Nella
parte nordest della città di Savona, sull'altura detta del
Priamar è
possibile ammirare l'imponente fortezza costruita dai Genovesi nel
1542. L'edificazione
della fortezza fu eseguita distruggendo parte dell'abitato preesistente
il quale era a sua volta costruito sopra vari insediamenti più
antichi che arrivano fino alla preistoria. Gli
scavi condotti dagli archeologi fin dagli anni Trenta hanno
permesso di mettere in
evidenza una necropoli sviluppatasi dai primi secoli
dopo Cristo lungo un periodo di circa trecento anni in cui furono
inumati i
defunti dei Sabazi (Sabates), una popolazione di stirpe
Celto-Ligure ormai
convertita quasi completamente al Cristianesimo.
I
reperti archeologici derivanti dagli scavi compiuti sull'altura
del Priamar
sono stati ampiamente studiati secondo criteri strettamente
archeologici. Qui vogliamo
invece descrivere i risultati di una ricerca archeoastronomica
relativa alla distribuzione spaziale delle tombe.
Uno
dei paradigmi dell’archeoastronomia è il supporre, quale
ipotesi di lavoro, che l’astronomia abbia avuto una parte
rilevante nei criteri di
costruzione e di
orientazione di luoghi di culto, insediamenti urbani, necropoli.
Ciò significa ipotizzare che
questi luoghi possano essere stati costruttivamente
orientali verso punti dell'orizzonte locale in
corrispondenza dei quali era possibile osservare ad occhio nudo il
sorgere e/o il tramontare degli oggetti celesti più
appariscenti e significativi dal punto di vista pratico
(calendario, agricoltura) e rituale (celebrazione di feste e
rituali ad esse connessi).
Tra gli astri più considerati abbiamo
ovviamente il Sole e la Luna, ma anche le stelle più
luminose della terza grandezza potrebbero aver rivestito
qualche significato importante. Il paradigma
archeoastronomico richiede l'esecuzione di laboriosi calcoli per
comparare gli angoli di azimut misurati nel sito
archeologico con la posizione degli oggetti celesti facilmente
visibili ad occhio nudo, in corrispondenza dell'epoca in
cui gli archeologi collocano cronologicamente il sito.
Talvolta i calcoli astronomici sono in grado di confermare
la datazione conosciuta per un sito o di sollevare
dubbi su di essa. I calcoli consistono nel ricostruire la
posizione teorica apparente degli astri visibili ad occhio
nudo nel cielo per epoche generalmente molto remote
nel tempo e quindi è necessario tener conto di tutti i
fattori che possono propagare errori nei risultati. E'
stato usato l'aggettivo "apparente" per la
posizione calcolata degli astri in quanto è necessario calcolare
non
dove l'oggetto celeste "era esattamente" nel
cielo, ma
dove esso "era visibile": cioè è necessario
tener conto di
molti fattori, come la rifrazione e l'estinzione
atmosferica, la parallasse, l'altezza dell'orizzonte fisico locale
e
altri di minor entità, ma non di minor importanza.
Di conseguenza, spesso si richiede l'uso di modelli e
tecniche matematiche molto sofisticati che, uniti alla
disponibilità di calcolatori elettronici veloci,
permettono di ottenere approssimazioni sufficientemente accurate
relativamente a cosa, come e dove era possibile osservare in cielo
anche anteriormente al 5000 a.C.: cionondimeno,
tutte le previsioni che saremo in grado di ottenere relativamente
ai punti di sorgere e tramontare degli
oggetti celesti porteranno sempre con sé un certo grado
di incertezza che renderà impossibile ragionare in termini
di allineamenti o orientazioni esatte.
Sull'altura
del Priamar sorse con ogni probabilità
il primo insediamento preistorico savonese e il luogo
venne abitato via via da altre
popolazioni in epoche successive.
I reperti archeologici permettono di stabilire che
la più antica frequentazione del Priamar risale alla media
Età del Bronzo come conseguenza dello spostamento verso il mare
di alcuni insediamenti preistorici liguri.
Durante l'Età del Ferro si sviluppò
in quel luogo l'Oppidum di
Savo costruito e abitato dai Sabazi, popolazione di stirpe
celto-ligure, i quali entrarono ben presto in contatto, attraverso
i mercanti, con i Greci, gli Etruschi,
i coloni greci di Marsiglia, i Punici e per vie di terra
con i Galli sia padani che transalpini. La prima testimonianza
storico letteraria disponibile risale a Tito Livio
il quale riporta che Magone, fratello di Annibale, utilizzò
nel 205 a.C. per le sue navi l'approdo di Savo Oppidum
Alpinum, che corrispondeva appunto all'abitato del Priamar e alla
sottostante insenatura. La romanizzazione del Ponente si concluse
nel 180 a.C. con il "foedus
iniquum"; nel 109 a.C. venne aperta la via Aemilia Scauri che
da Piacenza, Tortona, Acqui, attraverso la Valle Quazzola,
raggiungeva il mare in prossimità di
Vado Sabazia (o attuale Vado Ligure) sviluppatasi circa
nel II secolo a.C. Gli abitanti dell'oppidum di Savo ottennero
la cittadinanza romana nell'80 a.C. e i pieni diritti
di Municipium romano nel 45 a.C. con la Lex Rubria
de Gallia Cisalpina.
L'oppidum
di Savo divenne comunque un centro di secondo
piano rispetto a quello di Vado Sabazia in quanto
Roma, presso quest'ultimo, aprì un importante porto artificiale
sfruttando le favorevoli condizioni offerte
dal territorio; nel 13-12 a.C. Augusto aprì un nuovo
tratto viario da Vado alla Provenza operando la completa
ristrutturazione della città che da allora in poi
assunse il nome di Julia Augusta. Quale fosse la dimensione
dell'oppidum di Savo in età imperiale non è
chiaro in quanto mancano fonti storico-letterarie ben
attestate in proposito.
Durante
il terzo secolo dopo Cristo, il colle del Priamar ritornò
ad essere sede di un importante insediamento grazie
alla sua posizione dominante e più facilmente difendibile
in quel periodo storico caratterizzato dalle invasioni
barbariche. La popolazione del Priamar era a quel
tempo ormai completamente convertita al
Cristianesimo anche se qualche tradizione rituale pagana
sopravviveva ancora. Una buona parte dell'altura
centrale fu destinata ad area sepolcrale; lì si sviluppò una
vasta necropoli che sarà popolata di sepolture durante
tutto l'alto medioevo.
La
necropoli, dimenticata per secoli, sepolta sotto
le infrastrutture sorte successivamente, venne scavata a più
riprese dal 1969 in poi da Carlo Varaldo e Rita Lavagna-Varaldo. Dagli scavi emersero 86 sepolture di vario
tipo, talune con corredo, le quali sono disposte secondo
file orientale grosso modo lungo la direzione equinoziale
(est-ovest). Le
tipologie, messe in relazione cronologica, suggeriscono uno
sviluppo della necropoli grosso modo tra la seconda
metà del IV secolo fino alla prima metà del VII secolo
dopo Cristo. Il contesto in cui queste sepolture si collocano
è certamente cristiano, ma in almeno otto di esse
è stata trovata traccia di tradizioni rituali pagane tipicamente
celtiche, che si concretizzano ad esempio nella
deposizione di un boccale presso il capo del defunto, destinato a
contenere cibo o bevande da consumarsi dopo
la morte.
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Alcune
tombe poste nella parte settentrionale del
"vano G" della Loggia del Castello Nuovo |
Le
sepolture sono topograficamente concentrate grosso modo
entro l'area della Loggia del Castello Nuovo, settore quest'ultimo
che fa parte della fortezza genovese. Una
delle sepolture, precisamente la 61, risulta collocata in
posizione molto decentrata rispetto alle altre, a ben
40 metri dal margine sud della necropoli. Essa forse potrebbe
essere avulsa dal contesto globale del sepolcreto ed è possibile
che la sua realizzazione risalga a un epoca
decisamente posteriore. La sepoltura 85, risalente al V secolo, è intagliata nella
roccia viva, coperta da grosse
pietre e ospitava un
personaggio di rilievo; di lunghezza
maggiore delle altre, è l'unica entro cui furono reperiti oggetti
metallici, in particolare le parti in bronzo
di un cinturone, quali il puntale, la fibbia e i passanti.
L'area occupata dalla necropoli ha
subito nei secoli un'intensa
trasformazione che ha fatto sì che attualmente solo 56 tombe su
86 siano conservate in uno
stato di almeno parziale integrità; nel caso delle
restanti
30 sepolture è giunto sino a noi solamente il semplice
intaglio nella roccia. Questo, comunque, risulta
sufficiente per stabilire con precisione la direzione di
orientazione.
Per quanto riguarda la tipologia, abbiamo 38 tombe a cappuccina
(con copertura a tegoloni), 29 sepolture per
le quali gli studiosi non sono stati in grado di
discriminare tra il tipo a cassa e il cappuccina, 7 del tipo a
cassa, mentre
le sepolture ad anfora sono 8, soprattutto destinate ad accogliere
resti di fanciulli. In effetti, l'ispezione del
contenuto ha mostrato che circa un quarto delle
tombe riguardano giovani o fanciulli. La forma è
rettangolare per la quasi totalità delle sepolture, con misure
oscillanti tra 157 e 222 cm di lunghezza e fra 34 e 90 cm
di larghezza. La profondità varia tra 25 e 35 cm. La sepolture
dei fanciulli risultano di dimensioni un poco più
ridotte.
La
necropoli occupa la sommità centrale del
colle del Priamar, proprio nella sua parte strategicamente
più importante, a strapiombo sul mare. Il luogo risulta
molto favorevole dal punto di vista dell'osservazione astronomica,
abbracciando un arco di orizzonte osservabile
sgombro da ostacoli di 152°; gli azimut degli estremi
dell'arco di orizzonte osservabile sono 50° in
direzione dell'estremo limite di Albisola Capo a nord-est e
202° verso l'Isola di Bergeggi a sud-ovest. Sul promontorio
sovrastante l'Isola di Bergeggi, sopra il monte S.
Elena, è stato scoperto recentemente (1992) un castelliere
celto-ligure risalente all'Età del Ferro usato come
struttura difensiva ancora per tutto il medioevo e quindi
in pieno sviluppo anche quando la comunità sabazia
seppelliva i propri morti sul colle del Priamar.
La
disponibilità di un orizzonte sgombro per tutto quell'arco
permetteva, e permette tuttora, l'osservazione del sorgere
del Sole per tutto l'anno e della Luna nel corso del ciclo di
18,6 anni. Oltre a ciò, era possibile osservare il punto di
levata di molte stelle luminose.
Il
fatto che esista un'orientazione pressoché comune in quassi tutte
le sepolture della necropoli del Priamar suggerirebbe la possibilità
che le tombe fossero state disposte
verso il punto di levata dì qualche oggetto celeste visibile
a quella latitudine nel periodo che va dal III al VII secolo. Attualmente solo un ristretto numero
di tombe è effettivamente visibile, in quanto inglobate nel
pavimento di alcune delle sale del Museo Archeologico di Savona;
le altre sono state ricoperte dalle infrastrutture del restauro della fortezza genovese e dello stesso Museo.
Tuttavia
esiste in letteratura un'adeguata documentazione basata sui rilievi
degli archeologi e composta da accurate planimetrie.
La
quantità misurata durante i
sopralluoghi del 1996 e del 1997, eseguiti dallo scrivente e favoriti dal direttore del Museo prof. Varaldo, è stata l'angolo di azimut
tra la direzione del meridiano astronomico e l'asse di ciascuna
sepoltura nel senso ovest-est corrispondente anche alla direzione
"cranio-pelvi" degli scheletri ritrovati nelle tombe.
Esistono
due modi per analizzare una necropoli dal punto di vista
archeoastronomico. Il primo è quello di esaminare individualmente
ciascuna sepoltura determinandone l'orientazione dell'asse
maggiore e calcolare quali oggetti celesti sorgevano o
tramontavano all'orizzonte fisico locale in prossimità del punto
di intersezione tra l'allineamento e il profilo dell'orizzonte. Il
secondo modo è quello di
ricostruire mediante considerazioni statistiche
gli azimut di orientazione delle sepolture per
la necropoli in tutto il suo complesso. Questo approccio,
sperimentato con successo dallo scrivente su alcune
necropoli celtiche francesi e sulla necropoli boica di Casalecchio
di Reno (BO), permette di tener conto anche
di come una necropoli potrebbe essersi evoluta nel
tempo dalla prima sepoltura fino alla configurazione finale
che ci è dato di studiare.
Nel
caso della necropoli del Priamar sono
stati
applicati entrambi i metodi. L'analisi globale delle
86 sepolture ha mostrato
immediatamente alcuni fatti molto
interessanti.
Il primo è che
il valore di maggior probabilità dell'azimut
di orientazione dell'intera necropoli è 102° con un errore di
3°, quindi consistentemente lontano dalla direzione equinoziale
(90°-270°). Il
secondo fatto concerne la presenza di un secondo "picco"
statistico centrato a 140° con un errore di 2° e di
un terzo "picco" a 195° con errore di 2°. Si evidenziano così
tre popolazioni
statistiche indipendenti. Due delle
tombe che fanno parte del terzo gruppo (le numero 63 e 64) sono
entrambe sepolture a cappuccina e i loro
assi sono caratterizzati da un parallelismo molto spinto.
E' curioso notare che entrambe le tombe sono di ridotte
dimensioni, tanto da far pensare che si tratti di tombe
di adolescenti. Il valore dell'azimut di orientazione dell'asse
delle due sepolture (195°) risulta vicino al limite
di visibilità della linea dell'orizzonte in direzione
sud-ovest.
L'orientazione media globale, quella
di maggior frequenza, come si è detto, ha un azimut pari a 102°.
Questo
valore potrebbe suggerire un criterio di tipo solare
equinoziale:sarebbe naturale aspettarselo nel caso
di un luogo di culto cristiano. Infatti, sin dagli albori
del Cristianesimo esistette la tradizione di orientare i templi, o
più in generale i luoghi di culto e quindi anche
i sepolcreti, verso la direzione est,corrispondente alla levata del
Sole agli equinozi (Versus Soiem Orientem).
In realtà, nel caso della necropoli del Priamar
una simile orientazione appare decisamente improbabile: solo un sottoinsieme di 17 tombe
potrebbe essere stato
orientale verso il Sole nascente agli equinozi. Inoltre, non è
stata rilevata alcuna sepoltura orientata verso i punti di levata
o di tramonto dell'astro diurno nei
giorni dei solstizi.
Scartato
il Sole e anche la Luna (per la totale mancanza di orientazioni
verso le particolari posizioni sull'orizzonte del nostro satellite
durante il ciclo di 18,6 anni), è utile
indagare l'eventuale
possibilità di una correlazione con il punto di levata di qualche
stella o costellazione dal III al VII secolo.
Attualmente
il Polo Nord Celeste, cioè il punto di intersezione
tra il prolungamento ideale dell'asse terrestre e la sfera
celeste, è prossimo alla posizione della Stella
Polare, alfa Ursae Minoris, ma al tempo dello sviluppo della
necropoli del Priamar non era così. Infatti, il
punto del cielo intorno al quale tutti gli astri ruotavano
era situato in corrispondenza di una posizione intermedia tra la
stella Kochab (beta UMi) e l'attuale Stella Polare.
La differente orientazione della sfera celeste implica
tra l'altro che dall'altura del Priamar potessero essere
viste stelle posizionate nell'emisfero meridionale che
attualmente non salgono più sull'orizzonte in direzione sud; ad
esempio, potevano essere osservate le stelle della costellazione
del Centauro.
Dai
calcoli risulta che dal III al VII secolo la
costellazione di Orione sorgeva coprendo con la sua estensione un segmento d'orizzonte centrato sull'orientazione
principale rilevata nel sepolcreto del Priamar. I valori
numerici degli azimut concordano molto bene tra loro,
il che riduce la possibilità che l'associazione sia di natura
puramente casuale. Almeno 33 tombe risultano orientale,
entro i limiti dovuti all'accuratezza delle misure,
verso la posizione di levata di questa costellazione. Orione era
ben nota ai Celti, che già dal VI secolo a.C.
spesso orientavano i loro luoghi sacri verso il punto
del sorgere delle sue stelle; ad esempio, il nemeton di
Libenice in Boemia. Non è detto che i Celto-Liguri avessero
le stesse abitudini, soprattutto in epoca cristiana, ma la
concordanza degli azimut è un dato di fatto che
non può essere ignorato.
Una
vera sorpresa è però rilevare che ci sono almeno 30 tombe
con l'asse diretto verso il punto di levata di Mira Ceti,
altra vecchia conoscenza dei Celti (alcune orientazioni verso
questa stella furono rilevate ancora nel nemeton
di Libenice).
Anche
Strio risulta correlata con l'orientazione delle sepolture, con 23 tombe possibilmente orientale verso il
suo punto del sorgere, e
soprattutto Spica. Ciò che lascia
stupefatti è che la levata eliaca di questa stella concorda
così strettamente con il picco principale che almeno
35 tombe potrebbero essere state orientale verso
il suo azimut di prima visibilità attorno al V secolo.
Le
stelle che tramontano risultano invece molto meno
favorite; nessuna è in grado di superare 1'1% di probabilità
di essere stata l'obiettivo dell'orientazione di qualche tomba.
Questo fatto appare naturale, ma
significativo, considerando che l'orizzonte occidentale osservato
dal colle del Priamar risulta completamente occluso dalle alture
che circondano Savona da
Albisola all'Isola di Bergeggi.
E'
da precisare che i valori presi in considerazione per il
sorgere degli astri si riferiscono ai cosiddetti azimut di prima
visibilità i quali sono leggermente superiori a quelli relativi al
punto di levata delle stelle all'orizzonte astronomico locale (nel
caso del Priamar, il profilo del mare). L'azimut di prima
visibilità è quello relativo
all'istante in cui l'astro si trova a un'altezza apparente
rispetto all'orizzonte astronomico sufficiente affinché la sua
luce riesca a filtrare attraverso gli strati
atmosferici, potendo quindi giungere all'occhio dell'osservatore.
Dunque
l'analisi archeoastronomica ha permesso
di mettere in evidenza la possibile tendenza da
parte dei Sabazi ad orientare le loro sepolture nella direzione
del sorgere della costellazione di Orione, di Sirio
e della levata eliaca di Spica nel periodo che va dal
III al VII secolo. La levata eliaca di Spica avveniva, nel
V secolo, grosso modo durante la prima decade di ottobre,
quindi preludeva all'incipiente stagione invernale. L'economia dei
Sabazi era prevalentemente rurale: quindi il levare eliaco di Spica
avrebbe potuto costituire, dal punto di vista agricolo, un utile
indicatore stagionale. Tutti
e tre questi oggetti celesti erano ben noti alle popolazioni
celtiche e celto-liguri durante l'Età del Ferro.
Sirio addirittura aveva a che fare con una delle feste
rituali più importanti dell'anno celtico: la sua levata eliaca
stabiliva il periodo giusto per la celebrazione della
festa di Lughnasad. Questo potrebbe essere messo in
relazione con il fatto che i Sabazi, essendo di stirpe celto-ligure,
potevano aver conservato più o meno le tradizioni
proprie dei Celti continentali, anche se marcate influenze
italiche furono presenti nell'area da loro occupata
durante l'Età del Ferro e in epoche successive.
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Un'accurata
analisi condotta dall'autore ha dimostrato che il castelliere posto sul Monte S. Elena (a lato una
mappa del sito) è astronomicamente orientato:
vi si rilevano orientazioni solari, lunari e direzioni orientate
verso i punti di levata di Aldebaran, Deneb e Spica. Si tratta di orientazioni comuni
durante
l'Età del Ferro nei luoghi sacri costruiti dai Celti in Europa
che testimoniano a favore di una certa uniformità
nell'osservazione del cielo da parte dei
Celti e delle popolazioni liguri durante questo periodo. |
Scheda
autore
Adriano
Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio
Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente
svolge l'attività di system manager presso il
locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del
GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da
molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo
inaugurato l'applicazione di tecniche di
ricognizione e analisi computerizzata di siti
preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali
Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare
riferimento ai reperti risalenti alla cultura
celtica. |
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Sommario
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Il
calendario celtico di Coligny |
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