La necropoli del Priamar

di Adriano Gaspani

 l'Astronomia n. 192 (novembre 1998) pp. 34-41

 

Nella parte nordest della città di Savona, sull'altura detta del Priamar è possibile ammirare l'imponente fortezza costruita dai Genovesi nel 1542.  L'edificazione della fortezza fu eseguita distruggendo parte dell'abitato preesistente il quale era a sua volta costruito sopra vari insediamenti più antichi che arrivano fino alla preistoria. Gli scavi condotti dagli archeologi fin dagli anni Trenta hanno permesso di mettere in evidenza una necropoli sviluppatasi dai primi secoli dopo Cristo lungo un periodo di circa trecento anni in cui furono inumati i defunti dei Sabazi (Sabates), una popolazione di stirpe Celto-Ligure ormai convertita quasi completamente al Cristianesimo.  

I reperti archeologici derivanti dagli scavi compiuti sull'altura del Priamar sono stati ampiamente studiati secondo criteri strettamente archeologici. Qui vogliamo invece descrivere i risultati di una ricerca archeoastronomica relativa alla distribuzione spaziale delle tombe.  

Uno dei paradigmi dell’archeoastronomia è il supporre, quale ipotesi di lavoro, che l’astronomia abbia avuto una parte rilevante nei criteri di costruzione e di orientazione di luoghi di culto, insediamenti urbani, necropoli. Ciò significa ipotizzare che questi luoghi possano essere stati costruttivamente orientali verso punti dell'orizzonte locale in corrispondenza dei quali era possibile osservare ad occhio nudo il sorgere e/o il tramontare degli oggetti celesti più appariscenti e significativi dal punto di vista pratico (calendario, agricoltura) e rituale (celebrazione di feste e rituali ad esse connessi). Tra gli astri più considerati abbiamo ovviamente il Sole e la Luna, ma anche le stelle più luminose della terza grandezza potrebbero aver rivestito qualche significato importante. Il paradigma archeoastronomico richiede l'esecuzione di laboriosi calcoli per comparare gli angoli di azimut misurati nel sito archeologico con la posizione degli oggetti celesti facilmente visibili ad occhio nudo, in corrispondenza dell'epoca in cui gli archeologi collocano cronologicamente il sito.  

Talvolta i calcoli astronomici sono in grado di confermare la datazione conosciuta per un sito o di sollevare dubbi su di essa. I calcoli consistono nel ricostruire la posizione teorica apparente degli astri visibili ad occhio nudo nel cielo per epoche generalmente molto remote nel tempo e quindi è necessario tener conto di tutti i fattori che possono propagare errori nei risultati. E' stato usato l'aggettivo "apparente" per la posizione calcolata degli astri in quanto è necessario calcolare non dove l'oggetto celeste "era esattamente" nel cielo, ma  dove esso "era visibile": cioè è necessario tener conto di molti fattori, come la rifrazione e l'estinzione atmosferica, la parallasse, l'altezza dell'orizzonte fisico locale e altri di minor entità, ma non di minor importanza.  

Di conseguenza, spesso si richiede l'uso di modelli e tecniche matematiche molto sofisticati che, uniti alla disponibilità di calcolatori elettronici veloci, permettono di ottenere approssimazioni sufficientemente accurate relativamente a cosa, come e dove era possibile osservare in cielo anche anteriormente al 5000 a.C.: cionondimeno, tutte le previsioni che saremo in grado di ottenere relativamente ai punti di sorgere e tramontare degli oggetti celesti porteranno sempre con sé un certo grado di incertezza che renderà impossibile ragionare in termini di allineamenti o orientazioni esatte.  

Sull'altura del Priamar sorse con ogni probabilità il primo insediamento preistorico savonese e il luogo venne abitato via via da altre popolazioni in epoche successive. I reperti archeologici permettono di stabilire che la più antica frequentazione del Priamar risale alla media Età del Bronzo come conseguenza dello spostamento verso il mare di alcuni insediamenti preistorici liguri.

Durante l'Età del Ferro si sviluppò in quel luogo l'Oppidum di Savo costruito e abitato dai Sabazi, popolazione di stirpe celto-ligure, i quali entrarono ben presto in contatto, attraverso i mercanti, con i Greci, gli Etruschi, i coloni greci di Marsiglia, i Punici e per vie di terra con i Galli sia padani che transalpini. La prima testimonianza storico letteraria disponibile risale a Tito Livio il quale riporta che Magone, fratello di Annibale, utilizzò nel 205 a.C. per le sue navi l'approdo di Savo Oppidum Alpinum, che corrispondeva appunto all'abitato del Priamar e alla sottostante insenatura. La romanizzazione del Ponente si concluse nel 180 a.C. con il "foedus iniquum"; nel 109 a.C. venne aperta la via Aemilia Scauri che da Piacenza, Tortona, Acqui, attraverso la Valle Quazzola, raggiungeva il mare in prossimità di Vado Sabazia (o attuale Vado Ligure) sviluppatasi circa nel II secolo a.C. Gli abitanti dell'oppidum di Savo ottennero la cittadinanza romana nell'80 a.C. e i pieni diritti di Municipium romano nel 45 a.C. con la Lex Rubria de Gallia Cisalpina. 

L'oppidum di Savo divenne comunque un centro di secondo piano rispetto a quello di Vado Sabazia in quanto Roma, presso quest'ultimo, aprì un importante porto artificiale sfruttando le favorevoli condizioni offerte dal territorio; nel 13-12 a.C. Augusto aprì un nuovo tratto viario da Vado alla Provenza operando la completa ristrutturazione della città che da allora in poi assunse il nome di Julia Augusta. Quale fosse la dimensione dell'oppidum di Savo in età imperiale non è chiaro in quanto mancano fonti storico-letterarie ben attestate in proposito.  

Durante il terzo secolo dopo Cristo, il colle del Priamar ritornò ad essere sede di un importante insediamento grazie alla sua posizione dominante e più facilmente difendibile in quel periodo storico caratterizzato dalle invasioni barbariche. La popolazione del Priamar era a quel tempo ormai completamente convertita al Cristianesimo anche se qualche tradizione rituale pagana sopravviveva ancora. Una buona parte dell'altura centrale fu destinata ad area sepolcrale; lì si sviluppò una vasta necropoli che sarà popolata di sepolture durante tutto l'alto medioevo. 

La necropoli, dimenticata per secoli, sepolta sotto le infrastrutture sorte successivamente, venne scavata a più riprese dal 1969 in poi da Carlo Varaldo e Rita Lavagna-Varaldo. Dagli scavi emersero 86 sepolture di vario tipo, talune con corredo, le quali sono disposte secondo file orientale grosso modo lungo la direzione equinoziale (est-ovest). Le tipologie, messe in relazione cronologica, suggeriscono uno sviluppo della necropoli grosso modo tra la seconda metà del IV secolo fino alla prima metà del VII secolo dopo Cristo. Il contesto in cui queste sepolture si collocano è certamente cristiano, ma in almeno otto di esse è stata trovata traccia di tradizioni rituali pagane tipicamente celtiche, che si concretizzano ad esempio nella deposizione di un boccale presso il capo del defunto, destinato a contenere cibo o bevande da consumarsi dopo la morte.

Alcune tombe poste nella parte settentrionale del "vano G" della Loggia del Castello Nuovo

Le sepolture sono topograficamente concentrate grosso modo entro l'area della Loggia del Castello Nuovo, settore quest'ultimo che fa parte della fortezza genovese. Una delle sepolture, precisamente la 61, risulta collocata in posizione molto decentrata rispetto alle altre, a ben 40 metri dal margine sud della necropoli. Essa forse potrebbe essere avulsa dal contesto globale del sepolcreto ed è possibile che la sua realizzazione risalga a un epoca decisamente posteriore. La sepoltura 85, risalente al V secolo, è intagliata nella roccia viva, coperta da grosse pietre e ospitava un personaggio di rilievo; di lunghezza maggiore delle altre, è l'unica entro cui furono reperiti oggetti metallici, in particolare le parti in bronzo di un cinturone, quali il puntale, la fibbia e i passanti.  

L'area occupata dalla necropoli ha subito nei secoli un'intensa trasformazione che ha fatto sì che attualmente solo 56 tombe su 86 siano conservate in uno stato di almeno parziale integrità; nel caso delle restanti 30 sepolture è giunto sino a noi solamente il semplice intaglio nella roccia. Questo, comunque, risulta sufficiente per stabilire con precisione la direzione di orientazione.  

Per quanto riguarda la tipologia, abbiamo 38 tombe a cappuccina (con copertura a tegoloni), 29 sepolture per le quali gli studiosi non sono stati in grado di discriminare tra il tipo a cassa e il cappuccina, 7 del tipo a cassa, mentre le sepolture ad anfora sono 8, soprattutto destinate ad accogliere resti di fanciulli. In effetti, l'ispezione del contenuto ha mostrato che circa un quarto delle tombe riguardano giovani o fanciulli. La forma è rettangolare per la quasi totalità delle sepolture, con misure oscillanti tra 157 e 222 cm di lunghezza e fra 34 e 90 cm di larghezza. La profondità varia tra 25 e 35 cm. La sepolture dei fanciulli risultano di dimensioni un poco più ridotte. 

La necropoli occupa la sommità centrale del colle del Priamar, proprio nella sua parte strategicamente più importante, a strapiombo sul mare. Il luogo risulta molto favorevole dal punto di vista dell'osservazione astronomica, abbracciando un arco di orizzonte osservabile sgombro da ostacoli di 152°; gli azimut degli estremi dell'arco di orizzonte osservabile sono 50° in direzione dell'estremo limite di Albisola Capo a nord-est e 202° verso l'Isola di Bergeggi a sud-ovest. Sul promontorio sovrastante l'Isola di Bergeggi, sopra il monte S. Elena, è stato scoperto recentemente (1992) un castelliere celto-ligure risalente all'Età del Ferro usato come struttura difensiva ancora per tutto il medioevo e quindi in pieno sviluppo anche quando la comunità sabazia seppelliva i propri morti sul colle del Priamar.  

La disponibilità di un orizzonte sgombro per tutto quell'arco permetteva, e permette tuttora, l'osservazione del sorgere del Sole per tutto l'anno e della Luna nel corso del ciclo di 18,6 anni. Oltre a ciò, era possibile osservare il punto di levata di molte stelle luminose.  

Il fatto che esista un'orientazione pressoché comune in quassi tutte le sepolture della necropoli del Priamar suggerirebbe la possibilità che le tombe fossero state disposte verso il punto di levata dì qualche oggetto celeste visibile a quella latitudine nel periodo che va dal III al VII secolo. Attualmente solo un ristretto numero di tombe è effettivamente visibile, in quanto inglobate nel pavimento di alcune delle sale del Museo Archeologico di Savona; le altre sono state ricoperte dalle infrastrutture del restauro della fortezza genovese e dello stesso Museo. Tuttavia esiste in letteratura un'adeguata documentazione basata sui rilievi degli archeologi e composta da accurate planimetrie. 

La quantità misurata durante i sopralluoghi del 1996 e del 1997, eseguiti dallo scrivente e favoriti dal direttore del Museo prof. Varaldo, è stata l'angolo di azimut tra la direzione del meridiano astronomico e l'asse di ciascuna sepoltura nel senso ovest-est corrispondente anche alla direzione "cranio-pelvi" degli scheletri ritrovati nelle tombe.

Esistono due modi per analizzare una necropoli dal punto di vista archeoastronomico. Il primo è quello di esaminare individualmente ciascuna sepoltura determinandone l'orientazione dell'asse maggiore e calcolare quali oggetti celesti sorgevano o tramontavano all'orizzonte fisico locale in prossimità del punto di intersezione tra l'allineamento e il profilo dell'orizzonte. Il secondo modo è quello di ricostruire mediante considerazioni statistiche gli azimut di orientazione delle sepolture per la necropoli in tutto il suo complesso. Questo approccio, sperimentato con successo dallo scrivente su alcune necropoli celtiche francesi e sulla necropoli boica di Casalecchio di Reno (BO), permette di tener conto anche di come una necropoli potrebbe essersi evoluta nel tempo dalla prima sepoltura fino alla configurazione finale che ci è dato di studiare.

Nel caso della necropoli del Priamar sono stati applicati entrambi i metodi. L'analisi globale delle 86 sepolture ha mostrato immediatamente alcuni fatti molto interessanti.  

Il primo è che il valore di maggior probabilità dell'azimut di orientazione dell'intera necropoli è 102° con un errore di 3°, quindi consistentemente lontano dalla direzione equinoziale (90°-270°). Il secondo fatto concerne la presenza di un secondo "picco" statistico centrato a 140° con un errore di 2° e di un terzo "picco" a 195° con errore di 2°. Si evidenziano così tre popolazioni statistiche indipendenti. Due delle tombe che fanno parte del terzo gruppo (le numero 63 e 64) sono entrambe sepolture a cappuccina e i loro assi sono caratterizzati da un parallelismo molto spinto. E' curioso notare che entrambe le tombe sono di ridotte dimensioni, tanto da far pensare che si tratti di tombe di adolescenti. Il valore dell'azimut di orientazione dell'asse delle due sepolture (195°) risulta vicino al limite di visibilità della linea dell'orizzonte in direzione sud-ovest. 

L'orientazione media globale, quella di maggior frequenza, come si è detto, ha un azimut pari a 102°. Questo valore potrebbe suggerire un criterio di tipo solare equinoziale:sarebbe naturale aspettarselo nel caso di un luogo di culto cristiano. Infatti, sin dagli albori del Cristianesimo esistette la tradizione di orientare i templi, o più in generale i luoghi di culto e quindi anche i sepolcreti, verso la direzione est,corrispondente alla levata del Sole agli equinozi (Versus Soiem Orientem). In realtà, nel caso della necropoli del Priamar una simile orientazione appare decisamente improbabile: solo un sottoinsieme di 17 tombe potrebbe essere stato orientale verso il Sole nascente agli equinozi. Inoltre, non è stata rilevata alcuna sepoltura orientata verso i punti di levata o di tramonto dell'astro diurno nei giorni dei solstizi.

Scartato il Sole e anche la Luna (per la totale mancanza di orientazioni verso le particolari posizioni sull'orizzonte del nostro satellite durante il ciclo di 18,6 anni), è utile indagare l'eventuale possibilità di una correlazione con il punto di levata di qualche stella o costellazione dal III al VII secolo.

Attualmente il Polo Nord Celeste, cioè il punto di intersezione tra il prolungamento ideale dell'asse terrestre e la sfera celeste, è prossimo alla posizione della Stella Polare, alfa Ursae Minoris, ma al tempo dello sviluppo della necropoli del Priamar non era così. Infatti, il punto del cielo intorno al quale tutti gli astri ruotavano era situato in corrispondenza di una posizione intermedia tra la stella Kochab (beta UMi) e l'attuale Stella Polare. La differente orientazione della sfera celeste implica tra l'altro che dall'altura del Priamar potessero essere viste stelle posizionate nell'emisfero meridionale che attualmente non salgono più sull'orizzonte in direzione sud; ad esempio, potevano essere osservate le stelle della costellazione del Centauro.  

Dai calcoli risulta che dal III al VII secolo la costellazione di Orione sorgeva coprendo con la sua estensione un segmento d'orizzonte centrato sull'orientazione principale rilevata nel sepolcreto del Priamar. I valori numerici degli azimut concordano molto bene tra loro, il che riduce la possibilità che l'associazione sia di natura puramente casuale. Almeno 33 tombe risultano orientale, entro i limiti dovuti all'accuratezza delle misure, verso la posizione di levata di questa costellazione. Orione era ben nota ai Celti, che già dal VI secolo a.C.  spesso orientavano i loro luoghi sacri verso il punto del sorgere delle sue stelle; ad esempio, il nemeton di Libenice in Boemia. Non è detto che i Celto-Liguri avessero le stesse abitudini, soprattutto in epoca cristiana, ma la concordanza degli azimut è un dato di fatto che non può essere ignorato.  

Una vera sorpresa è però rilevare che ci sono almeno 30 tombe con l'asse diretto verso il punto di levata di Mira Ceti, altra vecchia conoscenza dei Celti (alcune orientazioni verso questa stella furono rilevate ancora nel nemeton di Libenice).

Anche Strio risulta correlata con l'orientazione delle sepolture, con 23 tombe possibilmente orientale verso il suo punto del sorgere,  e soprattutto Spica. Ciò che lascia stupefatti è che la levata eliaca di questa stella concorda così strettamente con il picco principale che almeno 35 tombe potrebbero essere state orientale verso il suo azimut di prima visibilità attorno al V secolo. 

Le stelle che tramontano risultano invece molto meno favorite; nessuna è in grado di superare 1'1% di probabilità di essere stata l'obiettivo dell'orientazione di qualche tomba. Questo fatto appare naturale, ma significativo, considerando che l'orizzonte occidentale osservato dal colle del Priamar risulta completamente occluso dalle alture che circondano Savona da Albisola all'Isola di Bergeggi. 

E' da precisare che i valori presi in considerazione per il sorgere degli astri si riferiscono ai cosiddetti azimut di prima visibilità i quali sono leggermente superiori a quelli relativi al punto di levata delle stelle all'orizzonte astronomico locale (nel caso del Priamar, il profilo del mare). L'azimut di prima visibilità è quello relativo all'istante in cui l'astro si trova a un'altezza apparente rispetto all'orizzonte astronomico sufficiente affinché la sua luce riesca a filtrare attraverso gli strati atmosferici, potendo quindi giungere all'occhio dell'osservatore.

Dunque l'analisi archeoastronomica ha permesso di mettere in evidenza la possibile tendenza da parte dei Sabazi ad orientare le loro sepolture nella direzione del sorgere della costellazione di Orione, di Sirio e della levata eliaca di Spica nel periodo che va dal III al VII secolo. La levata eliaca di Spica avveniva, nel V secolo, grosso modo durante la prima decade di ottobre, quindi preludeva all'incipiente stagione invernale. L'economia dei Sabazi era prevalentemente rurale: quindi il levare eliaco di Spica avrebbe potuto costituire, dal punto di vista agricolo, un utile indicatore stagionale. Tutti e tre questi oggetti celesti erano ben noti alle popolazioni celtiche e celto-liguri durante l'Età del Ferro. Sirio addirittura aveva a che fare con una delle feste rituali più importanti dell'anno celtico: la sua levata eliaca stabiliva il periodo giusto per la celebrazione della festa di Lughnasad. Questo potrebbe essere messo in relazione con il fatto che i Sabazi, essendo di stirpe celto-ligure, potevano aver conservato più o meno le tradizioni proprie dei Celti continentali, anche se marcate influenze italiche furono presenti nell'area da loro occupata durante l'Età del Ferro e in epoche successive.

Un'accurata analisi condotta dall'autore ha dimostrato che il castelliere posto sul Monte S. Elena (a lato una mappa del sito) è astronomicamente orientato: vi si rilevano orientazioni solari, lunari e direzioni orientate verso i punti di levata di Aldebaran, Deneb e Spica. Si tratta di orientazioni comuni durante l'Età del Ferro nei luoghi sacri costruiti dai Celti in Europa che testimoniano a favore di una certa uniformità nell'osservazione del cielo da parte dei Celti e delle popolazioni liguri durante questo periodo.

 

Scheda autore

Adriano Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente svolge l'attività di system manager presso il locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo inaugurato l'applicazione di tecniche di ricognizione e analisi computerizzata di siti preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare riferimento ai reperti risalenti alla cultura celtica.

 

 


Sommario Il calendario celtico di Coligny