia della tradizione del popolo allo scopo di poter riconoscere le località archeologiche e provocare gli opportuni provvedimenti da parte della R. Sovraintendenza ai monumenti.

Le sue ricerche sono state in questi giorni coronate da un importantissimo successo essendo egli riuscito a riconoscere la località e le acque delle famose terme romane di Arcione (S. Vittore) situate nei pressi del fiume Musone.

L'Avicenna, nella storia di Cingoli, nel 1644 cosi si esprimeva parlando di tali terme: “E' fama inveterata essere stato in questo castello un famosissimo bagno di acque salubri a molte infermità al quale facevano ricorso da lontane parti d'Italia molti infermi, ma di quelle acque non si ritrovano più nè le vene nè l'orme di esse”.

La toponomastica, la tradizione popolare, ed il rinvenimento di una planimetria delle terme eseguita durante scavi praticati negli anni 1845-1846 di cui si era perduta la memoria e la traccia, hanno concorso simultaneamente ed efficacemente alla importantissima scoperta.

E' stato assodato che nella località esiste una sorgente denominata “Fonte del Bagno” che alle acque il popolo ancor oggi ricorre per la cura dell'infermità attribuendogli effetti prodigiosi e che la zona è ricchissima di materiale archeologico, specialmente numismatico come già affermava l’Avicenna nel 1644. Ed anche oggi durante i lavori agricoli vengono continuamente in luce monete dell'epoca romana imperiale e frammenti di vari oggetti. Per ultimo il rinvenimento della planimetria dovuto alcuni mesi or sono al cavalier Nicola Spagnoli ha portato la sicurezza nella individuazione sia delle terme, sia della acque che le alimentavano.

Si è provveduto al prelevamento dei campioni delle acqua onde effettuarne le analisi per l’accertamento delle proprietà  terapeutiche ed è stata interessata la R. Sovraintendenza perché provveda per la esecuzione degli scavi onde rimettere in luce le vasche ed  i camerini da bagno i quali sono dotati di magnifici mosaici, con  artistici  disegni di animali  acquatici secondo quanto  si rileva  dalla   planimetria eseguita nel 1845.

L'Amministrazione comunale ha la ferma intenzione di promuovere la riapertura delle terme che dopo circa un millennio e mezzo costituirebbe un fatto di capitale importanza destinata ad avere i più lusinghieri sviluppi.

Anzi, data l’importanza, lo Stato dovrebbe concorrere a provvedere sia la ricostruzione nella loro forma originaria sia alla riapertura degli stabilimenti termari romani di S. Vittore; riapertura alla quale sarebbero connessi importantissimi fattori materiali, nonché fattori morali di inestimabile valore.

Recatici sul posto unitamente al dottor Grasselli per procedere ad una sommaria ricognizione della località abbiamo potuto rilevare che la “Fonte del Bagno” si trova sulla riva sinistra del fiume Musone al 43° 26’ di latitudine e 0.47’ 15’’ di long. Nord-Ovest Monte Mario ed è sita nei pressi della località “Ruderi”, segnata nella carta dell’Istituto Militare Geografico foglio 117 a quota 184.

Il fiume in questo punto scorre a quota 176 e quindi a 8 metri dal piano di campagna. Sulla ripa si trova la fontana, a tre metri dal piano stesso e l’acqua scaturisce da un folto di virgulti acacie e alberi del paradiso. L’acqua alimenta una sottostante vasca ove il popolo, anche da lontane parti, oggi conviene specie nella notte di S. Giovanni (24 giugno) per tuffarsi, nella persuasione che si tratti, come già detto, di acqua miracolosa, specie per le malattie della pelle.

Poco sopra ad un metro e cinquanta dal piano di campagna in un angolo solitario della ripa del fiume sulla scorta della planimetria, abbiamo facilmente rinvenuto una parte di una vasca da bagno, costruita con un sottofondo di calcestruzzo, di circa 25 cm di spessore, e con pavimento di rozzo mosaico a quadretti di mattone. Caratteristico, fra i ramoscelli di biancospino, v’era un nido di uccelletti implumi che sono caduti nel nostro obiettivo fotografico e nati li forse per rallegrare più tardi col cinguettio mattutino, quello che un tempo fu un luogo di svago. Abbiamo rinunciato a fare ulteriori assaggi allo scopo di rinvenire altre vasche indicateci nella planimetria perché il terreno è coperto di messi.

Dalle altre esplorazioni praticate nelle adiacenze abbiamo rinvenuto ruderi, frammenti di mosaico e lucerne, nonché basi di colonne (ora adibite a paracarri) e blocchi di marmo (trasformati a pontili o sedili) e poscia frammenti di lastricati di antiche strade romane che portano visibile il solco prodotto dal logorio delle acque. La zona si estende per oltre un chilometro tutta disseminata qua e là di ricordi di vita romana.

La località che oggi può definirsi una delle più feraci del territorio di Cingoli, un tempo conteneva una fiorentissima colonia romana la cui città fu distrutta dai Goti.

I naturali del luogo ci affermano che la leggenda attribuisce la distruzione della città, chiamata allora Civitella, alle rappresaglie di una regina, che trovandosi colà per prendere i bagni a scopo di cura, fu presa a fischi da alcuni ragazzi.  

 

 


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