Anche se la ricognizione di superficie resta la più fruttuosa tecnica di acquisizione di nuovi dati, l'archeologia dei paesaggi deve utilizzare differenti fonti che possono risultare molto importanti anche per una definizione più appropriata del contesto che si va ad indagare. La ricognizione archeologica deve quindi essere affiancata da altri studi e necessariamente da altre competenze e specializzazioni che esulano dal campo di ricerca più propriamente pertinente all'archeologo-ricognitore.

Per lo studio del paesaggio dell'Italia antica e dell'organizzazione di alcuni tipi di insediamenti (es. villa romana) sono molto utili le opere degli scrittori antichi, in particolare Catone, Varrone, Columella, Plinio il Vecchio (1). Vi sono poi degli scrittori che, direttamente o indirettamente, forniscono informazioni inerenti le proprietà fondiarie, come è il caso di Cicerone nelle sue Lettere (2). 

Dai documenti di archivio si possono ottenere importanti informazioni relative in particolare al medioevo e all'età moderna. Per l'alto medioevo i documenti sono ad esempio molto utili per la ricostruzione dell'ambiente o per conoscere i tipi di coltivazione, la conduzione agraria e i percorsi viari. Con il passare del tempo i fondi archivistici crebbero di numero e con essi la quantità di informazioni che è possibile estrapolare dalla loro lettura. Con l'età moderna poi aumentarono considerevolmente anche il numero delle immagini del paesaggio (mappe e cabrei). Un documento o una cartografia antica possono contribuire al riconoscimento dei paleoalvei, dei limiti di una bonifica antica e dei caratteri dei paesaggi agrari del passato. Talvolta, si rinvengono delle vere e proprie tracce fossili di paesaggi più antichi; alcuni confini di età medievale e moderna furono impostati, per l'assenza di elementi naturali o geografici appropriati allo scopo, sui resti antichi ancora presenti nelle campagne, come mura, torri o precedenti divisioni agrarie. 

Ai documenti di archivio si devono aggiungere anche le fonti iconografiche, cioè le immagini del paesaggio rappresentato dagli artisti tenendo ben presente che comunque tali raffigurazioni hanno risentito delle idee che il committente desiderava esprimere e della formazione culturale dell'esecutore (3).

Tra le fonti letterarie si annoverano anche le letterature moderne che possono fornire indicazioni utili per la ricostruzione dei paesaggi antichi: la letteratura di carattere antiquario o scientifico (4) e la letteratura in senso stretto, cioè romanzi, racconti e cronache di viaggi (5). Con l'età umanistica acquistò un peso crescente l'analisi filologica dei testi, l'epigrafia, la numismatica e la topografia storica. Fra le maggiori personalità del periodo si ricordano Ciriaco d'Ancona, molto attento al problema dell'attendibilità delle fonti letterarie ed epigrafiche nonché esploratore di numerosi luoghi del mondo greco-orientale; Leon Battista Alberti, autore di una pianta di Roma; Flavio Biondo che si occupò principalmente della descrizione geografica-storica dell'Italia antica e moderna. Durante l'età rinascimentale il viaggio attraverso le principali direttrici viarie divenne lo strumento metodologico dei primi archeologi del paesaggio. Le strade (Appia, Salaria, Flaminia, Emilia, Cassia) erano ancora in buono stato di conservazione così come alcuni insediamenti che le fiancheggiavano (il Vasari racconta di aver fatto il bagno nelle terme della via Cassia mentre Michelangelo ne disegnò i rilievi). I disegni degli allievi del Ghirlandaio, di Michelangelo e del Vasari (6) segnarono l'atto di nascita del "paesaggio con rovine" che raggiunse il suo apice in piena età barocca. A partire dal XVII secolo la moda del "paesaggio con rovine" si diffuse enormemente in Europa intrecciandosi con le sorti del "Grand Tour", «il viaggio dell'istruzione, della formazione e del sentimento che ogni giovane aristocratico europeo doveva compiere» (7). Berkeley fu il primo a viaggiare nel Mezzogiorno d'Italia svolgendo una serie di osservazioni urbanistiche e architettoniche, mentre altri personaggi erano maggiormente interessati alle evidenze archeologiche. Fra di essi si ricorda l'abate Saint-Non che tracciò un rilievo dell'impianto urbanistico di Metaponto sulla base dell'andamento delle tracce rappresentate dalla diversa crescita del grano (8). L'archeologia di età illuministica, caratterizzata anche da una notevole produzione di documentazione cartografica, ebbe il suo punto di arrivo in Quatremère de Quincy secondo il quale «l'antichità si compone ugualmente di luoghi, di montagne, di strade, di posizioni rispettive delle città in rovina, dei rapporti geografici, delle relazioni di tutti gli oggetti fra loro, delle memorie, delle tradizioni locali, delle usanze ancora esistenti, dei paralleli e dei raffronti che possono essere fatti solo all'interno di una regione» (9). Si arriva così all'Ottocento quando nasce l'archeologia topografica grazie alla presenza di studiosi, quali ad esempio Gerhard e Westphal, facenti capo alle istituzioni pontificie o all'Istituto di Corrispondenza Archeologica.

Le iscrizioni possono dare un contributo fondamentale alla descrizione della geografia storica dell'Italia pre-romana, romana e medievale, alla caratterizzazione dei gruppi sociali e quindi alla definizione dei soggetti, dei gruppi familiari e delle comunità attive in un certo territorio, all'individuazione dei luoghi di culto e delle attività economiche. Chiaramente il documento epigrafico riveste interesse se si trova ancora in situ o se comunque ne è certa la provenienza. Le iscrizioni si possono suddividere nelle seguenti categorie (10):

- iscrizioni di carattere topografico, che identificano città, villaggi, territori, aree sacre o pubbliche, centuriazioni

- iscrizioni di carattere monumentale, che identificano monumenti, opere pubbliche e onori concessi a un personaggio

- iscrizioni viarie, connesse con il sistema stradale e con il cursus publicus

- iscrizioni di tipo cartografico (es. Forma Urbis)

- iscrizioni riguardanti attività mercantili e manufatturiere

- iscrizioni nelle quali sono ricordate calamità naturali.

Il contributo offerto dalla toponomastica è molto importante per l'identificazione di elementi antichi sul paesaggio. Naturalmente è lo studioso di linguistica che svolge l'esegesi dei toponimi, per le questioni di carattere linguistico e glottologico che comporta, e la contestualizzazione del toponimo sotto vari punti di vista. L'archeologo infatti lavora preferibilmente su documenti già elaborati e resi accessibili (11). Secondo la classificazione di Uggeri (12) i toponimi sono divisi per categorie semantiche: paesaggio (oronimi, idronimi); poleografia (poleonimi); popoli e confini (etnici e termini di frontiera); centuriazione (terminologia agrimensoria); assetto rurale; attività economiche; viabilità. Ad esse si può aggiungere la categoria relativa ai toponimi di carattere religioso (teonimi e teocorici) che in certi casi permettono di identificare le aree sacre (13). E' comunque importante sottolineare che un toponimo è anche la risultante di vari condizionamenti ambientali e culturali e pertanto si rendono necessarie alcune precauzioni (14); ad esempio, evitare di servirsi di un toponimo isolato, non contestualizzato e non inserito in una serie ("Decima" può essere una pietra miliare e, altrove, una tassa); è più sicuro e significativo un toponimo corrotto e non più inteso che non uno trasparente ("Agosta" testimonia più di "Augusta"); cercare di risalire alle attestazioni documentarie più antiche.

Alcuni toponimi contengono l'indicazione precisa di elementi antichi. Per l'età romana, ad esempio, la toponomastica prediale permette di identificare il nome dell'antico proprietario terriero; molti degli odierni nomi di luogo con suffisso in -ano (es. "Pitigliano") derivano infatti da toponimi prediali latini ("Peitilianum"). Nelle formazioni con suffisso in -ana, -aga, -iga è sottintesa di solito la villa, la casa, la massa e simili. Altri toponimi sono invece collegati alla terminologia agrimensoria, come è il caso di "Limite", "Colonnata", "Sesto Fiorentino", "Dicomano", "Comano" che sono chiari indizi della presenza di una centuriazione. Per il periodo preromano esistono dei casi relativamente semplici come è il caso di certi poleonimi dell'Etruria storica ("Volterra", "Tarquinia") o idronimi ("Cecina", "Socenna"), e casi piuttosto complessi come quelli della Sardegna ("Macomèr" deriva da maqom, "fortezza" in punico) e della Sicilia. Nel meridione è importante l'apporto grecanico di tradizione antica e medievale. Lungo le coste calabresi, con presenza massiccia di fornaci ceramiche di età greco-coloniale, è frequente il toponimo "stracìa" (da ostraka, "cocciame"). Per il medioevo, oltre a toponimi di origine longobarda piuttosto facili da riconoscere ("fara" o "gualdo"), si hanno dei toponimi che possono indicare la presenza di un castello o di un monastero abbandonato ("Castellaccio", "Sant'Angelo Rovinato") o, in maniera meno diretta, un'attività caratteristica come l'allevamento brado dei maiali ("Porcareccia") (15). La toponomastica può risultare molto utile anche per lo studio della viabilità antica (16). Di una strada si può infatti recuperare la denominazione antica ("Postumia") o almeno un epiteto che ne indizi la relativa antichità (antiqua, publica). Sul piano topografico è possibile avere precisazioni sul tracciato ("Fiesso") o conoscere le distanze per il ricordo delle colonne miliari (Mediana), che indicano anche quale dovesse essere il centro più importante dal quale iniziava il computo delle miglia ("San Lazzaro del Terzo"). Si possono inoltre ottenere informazioni relative al tipo di manufatto ("Via Sèlice", da silex) e strutture accessorie, come ponti e viadotti ("Stradalta"). Altre indicazioni possono riguardare la localizzazione delle tappe e delle stazioni di sosta ("Mua" deriva da mutatio, la stazione postale) con i servizi connessi ("Fossombrone" deriva Forum Sempronii, in riferimento ai fora, i luoghi di mercato).

L'antropologia e l'etnoarcheologia possono fornire importanti contributi allo studio del paesaggio antico per comprendere principalmente i comportamenti umani antichi; questo approccio multidisciplinare è più efficace in quelle regioni in cui i modi di vita sono stati influenzati in misura minore dalla civiltà industriale, ma anche in ambiti "evoluti" possono sopravvivere testimonianze dei comportamenti pre-moderni. Per "etnoarcheologia" si intende (17) « l'osservazione diretta di come il record archeologico, che si presenta in forma "statica", viene prodotto da una comunità vivente. Nel merito, vengono indagate diverse sfere di attività, osservando le relazioni fra processi naturali e culturali nella formazione dei depositi, il ciclo di vita dei manufatti e le relazioni uomo-ambiente-manufatti. Scopo di queste ricerche è quello di creare ipotesi e modelli sulle attività di sussistenza e sulle forme di insediamento, sui rapporti fra manufatti e contesti socioculturali fino a ricostruire gruppi etnici, regole di parentela o rapporti gerarchici» (18). L'etnoarcheologia può essere quindi uno strumento utile a ricostruire le modalità in cui una comunità o gruppi sociali, etnici e religiosi hanno vissuto e percepito i paesaggi e l'analisi etnostorica diventa pertanto l'analisi delle attività, materiali e ideali, del passato che hanno lasciato traccia nei comportamenti di ieri e di oggi (19). Oltre allo studio delle attività economiche pre-industriali e delle economie pastorali, l'antro-etnoarcheologia può contribuire anche alla comprensione di antichi eventi ancora oggi ricordati in certe manifestazioni collegate alle tradizioni popolari. 

Le ultime fonti che vengono prese in considerazione sono quelle geomorfologiche e ambientali (per quanto riguarda il telerilevamento sarà dedicata una sezione a parte) che rivestono particolare importanza per la preistoria e l'archeologia medievale. I paleoecologi inglesi definiscono camp-followers quelle specie vegetali (ad esempio, fico, cappero, marruca, albero di Giuda) che hanno la tendenza a colonizzare luoghi frequentati e poi abbandonati dall'uomo. La presenza di questo tipo di vegetazione può quindi indicare situazioni piuttosto interessanti durante la fase di ricerca. Studi di tipo sedimentologico e pedologico possono far comprendere in quali zone si trovano gli insediamenti preistorici; ad esempio, gli studi effettuati lungo le rive degli antichi bacini lacustri dell'Etruria meridionale hanno consentito di ricostruire le variazioni verificatesi nel paesaggio vegetale a partire da epoche lontane (20). Per l'epoca romana è ancora in formazione una tradizione di studi in questo senso. Alcune analisi effettuate nelle pianure dell'Italia centrale hanno portato al riconoscimento di spessi strati di terra rossa originata dal disfacimento del calcare che costituisce l'ossatura delle colline soprastanti. Questo fenomeno di colluvione, spesso causato dall'abbandono e dal degrado degli antichi sistemi di coltivazione, è stato osservato in comprensori interessati in passato dal sistema della villa e quindi da piantagioni di vite e olivi. La presenza di accumuli di terra rossa può quindi essere una spia dell'esistenza di antichi sistemi insediativi e di conduzioni agricole avanzate, spesso connessi alla presenza di una villa romana (21). Per il periodo medievale infine un rilievo di tipo paleoecologico può portare a risultati molto interessanti. Ad esempio, quando un olivo e la relativa piantagione vengono abbandonati, la pianta torna ad inselvatichirsi presentandosi nella forma dell'oleastro (specie spontanea) nei pressi della vecchia pianta. Se nel corso di una ricognizione ci si imbatte in una concentrazione di oleastri è opportuno fare molta attenzione alla disposizione delle piante stesse che, se distribuite in maniera regolare, possono indicare la presenza di un oliveto abbandonato. In casi come questi è necessario andare alla ricerca di conferme archeologiche (resti di strutture medievali) o toponomastiche (22). 

 


(1) Per le fonti letterarie si veda: G. Uggeri, Le fonti scritte di età classica, in P. L. Dall'Aglio (a cura di), La topografia antica, Bologna 2000, pp. 45-62

(2) Per alcuni esempi di utilizzo di fonti antiche nello studio del territorio si veda: F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, Carocci, Urbino 2005, pp. 19-25

(3) F. Cambi, Ricognizione archeologica, in R. Francovich - D. Manacorda (a cura di), Dizionario di archeologia, Laterza, Bari 2000, p. 253

(4) G. Uggeri, Storia degli studi di topografia antica, in P. L. Dall'Aglio (a cura di), La topografia antica, cit., pp. 23-43

(5) E' il caso dei racconti di viaggio di Montaigne, di Jean de Thévenot, di Goethe e di Stendhal. Sull'argomento si veda: A. Schnapp, La conquista del passato, Milano 1994

(6) G. Romano, Idea del paesaggio italiano, in C. De Seta (a cura di), Storia d'Italia, Annali 5, Il paesaggio, Torino 1982, pp. 265 ss.; G. Romano, Studi sul paesaggio, Torino 1991

(7) F. Cambi - N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, NIS, Urbino 1994, p. 18

(8) Il fenomeno della crescita differenziale della vegetazione causata dalla presenza di strutture sottostanti era già stato intuito all'inizio del Seicento da Camden e Louvet, F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., p. 47; G. Alvisi, La fotografia aerea nell'indagine archeologica, NIS, Roma 1989, p. 25

(9) G. Pucci, Il passato prossimo. La scienza dell'antichità alle origini della cultura moderna, Roma 1993, pp. 25-29

(10) G. Uggeri, Le fonti epigrafiche, in P. L. Dall'Aglio (a cura di), La topografia antica, cit., pp. 85-104 - F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., p. 26

(11) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., pp. 38-39

(12) G. Uggeri, Il contributo della toponomastica alla ricerca topografica, in P. L. Dall'Aglio (a cura di), La topografia antica, cit., pp. 119-134

(13) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., p. 39

(14) G. Uggeri, Questioni di metodo. La toponomastica nella ricerca topografica. Il contributo alla ricostruzione della viabilità, in JAT, 1, 1991, p. 24

(15) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., pp. 39-40

(16) Per una classificazione della toponomastica stradale si veda: G. Uggeri, Questioni di metodo. La toponomastica nella ricerca topografica. Il contributo alla ricostruzione della viabilità, in JAT, 1, 1991, pp. 22-36

(17) A. Guidi, I metodi della ricerca archeologica, Bari 1999, pp. 138 ss; M. Vidale, Etnoarcheologia, in R. Francovich - D. Manacorda (a cura di), Dizionario di archeologia, cit., pp. 143-144

(18) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., p. 57

(19) Per un esempio di applicazione dell'inchiesta etnoarcheologica agli aspetti materiali dell'archeologia dei paesaggi si veda lo studio di Christie condotto in provincia di Rieti relativo all'allevamento ovino nel periodo compreso fra il Bronzo antico e i giorni nostri: N. Christie, Leicester in Sabina, Leicester 1992; F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., pp. 57-58

(20) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., p. 55

(21) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., p. 55

(22) F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti e diagnostica, cit., pp. 55-56

 

 


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